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Clausola contrattuale sanitaria: valida anche post-legge?

Una struttura sanitaria contesta uno sconto tariffario basato su una clausola contrattuale sanitaria che richiama una legge non più in vigore. La Cassazione respinge il ricorso, affermando che il richiamo non è un’applicazione della legge, ma una libera scelta contrattuale delle parti di adottare quel criterio di calcolo, nel pieno rispetto dell’autonomia negoziale.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Clausola contrattuale sanitaria: la volontà delle parti prevale sulla legge scaduta

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nei rapporti tra strutture sanitarie private accreditate e il Servizio Sanitario Nazionale: la validità di una clausola contrattuale sanitaria che fa riferimento a una legge non più in vigore. La questione centrale è se tale richiamo costituisca un’illegittima applicazione “ultrattiva” della norma o se rientri nella piena autonomia negoziale delle parti. La Corte ha fornito una risposta chiara, privilegiando la volontà contrattuale.

I fatti del caso: uno sconto tariffario contestato

Una struttura sanitaria privata ha citato in giudizio un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) per ottenere il pagamento di una somma che l’ASL aveva trattenuto a titolo di sconto del 20% sulle prestazioni specialistiche erogate tra il 2010 e il 2013. L’ASL aveva applicato tale sconto basandosi su una clausola presente nei contratti stipulati annualmente con la struttura. Questa clausola richiamava esplicitamente l’art. 1, comma 796, lett. o) della Legge n. 296/2006, che prevedeva appunto uno sconto tariffario.

Il problema, sollevato dalla struttura sanitaria, era che tale norma aveva natura transitoria e, al momento della firma dei contratti, non era più in vigore. Di conseguenza, secondo la ricorrente, la clausola era nulla perché pretendeva di applicare una legge scaduta, imponendo uno sconto non più previsto dall’ordinamento. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’ASL, ma la questione è approdata in Cassazione.

La decisione della Corte sulla clausola contrattuale sanitaria

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Il ragionamento dei giudici di legittimità si fonda su una distinzione fondamentale: un conto è l’applicazione diretta e obbligatoria di una norma di legge (ope legis), un altro è la scelta delle parti di adottare, nell’ambito della propria autonomia contrattuale, un criterio di calcolo che era originariamente contenuto in una legge, anche se non più vigente.

Secondo la Corte, la clausola contrattuale sanitaria in questione non costituiva un rinvio alla norma in quanto fonte del diritto, ma rappresentava l’adozione volontaria del criterio di determinazione tariffaria in essa descritto. La fonte del vincolo tra le parti, quindi, non era la legge scaduta, ma la pattuizione contrattuale che ne recepiva il contenuto.

Le motivazioni: autonomia contrattuale vs. ultrattività della legge

Le motivazioni della Corte si basano su alcuni principi cardine del diritto dei contratti. In primo luogo, l’interpretazione del contratto non deve fermarsi al mero senso letterale delle parole, ma deve indagare la comune intenzione delle parti, anche attraverso il loro comportamento complessivo e lo scopo pratico dell’accordo. Nel caso di specie, l’intenzione era chiaramente quella di fissare un prezzo per le prestazioni che tenesse conto di uno sconto del 20%.

Se si fosse accolta la tesi della struttura sanitaria, la clausola sarebbe stata privata di ogni effetto, in violazione del principio di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.), secondo cui, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.

La Corte ha inoltre chiarito che la natura transitoria della legge del 2006 era riferita alla sua applicazione imperativa e generalizzata. Ciò non impedisce che le parti, in un momento successivo, possano liberamente decidere di utilizzare quello stesso meccanismo di calcolo come parte del loro accordo, nell’esercizio della loro autonomia negoziale. Non si tratta quindi di una surrettizia “ultrattività” della norma, ma di una libera scelta convenzionale.

Le conclusioni: le implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: l’autonomia contrattuale consente alle parti di modellare i propri rapporti economici con grande flessibilità, anche attingendo a parametri o criteri stabiliti da leggi non più in vigore. La volontà delle parti, espressa chiaramente nel contratto, prevale, a meno che non violi norme imperative, ordine pubblico o buon costume.

Per le strutture sanitarie e le pubbliche amministrazioni, questa decisione sottolinea l’importanza di una redazione chiara e inequivocabile delle clausole contrattuali. Una clausola che richiama una norma esterna viene interpretata non come un semplice rinvio formale, ma come l’incorporazione del contenuto di quella norma nell’accordo. Pertanto, la cessata vigenza della legge richiamata non rende automaticamente nulla la clausola, se dal contesto emerge che le parti intendevano proprio fare riferimento a quel specifico criterio per regolare i loro rapporti.

Una clausola in un contratto con la Sanità Pubblica che richiama una legge non più in vigore è valida?
Sì, è valida. Secondo la Corte di Cassazione, la clausola non rappresenta un’applicazione della legge come fonte del diritto, ma una libera scelta delle parti di adottare il criterio contenuto in quella legge come parte del loro accordo contrattuale, nell’esercizio della loro autonomia negoziale.

Come deve essere interpretato un contratto quando il testo letterale sembra rimandare a una norma scaduta?
L’interpretazione non deve limitarsi al senso letterale, ma deve ricostruire la comune intenzione delle parti e lo scopo pratico del contratto. Se le parti hanno inserito un richiamo a una norma scaduta, si presume che volessero recepirne il contenuto come regola del loro rapporto, per non rendere la clausola priva di effetti.

La natura transitoria di una legge impedisce alle parti di usarne i criteri in un contratto futuro?
No. La natura transitoria si riferisce all’applicazione obbligatoria e generalizzata della legge (ope legis). Una volta che la legge cessa di essere in vigore, le parti sono libere di richiamare contrattualmente i criteri in essa contenuti per regolare i propri interessi, realizzando così obiettivi come il risparmio di spesa pubblica in via convenzionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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