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Clausola di stile: non basta per la servitù

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32619/2024, ha rigettato il ricorso di due proprietari che rivendicavano una servitù di passaggio basata su una vecchia previsione contrattuale. La Corte ha stabilito che una mera ‘clausola di stile’, ovvero una formulazione generica e non specifica, non è sufficiente per costituire un diritto reale come la servitù. È indispensabile una chiara manifestazione di volontà e l’esatta individuazione dei fondi dominante e servente, elementi mancanti nel caso di specie. La decisione conferma che per la costituzione di servitù sono richiesti requisiti formali rigorosi.

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Clausola di Stile: Quando una Formula Non Basta per la Servitù di Passaggio

L’acquisto di un immobile è un passo importante, e i contratti di compravendita contengono spesso formule complesse. Ma cosa succede quando una di queste formule, apparentemente standard, viene interpretata in modo diverso dalle parti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito che una semplice clausola di stile non è sufficiente a creare un diritto reale come una servitù di passaggio. Analizziamo questa importante decisione per capire quali sono i requisiti necessari per costituire validamente una servitù e quali lezioni pratiche trarne.

I Fatti del Caso: Una Servitù Contesa per Decenni

La controversia nasce dalla pretesa di due coniugi, proprietari di un fondo, di avere un diritto di passaggio (servitù) su un terreno confinante. Essi basavano la loro richiesta su una clausola contenuta in un atto di acquisto del 1956, stipulato tra i precedenti proprietari, che era stata poi riportata nei loro stessi atti di acquisto. Secondo i ricorrenti, tale diritto era stato esercitato per decenni attraverso un cancello, fino a quando il nuovo proprietario del fondo vicino, nel 2011, ne aveva impedito l’uso in concomitanza con lavori di ristrutturazione.

Il Percorso Giudiziario: La Clausola di Stile Sotto Esame

Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello avevano respinto la domanda dei coniugi. Secondo i giudici di merito, la previsione contrattuale invocata non era altro che una clausola di stile. Per la costituzione di una servitù, infatti, la legge richiede una manifestazione di volontà specifica e inequivocabile, oltre a una descrizione dettagliata degli elementi essenziali, come l’esatta ubicazione del passaggio e l’identificazione precisa del fondo dominante (quello che beneficia della servitù) e del fondo servente (quello che la subisce). Nel caso in esame, la clausola era ritenuta troppo generica per soddisfare tali requisiti. I giudici avevano inoltre aggiunto che, in ogni caso, il diritto si sarebbe estinto per prescrizione, non essendo stato esercitato per il periodo ventennale richiesto dalla legge.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando il ricorso e chiarendo alcuni principi fondamentali.

L’Interpretazione del Contratto e la Mancanza di Specificità

Il punto centrale della decisione riguarda l’interpretazione della clausola contrattuale. I ricorrenti sostenevano che l’espressione “svuoto” dovesse essere interpretata come diritto di passaggio. La Cassazione, tuttavia, ha ribadito un principio consolidato: nell’interpretare un contratto, il giudice di merito ha un margine di valutazione che non può essere censurato in sede di legittimità se l’interpretazione fornita è una delle possibili e plausibili. La Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che la clausola, disponendo che “il compratore ha diritto allo svuoto”, creasse un diritto personale a favore dell’acquirente di allora, e non un diritto reale (servitù) legato al fondo. Mancava, infatti, l’indicazione precisa del fondo dominante e del fondo servente, elemento indispensabile per la costituzione di una servitù. Una clausola di stile, per sua natura, non può sopperire a questa mancanza di volontà specifica.

L’Inammissibilità degli Altri Motivi di Ricorso

La Corte ha dichiarato inammissibili anche gli altri motivi di ricorso per ragioni prettamente processuali. In particolare, la censura relativa alla valutazione delle prove è stata bloccata dalla cosiddetta “doppia pronuncia conforme”: quando due giudici di merito giungono alla stessa conclusione, la possibilità di contestare la valutazione dei fatti in Cassazione è fortemente limitata. Allo stesso modo, il motivo relativo all’onere della prova sulla prescrizione è stato ritenuto inammissibile perché mirava a criticare un’argomentazione ad abundantiam, ovvero una ragione secondaria e non decisiva della sentenza d’appello.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre un’importante lezione pratica: per costituire validamente una servitù volontaria, non ci si può affidare a formule generiche o a clausole di prassi. È essenziale che l’atto di costituzione contenga una dichiarazione di volontà chiara, precisa e inequivocabile, che individui senza incertezze il peso imposto al fondo servente, l’utilità per il fondo dominante e l’esatta estensione del diritto. Affidarsi a una clausola di stile significa correre il rischio che questa venga considerata inefficace a produrre effetti reali, con conseguenze significative sul valore e sulla fruibilità degli immobili.

Una generica ‘clausola di stile’ in un atto di compravendita è sufficiente a costituire una servitù di passaggio?
No, secondo la Corte di Cassazione, una clausola di stile non è sufficiente. Per costituire validamente una servitù, è necessaria la manifestazione specifica della volontà del proprietario del fondo servente e l’individuazione precisa di tutti gli elementi, inclusi il fondo dominante e quello servente.

Come va interpretata una clausola contrattuale che attribuisce il ‘diritto allo svuoto’ a un acquirente?
La Corte ha ritenuto plausibile l’interpretazione secondo cui tale clausola costituisce un diritto personale a favore dell’acquirente e non una servitù (diritto reale sul fondo). Questo perché la clausola non indicava con precisione il fondo dominante e quello servente, elementi essenziali per la costituzione di una servitù.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti se le sentenze di primo e secondo grado sono conformi?
No, in caso di ‘doppia pronuncia conforme’ (cioè quando il giudice d’appello conferma la decisione di primo grado), non è possibile proporre ricorso in Cassazione per omesso esame di un fatto decisivo, a meno che non si dimostri che le motivazioni delle due sentenze sono basate su ragioni di fatto diverse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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