Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 28794 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 28794 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20635-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME;
– intimata – avverso la sentenza n. 856/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/03/2022 R.G.N. 4029/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal Consigliere AVV_NOTAIO COGNOME .
Oggetto
Contratti a termine
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/09/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 327/2018, e in riforma di detta sentenza, così provvedeva: A) dichiarava che la COGNOME doveva considerarsi assunta a tempo indeterminato alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE dal 30 maggio 2010 e per l’effetto ordinava alla datrice di lavoro di ripristinare la funzionalità del rapporto di lavoro; B) condannava la soc ietà appellata a pagare alla COGNOME un’indennità nella misura di sette mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (pari a € 2.719,00), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla sua sentenza.
Per quanto qui interessa, la Corte giudicava fondato il primo motivo di appello con il quale la lavoratrice contestava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva disatteso le sue argomentazioni in base alle quali la stessa aveva sostenuto il su peramento della percentuale del 15% stabilita dall’art. 2 d.lgs. n. 368/2001 o comunque del 35%, da rapportarsi al solo personale navigante di cabina, fissata dall’accordo collettivo del 30 ottobre 2008.
La Corte territoriale, quindi, riteneva che le considerazioni svolte per accogliere il principale motivo d’impugnazione fossero sufficienti da sole alla riforma della sentenza impugnata, sicché restava assorbito il secondo motivo d’appello, con conseguente declaratoria dell’esistenza inter partes di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dal 30 maggio 2010 (con conseguente assorbimento delle
domande aventi ad oggetto la declaratoria di illegittimità dei successivi contratti a tempo determinato).
3.1. Riteneva, inoltre, che dalla stessa statuizione discendeva anche la condanna della datrice di lavoro a ripristinare la funzionalità del rapporto di lavoro, riammettendo in servizio la lavoratrice nelle mansioni in precedenza espletate.
3.2. Procedeva, infine, a determinare, in favore della lavoratrice, l’indennità risarcitoria di cui all’art. 32 L. n. 183/2010.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimata è rimasta tale non avendo svolto difese in questa sede.
Il Consigliere delegato ex art. 380 bis c.p.c. novellato, con atto depositato il 9.3.2025, ha proposto la definizione del ricorso per cassazione nel senso della manifesta infondatezza del terzo motivo, dell’infondatezza del primo e dell’inammissibilità del secondo.
Con atto depositato telematicamente il 15.4.2025, il difensore della ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.’. Fatto riferimento alla disciplina di cui all’art 2 d.lgs. n. 368/2001, deduce che la conclusione cui è pervenuto il giudice d’appello è
in contrasto con gli stessi documenti presi a conforto e con le deduzioni in fatto contenute negli scritti difensivi.
Con il secondo motivo denuncia ‘Violazione degli articoli 421 e 437 cod. proc. civ.’. Lamenta che erroneamente la Corte d’appello non abbia ‘disposto una consulenza tecnica d’ufficio, al fine di accertare se effettivamente i dati offerti da RAGIONE_SOCIALE, circa il non superamento del limite percentuale, fossero effettivamente corrispondenti al vero’. Secondo la ricorrente, ‘E’ di tutta evidenza che una simile verifica da parte di un terzo avrebbe potuto portare ad una diversa conclusione, ove quanto sostenuto da RAGIONE_SOCIALE fosse stato ritenuto corrispondente alla realtà’.
Con il terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.’. Secondo la ricorrente, ‘la sentenza è meritevole di censura in quanto il Giudice di Appello -in violazione dei principi in materia di onere della prova -non ha tenuto conto che controparte, per poter ottenere la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, avrebbe dovuto dimostrare che, al momento della costituzione del rapporto di lavoro, RAGIONE_SOCIALE aveva già violato la percentuale di limitazione prevista’.
Quest’ultimo motivo il cui esame è logicamente prioritario -è manifestamente infondato.
Secondo un ormai consolidato orientamento di questa Corte, la prova dell’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine (cd. clausola di contingentamento), rilevante ai fini della verifica dell’oggettiva esistenza delle condizion i che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, è integralmente a carico del datore di lavoro
(cfr. Cass. n. 839 del 2010, Cass. n. 14283 del 2011, Cass. n. 701 del 2013, Cass. nn. 4764 e 13609 del 2015, Cass. n. 15928, 25629, 30484 del 2020, Cass. n. 10398 del 2020, Cass. nn. 18126 e 18490 del 2022; più di recente Cass. n. 5595 del 2023).
6. L’impugnata sentenza, dunque, è conforme a tali principi di diritto, avendo fatto riferimento nella sua motivazione appunto a detto indirizzo di legittimità (cfr. pagg. 3-4 della sentenza).
7. Il primo motivo è infondato.
Questa Corte di legittimità in controversie sovrapponibili a quella in esame ha statuito che, ‘ai fini dell’interpretazione del d.lgs. n. 368 del 2001, art. 2, ed in coerenza con quanto stabilito per la società RAGIONE_SOCIALE sia pure sulla questione full time equivalent , i dati da comparare devono essere omogenei (cfr. Cass. 15.1.2018, n. 753), con la conseguenza che occorre avere riguardo all’organico a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno cui si riferisce l’assunzione a termine, riferi to sempre ai servizi indicati dalla norma e non può neanche ritenersi che la percentuale del 15% debba calcolarsi avendo riguardo ai lavoratori a termine già in forza in azienda alla data suddetta, non rinvenendosi alcuna prescrizione di tal tipo dalla let tura della norma, che parla di assunzioni a termine’ (Cass. n. 21678/2019). Più precisamente, occorre fare riferimento ai contratti a termine stipulati nel periodo del contratto da scrutinare e non già al numero dei contratti a termine in forza o esistenti nello stesso periodo di tempo; conseguentemente il dato fornito del personale in forza ‘mese per mese’ nulla di decisivo aggiunge perché porterebbe a computare più volte lo stesso singolo contratto oppure a non conteggiare contra legem
i contratti a termini stipulati per più brevi periodi di tempo’ (Cass. n. 12694 del 2024).
9. La sentenza impugnata è conforme a tali principi.
In particolare, condivisibilmente la Corte distrettuale ha giudicato ‘inconferente il rilievo dell’appellata, alla cui conferma erano diretti i capitoli di prova orale articolati in primo grado, per cui in nessun mese dell’anno 2010 erano stati assunti lavoratori a tempo determinato in numero superiore a 1.439 unità (pari al 15% dl 9.593)’.
Infatti, la Corte ha considerato che l’allora appellata assumeva ‘che il rispetto della clausola di contingentamento debba essere verificato soltanto nell’ambito di ciascun singolo mese dell’anno e pertanto, su questo presupposto’, assumeva ‘di aver rispet tato il limite legale, perché in nessun mese dell’anno 2010 il numero degli assunti a tempo determinato è stato superiore a 1.439 unità, restando irrilevante che tale soglia numerica sia stata abbondantemente superata sommando i lavoratori complessivamente assunti a tempo determinato durante l’intero anno’; ma ha motivatamente ritenuto che ‘Il tenore letterale dell’art. 2 d.lgs. 368/2001, infatti, non giustifica affatto tale esegesi, …’ (v. in extenso pag. 7 della sua sentenza).
11. Il secondo motivo è inammissibile.
La consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporr e la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione
dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettata dal suddetto giudice (v. Cass. 15219 del 2007; n. 9461 del 2010; n. 326 del 2020).
In definitiva, in conformità alla suddetta proposta, il ricorso dev’essere rigettato.
Nulla dev’essere disposto quanto alle spese processuali, in difetto di difese dell’intimata; nondimeno la ricorrente è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto. Inoltre, ai sensi dell’art. 380 bis, ult. comma, c.p.c. novellato, siccome il giudizio di legittimità viene definito in conformità alla proposta di cui sopra, dev ‘essere applicato il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. nei termini specificati in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di € 2.000,00, ex art. 96, comma quarto, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 10.9.2025.
La Presidente
NOME COGNOME