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Clausola di contingentamento: chi prova il rispetto?

La Corte di Cassazione ha confermato la conversione di un contratto di lavoro da tempo determinato a indeterminato a causa del superamento della soglia numerica legale. La sentenza ribadisce che l’onere di provare il rispetto della clausola di contingentamento spetta interamente al datore di lavoro. Inoltre, il calcolo non deve basarsi su una media mensile, ma sul numero complessivo di assunzioni a termine stipulate nell’arco dell’anno di riferimento, consolidando un principio a tutela dei lavoratori.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Clausola di Contingentamento: L’Onere della Prova è Sempre del Datore di Lavoro

L’utilizzo dei contratti a tempo determinato è una prassi comune per molte aziende, ma è soggetta a limiti precisi per evitare abusi e precariato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: spetta esclusivamente al datore di lavoro dimostrare di aver rispettato la clausola di contingentamento, ovvero il limite numerico di contratti a termine. Vediamo nel dettaglio questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Dalla Precarietà alla Stabilità

Una lavoratrice del settore aereo aveva impugnato la legittimità dei suoi contratti a termine, sostenendo che la compagnia per cui lavorava avesse superato la soglia massima di assunzioni a tempo determinato consentita dalla legge e dalla contrattazione collettiva. In primo grado, il Tribunale aveva respinto la sua domanda.

Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo il ricorso della lavoratrice. I giudici di secondo grado hanno dichiarato la conversione del rapporto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato, condannando l’azienda a ripristinare il rapporto e a pagare un’indennità risarcitoria. La compagnia aerea ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

L’Onere della Prova nella Clausola di Contingentamento: Un Principio Consolidato

Il motivo principale del ricorso della società si basava su una presunta violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). L’azienda sosteneva che dovesse essere la lavoratrice a dimostrare l’avvenuto superamento della soglia percentuale.

La Corte di Cassazione, respingendo tale motivo come manifestamente infondato, ha riaffermato un orientamento ormai consolidato: la prova del rispetto della clausola di contingentamento è integralmente a carico del datore di lavoro. Questo perché il rispetto del limite numerico è una condizione essenziale per la legittima apposizione del termine al contratto. È l’azienda, quindi, che deve fornire i dati necessari a dimostrare di aver operato nel rispetto della normativa.

Il Calcolo del Limite: Annuale, non Mensile

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda le modalità di calcolo della percentuale. L’azienda sosteneva che la verifica dovesse essere fatta su base mensile, affermando di non aver mai superato il limite in nessun singolo mese dell’anno di riferimento.

La Cassazione ha giudicato questa interpretazione errata e contraria al tenore letterale della norma (art. 2 del D.Lgs. 368/2001). Il calcolo deve tenere conto del numero complessivo di contratti a termine stipulati nell’arco dell’intero anno di riferimento, e non di una media mensile. Sommare i lavoratori assunti durante tutto l’anno è l’unico modo per avere un quadro veritiero e impedire che l’uso frammentato di contratti brevi possa eludere la normativa.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su un principio di coerenza e omogeneità dei dati. Citando precedenti sentenze, ha spiegato che i dati da confrontare (organico a tempo indeterminato e assunzioni a termine) devono essere omogenei. Il riferimento normativo è alle “assunzioni a termine” stipulate nel periodo, non ai lavoratori “in forza” in un dato momento. Un calcolo “mese per mese” sarebbe fuorviante, perché potrebbe portare a contare più volte lo stesso contratto o a non conteggiare contratti di breve durata, vanificando lo scopo della legge.

Inoltre, i giudici hanno ritenuto inammissibile la richiesta dell’azienda di disporre una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per verificare i dati. La CTU è uno strumento a disposizione del giudice, non un mezzo per sopperire alla carenza probatoria della parte su cui grava l’onere della prova. Se il datore di lavoro non fornisce i dati necessari a dimostrare la sua legittimità, il giudice non è tenuto a ordinarne l’acquisizione tramite un consulente.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Aziende e Lavoratori

Questa ordinanza consolida la tutela dei lavoratori contro l’abuso dei contratti a termine e invia un messaggio chiaro alle aziende. Le implicazioni pratiche sono significative:

1. Per le aziende: È fondamentale mantenere una documentazione precisa e trasparente del numero di dipendenti a tempo indeterminato e di tutti i contratti a termine stipulati. In caso di contenzioso, non potranno limitarsi a negare il superamento della soglia, ma dovranno attivamente provarlo con dati chiari e riferiti all’intero periodo di riferimento.
2. Per i lavoratori: Questa decisione rafforza la loro posizione. Se un lavoratore sospetta che il proprio contratto a termine sia stato stipulato in violazione dei limiti numerici, può agire in giudizio sapendo che l’onere di dimostrare la legittimità dell’operato aziendale spetta interamente al datore di lavoro.

A chi spetta dimostrare il rispetto del limite numerico per i contratti a termine (clausola di contingentamento)?
Secondo la Corte di Cassazione, la prova del rispetto dei limiti percentuali per l’assunzione di lavoratori a termine è integralmente a carico del datore di lavoro, in quanto costituisce una condizione per la legittima apposizione del termine al contratto.

Come si calcola la percentuale dei contratti a termine? Su base mensile o annuale?
Il calcolo deve essere effettuato considerando tutte le assunzioni a tempo determinato stipulate nell’arco dell’intero anno di riferimento. Un calcolo basato sui singoli mesi è stato ritenuto errato perché non riflette il numero complessivo di contratti e potrebbe eludere la norma.

Il giudice è obbligato a disporre una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) se il datore di lavoro non fornisce dati sufficienti?
No. La Consulenza Tecnica d’Ufficio è uno strumento istruttorio a disposizione discrezionale del giudice e non serve a colmare le lacune probatorie della parte che ha l’onere della prova. Se il datore di lavoro non fornisce i dati, il giudice può decidere sulla base degli elementi disponibili, senza dover ordinare una CTU.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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