Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27190 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27190 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5715/2019 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (domiciliazioni PEC: EMAIL);
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-intimate-
Avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 1350/2018 depositata il 11/07/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME aveva convenuto in giudizio, avanti al Tribunale di Ascoli Piceno, NOME COGNOME – deceduto in corso di causa, con subentro degli eredi chiedendo che fosse accertata l’illegittimità della realizzazione di una tettoia con chiusure laterali, effettuata con componenti prefabbricati a copertura della terrazza posta al piano sottostante rispetto al balcone dell’appartamento dell’attrice, perché affermava essere violativa delle norme in materia di distanze tra costruzioni e tra vedute – e con inalazioni pericolose -, insistendo altresì per le pronunce conseguenti.
Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale adito aveva accolto l’eccezione, formulata tempestivamente dal convenuto, di operatività della clausola compromissoria per arbitrato irrituale contenuta nel regolamento condominiale e aveva respinto la domanda ex art. 844 c.c., con compensazione delle spese.
NOME COGNOME aveva proposto appello e, all’esito, la Corte d’Appello di Perugia aveva confermato la sentenza di primo grado sulle seguenti considerazioni: l’art. 18 del regolamento del Condominio Veccia prevede che ‘ Semprechè non investano diritti primari derivanti dai titoli di acquisto, le controversie tra i comproprietari, in occasione o comunque in dipendenza di rapporti di comunione, (compresa la liquidazione dei danni in qualsiasi modo arrecati alla proprietà altrui o alle parti comuni) saranno decise inappellabilmente da tre arbitri amichevoli compositori ‘; la clausola è valida, perché contiene la previsione di un arbitrato irrituale che non esclude la competenza e le funzioni del Giudice ordinario ma ne sospende provvisoriamente l’esercizio; -occorre interpretare l’espressione ‘ semprechè non investano diritti primari derivanti dal titolo di acquisto ‘ per escludere o riconoscere l’operatività della compromissione in arbitri delle violazioni allegate in primo grado (violazione distanze dalle costruzioni, norme sulle distanze dalle vedute, norme relative all’estetica dell’immobile, art. 1120 co 2 c.c.); il diritto di proprietà non è annoverabile tra i diritti primari, la cui tutela costituzionale si riferisce ad ipotesi di totale compromissione, perdita o svuotamento del diritto e non consegue alle limitazioni conseguenti alla violazione delle norme sulle distanze; l’espressione ‘ diritti primari derivanti dal titolo d’acquisto ‘ deve essere interpretata nel senso che essa richiama la violazione di tali diritti primari connessi al diritto di proprietà, ove intervenuta in occasione o in dipendenza dei rapporti di comunione, ossia delle relazioni tra proprietà singole connesse alla proprietà condominiale; il caso di specie non vi rientra ed è quindi riconducibile all’ambito della clausola compromissoria; –
quanto alla domanda proposta ex art.844 c.c. essa è totalmente generica, non potendosi ritenere in alcun modo anche solo allegata una violazione del diritto alla salute; -quanto agli altri motivi di appello, l’operatività della clausola compromissoria è di rilievo assorbente rispetto ad essi.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso alla sentenza della Corte d’Appello di Ancona, affidandolo a cinque motivi.
Non è stato depositato controricorso.
La ricorrente ha ulteriormente illustrato con memoria le difese già svolte, instendo per una decisione nel merito ex art. 384 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo di ricorso NOME COGNOME lamenta la ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in rapporto all’art. 113 c.p.c., all’art. 42 della Costituzione ed all’art. 1362 c.c.’ .
La Corte d’Appello d’Ancona e prima il Tribunale di Ascoli Piceno avrebbero ritenuta erroneamente operante la clausola compromissoria, in contrasto con l’art. 42 Cost. che individua il diritto di proprietà come avente dignità primaria. Apparirebbe poco coerente il ragionamento dei Giudici di merito e della Corte in particolare che, da un lato, afferma che il diritto di proprietà non sarebbe primario, dall’altro che lo diventerebbe se totalmente compromesso o perduto, come se la qualificazione giuridica del diritto potesse dipendere dal grado di lesione dello stesso.
Il motivo è infondato.
Si esclude prima di tutto la valenza autonoma del riferimento all’art. 113 c.p.c., che appare essere stato utilizzato impropriamente dalla ricorrente per sottolineare la necessità che il Giudice decida secondo diritto, quindi nel rispetto delle norme l’articolo vuole sottolineare che, in linea generale, il Giudice ordinario decide secondo diritto, potendo decidere secondo equità solo ove la legge gliene attribuisca il relativo potere, questione che non si pone nel caso di specie -.
Il motivo prospetta, poi, una violazione da parte della Corte di merito delle regole ermeneutiche in materia di interpretazione dei contratti, perché essa non avrebbe considerato: l’espressa esclusione dall’arbitrato irrituale, in base alla clausola 18 del regolamento (sulla cui validità formale non è questione: questo profilo è stato sottolineato dalla Corte di merito e non è stato censurato), delle controversie su ‘diritti primari derivanti dal titolo d’acquisto’; -il fatto che il diritto di proprietà sarebbe un diritto primario, ex art. 42 Cost. e attrarrebbe nella stessa sfera di tutela
anche le violazioni in materia di distanze legali e di vedute; -il fatto che proprio della lesione di diritti primari si dorrebbe la ricorrente, perché le lesioni al diritto di proprietà prospettate come subite avrebbero evidenti riflessi anche sulla privacy e sicurezza, nonché sull’estetica e sul decoro architettonico.
In concreto la critica svolta è correlata alla pretesa violazione, nell’ambito dell’interpretazione della clausola 18 del regolamento, del disposto dell’art. 42 Cost., che tutelerebbe come diritto primario il diritto di proprietà e attrarrebbe nell’ambito della tutela per esso prevista anche le violazioni in materia di distanze e vedute.
La Corte d’Appello ha evidenziato che ‘ il diritto di proprietà non può essere annoverato tra i diritti primari ‘, precisando che ‘ la tutela costituzionale del diritto di proprietà si riferisce ad ipotesi di totale compromissione, perdita o svuotamento del diritto, e non alle limitazioni che possono conseguire dalla violazione delle norme sulle distanze. Il diritto al rispetto delle richiamate norme è diritto derivante dal titolo d’acquisto ma non è diritto primario. L’espressione ‘diritti primari derivanti dal titolo d’acquisto’ deve essere interpretata nel senso che essa richiama la violazione di tali diritti primari connessi al diritto di proprietà, ove venissero violati in occasione o in dipendenza dei rapporti di comunione, ossia nelle relazioni tra proprietà singole connesse alla proprietà condominiale. La violazione delle normative sulle distanze tra le costruzioni o tra le vedute dedotta in relazione ad opere costruite dal singolo condomino sulla proprietà esclusiva ma con influenza sulla proprietà di altro condomino da valutare in relazione alle norme indicate, non può ricondursi nell’ambito dei diritti primari derivanti dal titolo’, non comportando ‘una lesione del contenuto minimo della proprietà tale da svuotarne il contenuto, ma incide nei rapporti tra proprietà vicine e non è idoneo a svuotare completamente il diritto di proprietà ‘ – cfr. la motivazione della sentenza impugnata, a pag.8 -.
La Corte di merito ha quindi interpretato la clausola in contestazione definendo che cosa si debba intendere per ‘ diritti primari derivanti dal titolo’ e non ricomprendendo nell’esclusione di operatività della clausola la controversia introdotta dalla ricorrente, perchè, a prescindere dal richiamo all’art. 42 Cost. e alla definizione e all’ambito di tutela che la Carta Costituzionale riconosce al diritto di proprietà, ha rilevato che l’espressione richiamata deve essere intesa nel senso di riferirsi alla violazione dei ‘diritti primari’ connessi al diritto di proprietà, identificati nelle norme sulle distanze legali, ove essa si verifichi in occasione o in dipendenza dei rapporti di comunione, non ove siano in discussione opere costruite sulla
proprietà esclusiva di un condomino con pretesa influenza sulla proprietà di altro condomino, come si assume sia avvenuto nel caso di specie. Il riferimento all’art. 42 Cost. è stato effettuato per identificare i limiti dei possibili interventi coinvolgenti il diritto di proprietà, che non possono comportarne la totale compromissione, la perdita o lo svuotamento e per escludere, altresì, che il diritto al rispetto delle distanze legali comporti una lesione del contenuto minimo del diritto di proprietà tale da svuotarne il contenuto, poiché esso incide solo nei rapporti tra proprietà vicine anche in considerazione del fatto che è lo stesso art. 42 Cost. a rimandare alla legge, per determinare non solo i modi di acquisto e di godimento del diritto di proprietà ma anche i suoi limiti -.
Il ragionamento seguito dalla Corte rimane valido a prescindere dalla definizione del diritto di proprietà come ricompreso tra i diritti primari garantiti dalla Carta Costituzionale, perché nel caso di specie oggetto di controversia è la pretesa violazione da parte dei resistenti dei limiti del diritto di proprietà in relazione a distanze e vedute, a danno della proprietà della ricorrente: la Corte di merito ha riconosciuto a detti limiti la natura di ‘diritti primari’ derivanti dal titolo, connessi al diritto di proprietà, ma li ha considerati compresi nell’ambito di operatività della clausola 18, perché riguardanti rapporti coinvolgenti le proprietà esclusive di due condomini, secondo l’interpretazione del contenuto della clausola richiamata considerata corretta.
La Corte di merito ha effettuato una valutazione articolata e argomentata in modo logico, senza contraddizioni insanabili. Infatti, non appare, contraddittoria – come invece prospetta la ricorrente l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui il diritto di proprietà non è annoverabile tra i diritti primari rispetto a quella secondo cui la Costituzione tutela il diritto di proprietà di fronte alla sua totale compromissione, perdita o svuotamento e non rispetto alle limitazioni legali: con la prima affermazione la Corte nega una caratteristica del diritto di proprietà -comunque riconosciuto dall’art. 42 Cost. -, mentre con la seconda ne definisce l’ambito di tutela che la Costituzione comunque garantisce, ambito nel quale non ritiene sia compresa la violazione del diritto al rispetto delle distanze legali e di vedute a carico dei proprietari confinanti.
In sostanza, il motivo in esame contiene una articolata critica alla valutazione della clausola arbitrale da parte dei Giudici di merito ma, a parte il richiamo al disposto dell’art. 42 Cost. non pertinente per quanto sopra detto, non allega alcuna concreta
violazione del disposto di uno o più degli art. 1362 e s. c.c. limitandosi a criticare l’attività interpretativa della Corte d’Appello e le relative conclusioni – conformi a quelle del Giudice di primo grado, con esclusione quindi dell’astratta possibilità di interpretare il motivo di cui si discute come riconducibile all’ambito dell’art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.: cfr. sul punto Cass. n. 10745/22 – e a prospettare come unica corretta la diversa interpretazione offerta, con sollecitazione alla Corte a svolgere un’attività di carattere tipicamente di merito che è invece preclusa al Giudice di legittimità. Si richiama, al riguardo, il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale ‘ Posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata. … ‘ – così Cass. n.9461/2021, che esprime un principio ripetuto: cfr. anche Cass. n. 25728/2013; Cass. n. 28319/2017; Cass. n. 27136/2017 e, di recente, Cass. n.353/2025 -.
Non possono, infine, aver alcun rilievo, per il profilo in esame, le considerazioni della ricorrente sull’esistenza di esigenze di tutela anche di altri diritti costituzionalmente garantiti, quali la privacy, la salute, la sicurezza: si tratta di ambiti di tutela che non trovano soddisfazione attraverso le regole delle distanze legali e di vedute tra proprietà confinanti e che quindi non possono essere utili a vagliare la clausola 18 e l’esclusione di operatività in essa contenuta nei termini già sottoposti al vaglio dei giudici di merito, come sopra esposti (diversa questione è quella riguardante la tutela diretta di tali diritti, attraverso la proposizione di domande risarcitorie specifiche: la questione sarà affrontata oltre, con l’esame del motivo seguente).
2) Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la ‘violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in rapporto all’art.
113 c.p.c., all’art. 42 della Costituzione ed all’art. 1362 c.c. anche per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio’
La ricorrente avrebbe denunciato pure la violazione di diritti primari: alla sicurezza e alla vita, per l’estrema facilità di accesso alla sua proprietà determinata dall’opera posta in essere dalla controparte, alla salute (non solo per le esalazioni, oggetto della domanda ex art. 844 c.c., ma anche) per la privazione della colonna d’aria e di luce determinata di fatto dalla nuova costruzione, alla privacy per la possibilità di affaccio diretto alla sua proprietà (solo sulle tubazioni del condizionamento d’aria la sentenza spenderebbe qualche parola nel valutare la domanda ex art. 844 c.c.).
Il motivo è inammissibile per più profili.
La ricorrente lamenta, nell’impostazione del motivo, violazioni dell’art. 113 c.p.c, dell’art. 42 Cost. e dell’art. 1362 c.c. ma non è dato comprendere in che modo dette norme siano state disattese dalla Corte d’Appello e con che conseguenze sulla decisione della controversia: le critiche articolate non sono infatti relative a profili di tutela pertinenti al diritto di proprietà, che la ricorrente vorrebbe utilizzare come veicolo per prospettare la potenziale lesione di altri diritti personali aventi in realtà valenza e tutela autonome, in modo peraltro totalmente generico e senza l’offerta di alcun supporto che permetta di individuare una relazione con il deciso della Corte d’Appello di Bologna. Si richiama al riguardo l’orientamento interpretativo costanze di questa Corte, ribadito di recente da Cass. n. 20870/2024, secondo il quale ‘ Nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., giusta il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla RAGIONE_SOCIALE di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione ‘.
Sotto un altro profilo, emerge dalla sentenza che era stata contestata la prospettazione da parte dell’appellante ricorrente di domande nuove e/o di ampliamento delle domande proposte in primo grado: in alcun modo NOME COGNOME allega e dimostra, nel rispetto del disposto dell’art. 366 n. 4 e 6 c.p.c., l’effettiva proposizione
tempestiva delle domande di tutela di altri diritti oltre al diritto di proprietà – e alle conseguenze di pretese esalazioni, fatte valere ex art. 844 c.p.c. -, sopra richiamate.
Per un ulteriore profilo, la Corte di merito ha esaminato solo la domanda ex art. 844 c.c., affermandone la tempestiva proposizione da parte di NOME fin dall’atto di citazione per il primo grado, e ha ritenuto assorbite – non pronunciando quindi nel merito – tutte le altre domande/doglianze, proposte da NOME con l’appello principale, dalla ritenuta validità e operatività, nella controversia, della clausola compromissoria: non un rilievo è stato formulato dalla ricorrente sulla correttezza della valutazione di assorbimento ad opera della Corte, salva la prospettazione di ‘omissione circa un fatto decisivo’. Non è dato però – a prescindere dal mancato riferimento al disposto dell’art. 360 n. 5 c.p.c. – comprendere, in concreto, quale sia il fatto omesso, discusso, decisivo per il giudizio, perché la ricorrente lamenta solo che non si sia tenuto conto che ella avrebbe agito anche per la tutela di diritti primari suscettibili di lesione, per i quali avrebbe dovuto essere considerata valevole l’esclusione di operatività della clausola arbitrale – cfr. Cass. n. 13024/2022, espressione di un indirizzo interpretativo consolidato, secondo la quale ‘ L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti avente carattere decisivo, … “: non possono costituire fatto omesso le questioni e le argomentazioni difensive. Nel caso di specie la ricorrente non allega alcun fatto storico che soddisfi le indicazioni emergenti dalla pronuncia riportata (cfr., nello stesso senso ancora di recente, Cass. n. 2961/2025).
3) Con il terzo motivo la ricorrente assume ancora la ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., in rapporto all’art. 113 c.p.c., all’art. 42 della Costituzione ed all’art. 1362 c.c. ‘
Ove la clausola arbitrale – che pure non lo sarebbe, alla luce delle osservazioni svolte a supporto del primo motivo di ricorso – si fosse ritenuta di dubbia interpretazione, la Corte di merito avrebbe dovuto indagare la comune volontà delle parti, ex art. 1362 c.c.: da un lato l’arbitrato irrituale sarebbe stato limitato alle questioni più banali,
dall’altro esso avrebbe costituito una mera facoltà e ciò avrebbe dovuto escludere l’impossibilità di agire direttamente in giudizio.
Il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che non ha considerato di dubbia interpretazione la clausola di cui si discute ma ha negato che operasse, per la controversia sub iudice , la previsione di esclusione dell’arbitrato irrituale in essa contenuta.
Quanto al fatto che la clausola avrebbe previsto solo la facoltà e non l’obbligo di arbitrato irrituale, non è nemmeno allegato, come vorrebbe l’art. 366 n. 4 c.p.c., che la questione, della quale non vi è traccia nella sentenza impugnata, sia stata introdotta tempestivamente nel giudizio di merito.
La ricorrente articola doglianze che, in concreto, vogliono ancora una volta proporre la sua interpretazione, alternativa a quella seguita da entrambi i Giudici di merito, come la sola corretta, richiedendo alla Corte una rivalutazione del merito preclusa in sede di legittimità.
4) Il quarto motivo di ricorso prospetta un ‘ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. in rapporto agli artt. 112, 113 e 115 c.p.c., nonché violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contrati, anche in rapporto agli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1369, 1371 c.c.’
La ricorrente avrebbe inteso anche evitare, con la proposizione del giudizio, il maturare dei termini di legge per l’usucapione, finalità perseguibile solo con l’azione giudiziaria. La clausola compromissoria non avrebbe quindi potuto trovare applicazione, avendo la parte intenzione di far valere il proprio diritto di proprietà; comunque, in caso di dubbio, la clausola avrebbe dovuto essere interpretata a favore dell’affermazione della giurisdizione statuale.
Anche questo motivo di critica è inammissibile per plurimi profili.
Prima di tutto esso presenta una totale carenza di autosufficienza, rilevante ex art. 366 n. 4 c.p.c., perché nella sentenza impugnata non risulta sia stata posta la questione prospettata nel motivo in esame e perché non è nemmeno allegato in che momento del processo e in quale atto siano stati esplicitati dall’interessata rilievi e/o richieste in ordine alla volontà/necessità di interrompere il termine utile per il maturare dell’usucapione di diritti reali a favore della controparte.
Valgono poi, anche per questo motivo, le considerazioni svolte nella valutazione del secondo motivo in ordine all’assenza di concreta identificazione del fatto discusso, decisivo, omesso e alle sue conseguenze.
L’ultima affermazione, sulla prevalenza della giurisdizione ordinaria in caso di dubbio interpretativo sulla clausola compromissoria, è estemporanea e comunque è già stata valutata in modo negativo nell’ambito dell’esame del motivo di ricorso precedente.
5) Anche il quinto motivo di ricorso prospetta l’omissione di ‘ esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c. in rapporto all’art. 12 delle preleggi e all’art. 12, comma 2 n.4 c.p.c., sotto il profilo della violazione o falsa applicazione delle norme di diritto e sotto quello della motivazione apparente, nel contrasto irriducibile di affermazioni incompatibili e nella motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile ‘
Il ragionamento della Corte mancherebbe di logica giuridica, perché la qualificazione di un diritto dipende dalla sua rilevanza sociale, economica ecc., non dalla eventuale sua lesione e dalla qualità di questa; perplessa e incomprensibile sarebbe anche la distinzione tra il diritto di proprietà e i suoi contenuti.
Si richiamano le considerazioni svolte nell’ambito della valutazione del primo motivo di ricorso.
La motivazione della sentenza d’appello non presenta la contraddizione rilevata ed appare esistente e logica: non sono contraddittorie come vorrebbe la ricorrente, per quanto sopra rilevato, l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui il diritto di proprietà non è annoverabile tra i diritti primari rispetto a quella secondo cui la Costituzione tutela il diritto di proprietà di fronte alla sua totale compromissione, perdita o svuotamento e non rispetto alle limitazioni legali, dato il loro diverso ambito di rilevanza.
Quanto alla prospettata omissione di un fatto decisivo discusso, si richiamano ancora una volta le considerazioni esposte nell’esame del secondo e nel quarto motivo di ricorso.
In conclusione, il ricorso proposto da NOME deve essere integralmente respinto.
Nulla sulle spese del giudizio di legittimità, non avendovi i resistenti partecipato. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento a carico della ricorrente di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 4 marzo 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME