Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2660 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2660 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7278/2020 R.G. proposto da
COGNOME NOME, quale rappresentante della comunione indivisa tra NOME COGNOME e NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo , sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 2977/2019, depositata il 10 dicembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11 gennaio 2024
Oggetto: RAGIONE_SOCIALE clausola di mero gradimento – modifica
dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, quale rappresentante della comunione indivisa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, depositata il 10 dicembre 2019, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva respinto le loro domande di accertamento del diritto di recesso dalla RAGIONE_SOCIALE e, conseguentemente, di condanna di quest’ultima al rimborso del valore della partecipazione al capitale di tale RAGIONE_SOCIALE, pari al 33%, oltre interessi e risarcimento del danno da ritardo, ovvero, in via subordinata, di accertamento dell’invalidità della delibera assembleare della RAGIONE_SOCIALE del 30 settembre 2015;
-la Corte di appello ha riferito che la vicenda traeva origine dall ‘approvazione della predetta delibera con la quale, con il voto favorevole dei soci NOME e NOME COGNOME, titolari, rispettivamente del 34% e del 33% del capitale sociale, era stata eliminata la clausola di gradimento e di prelazione statutariamente prevista in favore degli altri soci in caso di cessione di quote societarie e che a ciò aveva fatto seguito, il successivo 8 ottobre 2015, la cessione della quota di NOME COGNOME in favore della moglie di NOME COGNOME;
ha, quindi, disatteso il gravame evidenziando, in particolare, che l’elemento fondativo del diritto di recesso non risiedeva, come sostenuto dagli attori, nella mera sussistenza della clausola di gradimento, bensì nel concreto diniego dello stesso, e che, quanto al profilo della contestata validità della delibera assembleare, con questa non si era perseguito un interesse dei soci di maggioranza in contrasto con quello sociale;
il ricorso è affidato a cinque motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE;
ciascuna parte deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 disp. prel. cod. civ., 2469, secondo comma, e 2473 cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che, in presenza di una clausola statutaria di mero gradimento, il diritto di recesso sussisterebbe per il solo caso di diniego di gradimento opposto dagli altri soci e non anche per il solo fatto della previsione di una siffatta clausola;
il motivo è infondato;
-l’art. 2468, secondo comma, cod. civ. prevede che «Qualora l’atto costitutivo preveda l’intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 2473. … »;
parte ricorrente sostiene che una interpretazione letterale della norma deporrebbe nel senso che la presenza di una clausola di mero gradimento consentirebbe ai soci di poter esercitare il recesso dalla RAGIONE_SOCIALE in qualsiasi momento;
una siffatta tesi non appare convincente e, inoltre, si rivela non coerente con la ratio complessiva della disposizione, consistente nell’evitare che il socio sia «prigioniero» della RAGIONE_SOCIALE;
in tal senso, se il riconoscimento di un diritto di recesso ad nutum in capo a tutti i soci risulta giustificato in presenza di una clausola che prevede l’intrasferibilità assoluta della partecipazione, non altrettanto può ritenersi per il caso di una clausola che preveda il rilascio di un gradimento mero, atteso che in questo caso il socio risulterà prigioniero della RAGIONE_SOCIALE solo se gli organi sociali, i soci o i terzi, a cui spetta la
decisione, neghino il gradimento;
anzi, il riconoscimento della possibilità di recedere ad nutum a tutti i soci avrebbe un effetto opposto a quello tutelato dalla norma in esame e si risolverebbe nell’attribuire al socio che abbia deciso di uscire dalla compagine sociale una facoltà di recesso indiscriminata e di ottenere la liquidazione della propria partecipazione, a carico degli altri soci, anche in assenza di soggetti intenzionati a comprare la sua partecipazione;
-appare, dunque, preferibile una interpretazione dell’art. 2469, secondo comma, cod. civ. coerente con la ratio cui è ispirato e che riconosca il diritto di recesso ai soci solo nel caso in cui il gradimento mero sia negato, poiché solo in tale circostanza si verifica il rischio di «prigionia» del socio che la norma intende evitare;
-d’altra parte, se il gradimento non è negato, il socio non subisce alcuna compromissione alla libertà di trasferire le quote, per cui la presenza della clausola rimane per lui un atto privo di valenza lesiva e, in quanto tale, inidoneo a dare luogo a una concreta ed effettiva limitazione alla libertà di cessione delle quote tale da giustificare l’attribuzione del diritto di recesso, ricorrente solo qualora il gradimento dovesse essere negato;
-non persuasiva è l’argomentazione dei ricorrenti che fa leva su lla modificazione che, a seguito della riforma del diritto societario del 2003, ha interessato la disciplina del diritto di recesso nelle RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e, per l’esattezza, sul potenzia mento dell’istituto in ragione della ristrettezza della compagine societaria, del carattere familiare dell’investimento e, spesso, della gestione, della non ascrivibilità al modello della RAGIONE_SOCIALE aperta e, quindi, della non facile trasferibilità a terzi dell’investimento effettuato dai soci;
infatti, se è vero che il potenziamento del diritto di recesso risponde all’esigenza di agevolare la propensione all’investimento nelle RAGIONE_SOCIALE e, sotto altro profilo, di assicurare alla minoranza uno spazio di
dissenso che gli consente di liberarsi dalla tirannia della maggioranza, ciò non toglie che l’interpretazione delle disposizioni legali che riconoscono un siffatto diritto devono essere interpretate alla luce dell’esistenza di un interesse all’uscita dalla compagine societaria meritevole di tutela, da valutare in relazione alla sussistenza del menzionato rischio di «prigionia» nella compagine sociale, con particolare riferimento a scelte societarie potenzialmente pregiudizievoli per il suo investimento, e tenendo in considerazione anche i concorrenti interessi alla conservazione della garanzia patrimoniale rappresentata dal patrimonio sociale e alla stabilità dei rapporti sociali (cfr., in tema, Cass. 5 settembre 2022, n. 26060);
non concludente appare, poi, il riferimento alla disciplina legale delle clausole di gradimento prevista per le RAGIONE_SOCIALE per azioni (art. 2355bis cod. civ.) operato dai ricorrenti a sostegno dell’assunto che laddove il legislatore ha voluto attribuire rilevanza al mancato gradimento lo ha espressamente previsto;
infatti, la disciplina prevista in tema di limiti alla circolazione delle azioni nelle RAGIONE_SOCIALE per azioni è radicalmente diversa da quella prevista dall’art. 2469, secondo comma, cod. civ., essendo improntata alla regola generale dell’inefficacia delle clausole limitative, quali quella del mero gradimento, se non assistite dal diritto di recesso;
la richiamata disposizione di cui al terzo comma dell’art. 2355 -bis cod. civ., nella parte in cui precisa che la regola dell’inefficacia delle clausole limitative si applica anche alle clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso, non presenta elementi utili ai fini dell’interpretazione dell’art. 2469, secondo comma, cod. civ., avendo a oggetto un presupposto, consistente nell’inefficacia legal e della clausola, radicalmente diverso da quello di cui si occupa tale ultima previsione normativa;
con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2437, secondo comma, 2469 e 2473 cod. civ., per aver la Corte di appello negato l’applicazione analogica della disciplina prevista in tema di diritto di recesso nelle RAGIONE_SOCIALE per azioni nella parte in cui prevede il diritto di recesso dei soci che non hanno concorso all’approvazione delle delibere riguardanti la rimozione di vincoli alla circolazione di titoli azionari;
il motivo è infondato;
nelle RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE il diritto di recesso non consegue
-come è invece per le RAGIONE_SOCIALE per azioni (salvo il caso di diversa clausola statutaria) -alla introduzione o rimozione dei vincoli alla circolazione delle partecipazioni, mancando una disposizione di contenuto analogo a quella risultante all’art . 2437, secondo comma, cod. civ.;
-né è possibile, come sostenuto dai ricorrenti, applicare tale disposizione normativa alle RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in via analogica, difettando il necessario presupposto dell’assenza di una disciplina della situazione in esame;
infatti, il trasferimento delle partecipazioni e gli eventuali limiti allo stesso risultano disciplinati dall’art. 2469 cod. civ., il quale prevede che il diritto di recesso sorge solo in caso di intrasferibilità delle stesse (assoluta ovvero conseguente, nel caso di morte, all’esistenza di condizioni o limiti) ovvero di clausola di mero gradimento allorché, come evidenziato in precedenza, sia opposto il diniego alla cessione;
le delibere assembleari che introducono o rimuovono vincoli alla circolazione delle partecipazioni sociali nelle RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE limitate, dunque, non determinano, in assenza di una indicazione normativa in proposito, l’insorgenza di un diritto di recesso legale aggiuntivo rispetto a quello previsto dall’art. 2469, secondo comma, cod. civ.;
con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ., per aver la
sentenza impugnata interpretato l’art. 6, terzo comma, del previgente statuto sociale nel senso che escludeva il diritto di prelazione in caso di cessione in favore di parenti e affini entro il terzo grado di tutti i soci; -affermano, sul punto, che l’interpretazione offerta dalla Corte di appello si poneva in contrasto con il criterio della buona fede e dell’interpretazione sistematica, non prendeva in considerazione la comune intenzione delle parti e disattendeva il tenore letterale della clausola;
il motivo è inammissibile, in quanto non indica in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, risolvendosi nella mera contrapposizione dell’interpretazione dei ricorrenti e quella accolta nella sentenza impugnata (cfr., sul punto, Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 27 giugno 2018, n. 19687; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319); 2479 ter pregiudizio del diritto di voice
con il quarto motivo i ricorrenti criticano la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2436, quinto comma, 2479 e cod. civ., nella parte in cui ha ritenuto che l’accertato dei ricorrenti sarebbe stato determinato non tanto dalla delibera assembleare, quanto dalla condotta osservata dai ricorrenti medesimi;
il motivo è fondato;
la Corte di appello ha riconosciuto che la delibera contestata aveva determinato un pregiudizio del diritto di voice degli odierni ricorrenti, inteso nel senso del loro interesse a non veder peggiorare il peso specifico della propria posizione e a non veder migliorare il peso specifico dell’altrui partecipazione sena al contempo veder migliorare il proprio, in ragione dell’eliminazione del diritto di prelazione e di mero gradimento sulle cessioni tra soci e del solo mero gradimento (anche) sulle cessioni verso parenti e affini dell’alienante e dei rimanenti soci;
ha, tuttavia, ritenuto che il lamentato pregiudizio conseguente alla
cessione della partecipazione sociale in favore della moglie del socio NOME COGNOME non fosse riconducibile al nuovo assetto statutario, in quanto si sarebbe potuto verificare anche nel vigore della previgente disciplina statutaria e, comunque, era imputabile alla condotta osservata dagli stessi ricorrenti, i quali non avevano negato il loro placet alla cessione della quota e non avevano esercitato il loro diritto di prelazione su tale quota;
ciò posto, si osserva che il venir meno, per effetto della disposta modifica statutaria, del diritto di mero gradimento sulle cessioni tra soci e verso parenti e affini dell’alienante e dei rimanenti soci non consentiva agli odierni ricorrenti di potersi esprimere sulla cessione della quota di NOME COGNOME in favore della moglie di NOME COGNOME , intervenuta successivamente all’approvazione della delibera ; – né, tanto meno, questi avrebbero potuto esercitare su tale quota un diritto di prelazione, in quanto, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla intervenuta denunzia della proposta di cessione, un siffatto diritto, secondo quanto accertato dalla Corte di appello, non era previsto per le cessioni verso parenti e affini dell’alienante e dei rimanenti soci né dall’originaria previsione statutaria, né da quella risultante a seguito dell’approvazione della contestata delibera assembleare;
il non aver tenuto conto degli effetti legali di tale delibera inficia l’argomentazione della Corte di appello, in quanto fondata sulla possibilità per i ricorrenti di esercitare facoltà che la modifica statutaria aveva eliminato;
-con l’ultimo motivo i ricorrenti criticano la decisione impugnata per violazione degli artt. 1375 e 2479 ter cod. proc. civ., per aver escluso che la delibera impugnata fosse invalida per abuso della maggioranza; – evidenziano, sul punto, che la valutazione del giudice di merito si era incentrata solo sull’aspetto della rispondenza della delibera approvata all’interesse sociale senza prendere in esame l’aspetto della riferibilità
della stessa a una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari in pregiudizio dei diritti di partecipazione e patrimoniali dei soci di minoranza;
il motivo è fondato;
-l’ abuso della regola di maggioranza è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE -per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale -oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli (così, Cass. 12 dicembre 2005, n. 27387);
è stato chiarito che ricorre tale ultima situazione quando il voto determinante del socio (o dei soci) di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere interessi degli altri soci oppure risulta in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell’esecuzione del contratto (cfr. Cass. 20 gennaio 2011, n. 1361; Cass. 11 giugno 2003, n. 9353; Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151)
orbene, la Corte di appello ha escluso la ricorrente del dedotto vizio in ragione del fatto che l’interesse perseguito dalla maggioranza con tale delibera non si poneva in contrasto con quello sociale, avuto riguardo, in particolare, alla circostanza che con essa era stato possibile realizzare l’uscita dalla compagine sociale di NOME COGNOME e, in tal modo, porre fine a una situazione di disarmonie interne e di stallo, oltre a eliminare «la non limpida chiarezza » della originaria previsione statutaria concernente la clausola di mero gradimento e di prelazione; – ha omesso, tuttavia, di verificare se la delibera in contestazione sia stata approvata al fine pregiudicare gli interessi degli odierni ricorrenti,
soci di minoranza, non facendo corretta applicazione del richiamato principio di diritto;
la sentenza impugnata va, pertanto, cassata con riferimento ai motivi accolti e rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto e quinto motivo di ricorso e dichiara inammissibili i restanti; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale dell’11 gennaio 2024 .