Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 15861 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 15861 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18992-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE ed ammessa alla procedura di CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1004/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 03/05/2022.
Oggetto
INTERNAZIONALE
PRIVATO
R.G.N. 18992NUMERO_DOCUMENTO2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 27/02/2024
CC
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale chiede che le Sezioni Unite della Corte, rigettati i restanti, accolgano i motivi quinto, sesto, nono e decimo.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo, per quanto ancora di rilievo in questa sede, conveniva nell’anno 2012, davanti al Tribunale di Modena, RAGIONE_SOCIALE, società avente sede in Malesia, chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 175.394,32 di cui alla fattura n. 5364 del 30.4.2009 emessa per merce regolarmente fornita e consegnata a Shangai, nella Repubblica Popolare Cinese e di euro 185.059,00 in relazione alla fattura n. 5450 del 3.6.2009 emessa per merce che a seguito di accordo modificativo di precedente pattuizione era stata consegnata a Maranello, in provincia di Modena.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE e, precisato che i negozi in base ai quali l’attrice agiva erano costituiti da due contratti conclusi tra le parti (identificati come ordine n. PO/MAL/2008/071 di cui alla fattura n. 5364/2009 e ordine PO/MAL/2007/151 di cui alla fattura n. 5450/2009), per la fornitura da parte della società RAGIONE_SOCIALE di carrelli automatici da consegnare ai clienti finali in Cina, eccepiva il difetto della giurisdizione italiana a favore del collegi arbitrali indicati nella clausola n. 15 del primo contratto e nella clausola n. 24 del secondo contratto, i quali, peraltro, prevedevano quale legge applicabile rispettivamente la legge cinese e quella malese; eccepiva, in ogni caso, la carenza della giurisdizione italiana e
del Tribunale adito a favore della giurisdizione cinese per effetto dell’art. 3 l. n. 285/1995, che rinviava alla Convenzione di Bruxelles 1968 e al Regolamento UE n. 44/2001; in subordine, eccepiva la sussistenza della giurisdizione malese. Nel merito, in via subordinata, contestava la fondatezza delle domande e ne chiedeva il rigetto.
Il Giudice di primo grado dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice italiano a conoscere della controversia precisando, quanto alla domanda di pagamento della fattura n. 5364 del 30.4.2009, che il difetto di giurisdizione derivava dalla pattuizione di una clausola compromissoria che devolveva la controversia alla autorità della Repubblica Popolare Cinese, con previsione di applicazione della legge cinese; quanto alla domanda di pagamento della fattura n. 5450 del 3.6.2009, il primo giudice precisava che il difetto di giurisdizione derivava dalla esistenza di una clausola compromissoria che devolveva la controversia all’autorità di Singapore, con previsione di applicazione della legge malese .
La Corte di appello di Bologna, pronunziando sull’appello RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione a favore della giurisdizione della Repubblica Popolare Cinese a conoscere della controversia relativa al contratto n. NUMERO_DOCUMENTO di cui alla fattura n. 5364NUMERO_DOCUMENTO e il proprio difetto di competenza in favore dell’autorità arbitrale di Singapore a conoscere della controversia relativa al contratto n. NUMERO_DOCUMENTO di cui alla fattura n. 5450/NUMERO_DOCUMENTO. Quanto al primo contratto, ritenuta invalida ed inefficace la clausola arbitrale di cui al punto 15 delle condizioni generali di acquisto sul rilievo che tale clausola non esprimeva alcuna volontà delle parti di deferire agli arbitri le
contro
versie derivanti dal contratto medesimo, la Corte distrettuale ha fondato la affermazione della giurisdizione della Repubblica Popolare Cinese sulla considerazione che in applicazione del regolamento (CE) n. 44/2001 sostitutivo della Convenzione di Bruxelles del 1968, la giurisdizione si radicava con riferimento al luogo di consegna della merce stabilito in Shangai. Quanto al secondo contratto, confermata la valutazione di validità della clausola arbitrale, ha ritenuto che in base ad essa la controversia risultava devoluta all’arbitro di Singapore ed ha declinato la propria competenza a riguardo ‘in quanto la clausola – che prevede un arbitrato rituale – riverbera i propri effetti sulla competenza. L’attività degli arbitri rituali, infatti, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza (Cass. Civ. 34569/2021)’.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ammessa alla procedura di concordato preventivo sulla base di undici motivi; RAGIONE_SOCIALE, ha resistito con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 27696 del 2023 la 1^ Sezione civile della Corte di cassazione, rilevato che i motivi di ricorso investivano la devoluzione della lite al giudice nazionale o ad un giudice o ad arbitro stranieri, ed era altresì in contestazione, sotto questo secondo profilo, la validità della clausola compromissoria fondante la ‘competenza dell’autorità arbitrale di Singapore…’, richiamato il consolidato indirizzo ermeneutico secondo cui l’eccezione di compromesso per arbitri esteri sottopone al giudice una questione non di merito, ma di giurisdizione ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 1, c.p.c. la rimessione del ricorso dinanzi alle Sezioni unite.
Il P.G. ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per l’accoglimento dei motivi quinto, sesto, nono e decimo e per il rigetto degli altri motivi.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione degli artt. 13, 14 e 15 l. n. 218/95, e/o nullità della sentenza e/o del procedimento ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. per omessa motivazione. Denunzia, in estrema sintesi, l’errore di diritto del giudice del gravame sul rilievo che questi, prima di esaminare gli aspetti connessi alla validità delle clausole arbitrali relative ai due contratti, avrebbe dovuto definire la legge in forza della quale determinare tale validità, come, viceversa, non avvenuto. Denunzia, inoltre, che il difetto di puntuale motivazione non consentiva di verificare la corretta applicazione degli artt. 13, 14, e 15 l. n. 218/1995 in relazione all’affermazione della sentenza impugnata secondo la quale il giudice di primo grado aveva determinato il diritto applicabile
Con il secondo motivo deduce ex art. 360, comma 1 nn. 1 e 3, c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 218/95, dell’art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 1968, dell’art.3 della Convenzione dell’Aja del 1955 o dell’art. 4 della Convenzione di Roma del 1980 o dell’art. 57 della Convenzione di Vienna del 1980, nonché dell’art. 1182 c.c. o dell’art. 62 della Legge sul Contratto della Repubblica Popolare Cinese. La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha dichiarato, con riferimento alla fattura n. 5634 del 30.04.09 ed alla clausola n. 15 delle condizioni generali del contratto Wyeth
Nutritionals, la sussistenza della giurisdizione straniera in ragione dei criteri stabiliti dal regolamento (CE) n. 44/2001, oggi sostituito dal regolamento UE n. 1215/2012. Sostiene, infatti, parte ricorrente che, venendo in rilievo in virtù della Convenzione dell’Aja, l’ obbligazione di pagamento, unica dedotta in giudizio, sussisteva l’applicabilità della legge italiana alla luce dell’art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 1968, dell’art. 57 della Convenzione di Vienna del 1980 e dell’art. 1182 c.c., in particolare con riferimento al criterio del luogo di esecuzione della obbligazione di pagamento; rappresenta che al medesimo risultato si sarebbe in ogni caso giunti in applicazione dell’art. 62 della legge cinese sul contratto (Contract Law of the RAGIONE_SOCIALE).
Con il terzo motivo di ricorso deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c., nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., anche con riferimento all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. e/o per omessa motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. . Lamenta carenza di motivazione circa la pattuizione contrattuale che prevedeva la consegna della merce a Shanghai, in Cina, criterio sulla base del quale era stata affermata la sussistenza della giurisdizione della Repubblica Popolare Cinese; secondo la società ricorrente, infatti, la sentenza di appello non aveva esplicitato le ragioni in fatto ed in diritto in ordine al presunto luogo di consegna della merce individuato nel territorio della Repubblica Popolare Cinese.
Con il quarto motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 1, c.p.c. violazione e/o falsa applicazione delle norme in materia di giurisdizione e ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. La sentenza impugnata è censurata
per l’omesso esame del NUMERO_DOCUMENTO, che è riprodotto in ricorso, documento dal quale – si assumeemergeva che la consegna dei materiali era avvenuta presso lo stabilimento italiano della odierna ricorrente; tanto secondo la società ricorrente radicava la giurisdizione del Giudice italiano anche ove fosse stato ritenuto applicabile il Regolamento UE.
Con il quinto motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 1, 2 e 3, c.p.c., violazione delle norme sulla giurisdizione ovvero violazione delle norme sulla competenza e violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 4 l. n. 218/95. Denunzia l’errore della sentenza impugnata nella parte in cui, relativamente nell’ordine di acquisto PO/MAL/2007/151 di cui alla fattura n. 5450 del 03.05.09, aveva dichiarato il proprio difetto di competenza, in favore dell’autorità arbitrale di Singapore; osserva, infatti, che la clausola compromissoria che rinvia ad arbitrato pone, come chiarito dal giudice di legittimità, una questione di giurisdizione – per cui si applicano le norme di cui alla l. 218/95 e, ove necessario, l’ art. II della Convenzione di New York del 1958 – e non anche di competenza.
5.1. Con il motivo indicato come ‘V bis ‘ parte ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., contraddittoria e/o assente motivazione e nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c. e dell’art. 111 Cost.; deduce, inoltre, omessa e contraddittoria motivazione con riferimento all’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c. . Censura la sentenza impugnata sotto il profilo della contraddizione tra motivazione e decisione e della carenza di motivazione in ordine alla qualificazione, come di competenza e non di giurisdizione, della questione relativa alla clausola arbitrale riconosciuta valida.
Con il sesto motivo di ricorso deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza e/o del procedimento ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4, c.p.c. , per violazione dell’art. 132, comma 2 n. 4, c.p.c. . La sentenza impugnata è censurata per avere accertato la validità ed efficacia della clausola n. 20.1 delle Condizioni Generali di contratto relativamente all’ordine di acquisto PO/MAL/2007/151 di cui alla fattura n. 5450 del 03.05.09 senza indicare in forza di quale diritto sarebbe stata effettuata una tale valutazione; tanto comportava la nullità, in parte qua, della sentenza impugnata alla stregua dei princìpi sanciti dal giudice di legittimità (Cass. SU, n. 36374 del 2021).
Con il settimo motivo di ricorso deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 l. n. 218/1995, dell’art. II della Convenzione di New York del 1958, dell’art. 6 della Convenzione di Ginevra del 1961, nonché dell’art. 3 della Convenzione dell’Aja del 1955 ovvero dell’art. 4 della Convenzione di Roma del 1980. Sostiene che la Corte distrettuale avrebbe dovuto verificare la validità ed efficacia della clausola arbitrale alla luce del diritto italiano, ex art. 3 della Convenzione dell’Aja del 1955 in quanto legge interna del paese in cui il venditore ha sede, ovvero, ex art. 4 della Convenzione di Roma del 1980, in quanto legge del paese col quale il contratto presenta il collegamento più stretto.
Con l’ottavo motivo di ricorso deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1370 c.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 08 c.p.c.; denunzia l’incomprensibilità del ragionamento del giudice di appello in punto di valutazione della clausola compromissoria di cui all’art. 20.1 delle Condizioni Generali Arbitrato ; sostiene che tale clausola non conteneva alcuna indicazione circa la volontà delle parti di
conferire esclusivamente ad un arbitro il potere di decidere le controversie scaturenti dal contratto. Premesso inoltre che dalla sentenza impugnata non era dato evincere sulla base di quale diritto era stata valutata la clausola compromissoria, ribadisce l’applicabilità della legge italiana ed assume che la corretta applicazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale avrebbe comportato l’accoglimento delle eccezioni di invalidità ed inefficacia formulate da esso esponente il quale aveva dedotto che la clausola arbitrale era priva dei requisiti sostanziali e formali a tal fine indispensabili.
9. Con il nono motivo deduce ex art. 360, comma 1, nn. 1, 2 e 3, c.p.c., violazione delle norme sulla competenza nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 l. n. 218/1995 e dell’art. II della Convenzione di New York del 1958. Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto soddisfatto il requisito della forma scritta della clausola arbitrale, in violazione dell’art. II della Convenzione di New York del 1958. Sostiene che il mero richiamo alle condizioni generali di contratto contenuto nell’ordine di acquisto non costituiva condizione sufficiente per la validità della clausola essendo necessaria un’espressa accettazione delle suddette condizioni generali di contratto. Ciò in coerenza con la ratio della previsione che è quella di imporre una piena e consapevole adesione delle parti che intendono sostituire la giurisdizione naturale con quella alternativamente scelta. Né – si sostiene- può ritenersi provata l’accettazione da parte dell’appellante della clausola arbitrale in quanto secondo la sentenza impugnata clausola conosciuta (o conoscibile) dalla società esponente; in ordine a tale fatto, infatti, la motivazione della pronuncia impugnata risultava priva di logica poiché la Corte si era limitata a fare riferimento sic et simpliciter alla
qualità di imprenditore a livello internazionale della società esponente.
Con il decimo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1, nn. 1, 2 e n. 3 c.p.c. , violazione e/o falsa applicazione degli artt. 13, 14 e 15 l. n. 218/1995 con riferimento alla normativa malese rilevante, ossia i paragrafi 9 e 39 dell’Arbitration Act del 2005. Sostiene la invalidità e/o inefficacia della clausola compromissoria per arbitrato estero anche in forza della normativa malese, ove ritenuta applicabile.
Con l’undicesimo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 nn. 1 3 c.p.c., violazione delle norme sulla competenza nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 218/95 e dell’art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 1968. Sostiene che una volta esclusa la operatività della clausola arbitrale, la competenza giurisdizionale avrebbe dovuto essere determinata sulla base dell’art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 1968 (ossia il luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita), come richiamato dall’art. 3 della l. n. 218/1995. In particolare afferma, anche in relazione a tale contratto, la giurisdizione del giudice italiano in quanto: a) l’obbligazione contrattuale oggetto della controversia tra le parti era costituita dal pagamento del corrispettivo della fornitura; b) sulla base delle norme di diritto internazionale privato dell’ordinamento italiano la legge sostanziale applicabile al rapporto giuridico tra le parti (lex causae) è quella italiana; c) il luogo di adempimento dell’obbligazione contrattuale controversa è da individuarsi nella sede del venditore, sia in forza dell’art. 57 della Convenzione di Vienna del 1980, sia in forza dell’art. 1182 c.c. . Sostiene, infine, che, in relazione a quest’ultimo profilo la soluzione non cambierebbe anche ove dovesse ritenersi applicabile il diritto malese.
12. I primi quattro motivi di ricorso devono essere respinti. Il primo motivo di ricorso è inammissibile; esso si sostanzia nella reiterazione del primo motivo di gravame del giudizio di appello senza confrontarsi con le ragioni poste a base del rigetto nella sentenza impugnata. La Corte distrettuale ha infatti ritenuto infondato il primo motivo di appello, ‘poiché il giudice non ha declinato la giurisdizione in ragione del fatto che i contratti sono disciplinati l’uno dalla legge cinese e l’altro dalla legge malese – peraltro così accertando la legge ai medesimi applicabile, diversamente da quanto censurato – bensì in forza delle clausole arbitrali nei medesimi previste’; in tal modo la Corte distrettuale ha mostrato di rilevare, in definitiva, un difetto di pertinenza del motivo di appello rispetto alle ragioni del decisum di primo grado, rilievo quest’ultimo non specificamente investito da censura; in secondo luogo, in relazione alla censura con la quale si denunzia la mancata individuazione da parte della Corte distrettuale della legge in forza della quale era stata verificata la validità ed efficacia della clausola arbitrale di cui al punto 15 delle Condizioni generali di contratto (fattura n. 5364/2009) si rileva il difetto di interesse concreto ed attuale all’articolazione della censura; ciò in quanto la sentenza impugnata ha riformato sul punto la decisione di prime cure, affermando la sussistenza della giurisdizione della Repubblica Popolare Cinese, affermazione che come si argomenterà nell’esame dei motivi che seguono risulta in diritto corretta; quanto alla individuazione della legge sulla base della quale è stata affermata la validità della clausola arbitrale relativa alle controversie scaturenti dal contratto di cui alla fattura n. 5450/2009 ogni valutazione a riguardo resta assorbita dall’accoglimento, per le ragioni di cui in prosieguo, del nono motivo di ricorso.
12.1. Il secondo motivo di ricorso è infondato in quanto correttamente la Corte distrettuale ha affermato la giurisdizione della Repubblica Popolare Cinese. Si premette che, essendo pacifico che nei confronti della odierna controricorrente, convenuta in primo grado, non ricorrevano le condizioni di cui al primo comma dell’art. 3 della legge n. 218 del 1995, secondo il quale ‘ La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’articolo 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista dalla legge’, la giurisdizione del giudice italiano doveva essere verificata ai sensi del secondo comma dell’art. 3 l. n. 218/1995 cit., a mente del quale ‘ La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi con la legge 21 giugno 1971, n. 804, e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio.’. Ciò posto, non è revocabile in dubbio che la materia in esame rientri nel campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles in tema di competenza giurisdizionale ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, la quale esplicitamente è finalizzata a regolare la materia civile e commerciale (art. 1), e quindi anche contrattuale, al cui ambito si iscrive la controversia instaurata da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione nei confronti della odierna controricorrente. A
riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che ‘In tema di giurisdizione dei giudici italiani nei confronti di soggetti stranieri, ai sensi dell’art.3, comma 2, della l. n.218 del 1995, allorché il convenuto non sia domiciliato in uno Stato membro dell’Unione europea, la giurisdizione italiana, quando si tratti di una delle materie già comprese nel campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, sussiste in base ai criteri stabiliti dal Regolamento (UE) n. 1215 del 2012, che ha sostituito il Regolamento (CE) n. 44 del 2001, a sua volta sostitutivo della predetta convenzione’ (Cass. S.U., n. 18299 del 2021, e, in senso analogo Cass. S. U., n. 33002 del 2021 e Cass. S.U., n. 7065 del 2023).
In continuità con tale indirizzo il criterio di verifica della giurisdizione del giudice italiano deve essere tratto dal Regolamento comunitario n. 44/2001, sostitutivo della Convenzione di Bruxelles, ratione temporis applicabile in ragione della data di instaurazione della controversia -nell’anno 2012 -, in epoca quindi antecedente a quella di applicabilità del Regolamento UE n. 1215/2012 entrato in vigore il 10 gennaio 2015 (art. 66, Reg. cit.). Orbene, l’art. 5, comma 1, lettera a) Regolamento UE n. 44/2001, in relazione alla compravendita di cose mobili fa riferimento, al fine del radicamento della giurisdizione, al luogo di consegna della cosa, per cui sotto questo profilo risulta confermata la correttezza della decisione del giudice di appello che ha escluso la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano per essere il luogo di consegna della merce stabilito in Singapore, nella Repubblica Popolare Cinese. Infondata si rivela a riguardo la deduzione della ricorrente la quale sostiene che ,alla luce delle discipline internazionali richiamate in rubrica, al fine del radicamento della giurisdizione, occorrerebbe guardare alla
obbligazione dedotta in giudizio, che è quella avente ad oggetto non la consegna del bene ma il pagamento del corrispettivo del bene consegnato, e quindi al luogo di esecuzione della detta prestazione che, anche in applicazione dell’art. 1183 c.c.. deve ritenersi stabilito in Italia.
L’assunto non ha pregio alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale ‘Per “obbligazione dedotta in giudizio”, ai fini dell’individuazione della giurisdizione ai sensi dell’art. 5, del Reg. (CE) n. 44 del 2001, si intende non già quella fatta valere dall’attore, ma sempre e solo quella caratterizzante il contratto e coincidente, nel caso di vendita internazionale a distanza di beni mobili da trasportare, per effetto di quanto disposto dall’art. 5, lett. b, del cit. Reg., con quella avente ad oggetto la consegna del bene, da valutare con riferimento al luogo di recapito finale della merce, ove questa, cioè, entra nella disponibilità materiale e non solo giuridica dell’acquirente. Ne consegue che, sussistendo la giurisdizione del giudice dello Stato in cui avviene la consegna rispetto a tutte le controversie reciprocamente nascenti dal contratto, essa include anche quella relativa al pagamento dei beni alienati, prevalendo la disciplina del cit. Reg. sulle disposizioni della Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980, i cui artt. 31 e 57 (relativi, rispettivamente, al luogo in cui il vettore eventualmente incaricato abbia preso in consegna la merce ed all’individuazione del luogo di pagamento del prezzo) vanno interpretati nel senso che contengono una “regula iuris” idonea a disciplinare i rapporti tra le parti, ma non la giurisdizione.’ (Cass. n. 35784 del 2021, conforme a Cass. S.U., n. 17566 del 2019).
12.2. Il terzo motivo di ricorso è infondato. Non sussiste innanzitutto la denunziata apparenza di motivazione posto che
la Corte distrettuale ha esplicitato, con riferimento alla statuizione di difetto di giurisdizione relativo al primo contratto, i presupposti giuridici e fattuali alla base della ritenuta giurisdizione della Repubblica Popolare Cinese; sotto il primo profilo ha richiamato la ricostruzione del giudice di legittimità in fattispecie analoga a quella in esame in punto di ritenuta applicabilità, in via mediata, del Regolamento UE, quale conseguenza del riferimento ad esso operato dalla l. n. 218/1995. Sotto il secondo profilo ha fatto riferimento alla clausola contrattuale che indicava nella città di Shangai, nella Repubblica Popolare Cinese, il luogo di consegna della merce.
12.3. L’ accertamento della comune volontà delle parti circa il luogo di consegna della merce non è validamente incrinato dalle deduzioni espresse con il quarto motivo di ricorso, con il quale si denunzia omesso esame del NUMERO_DOCUMENTO dal quale, secondo la prospettazione della società ricorrente, emergerebbe che la consegna dei materiali era avvenuta presso lo stabilimento italiano della società RAGIONE_SOCIALE
Il motivo risulta infatti inammissibile per difetto di specificità; parte ricorrente non chiarisce la rilevanza del documento ai fini della ricostruzione della comune volontà delle parti espressa in contratto e neppure chiarisce se ed in che termini la questione della valenza di tale documento, non espressamente affrontata dalla Corte distrettuale, aveva costituito un punto controverso nell’ambito del giudizio di merito, come viceversa necessario onde non incorrere nella violazione del divieto di novum (Cass., n. 20694 del 2018, Cass., n.15430 del 2018, Cass. n. 23675 del 2013).
13. Il quinto motivo ed il quinto motivo bis, trattati congiuntamente per connessione, sono inammissibili.
13.1. Si premette che la Corte di merito ha qualificato in termini di ‘competenza’ anziché di ‘giurisdizione’ la questione relativa alla devoluzione all’arbitro estero della controversia relativa alla fattura n. 5450/2009, richiamando il principio affermato dal giudice di legittimità (Cass. n. 34569 del 2021) il quale, a sua volta, secondo quanto emerge dalla relativa motivazione, lo aveva mutuato dalla sentenza n. 24153 del 2013 resa a sezioni unite da questa Corte. Quest’ultima decisione, operando, come noto, un revirement rispetto a precedente arresto del giudice di legittimità – che configurava come eccezione preliminare di merito, l’eccezione di compromesso arbitrale -, ha riconosciuto all’arbitrato rituale italiano, in conseguenza della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario; in questa prospettiva, sul presupposto della nota tesi del “convogliamento” dell’arbitrato nell’ambito del giudizio ordinario ha ritenuto che il contrasto circa l’attribuzione della cognizione della controversia al collegio arbitrale italiano o al giudice ordinario italiano integrasse una questione di competenza e non di giurisdizione, precisando che ove si poneva questione di cognizione attribuita al giudice speciale, veniva in rilievo una questione di giurisdizione. Analogamente, in presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, il giudice di legittimità ha chiarito che essa, in relazione al combinato disposto della .l. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2 e art. 11, che equipara la deroga convenzionale alla giustizia italiana in favore di arbitrato estero alla deroga in favore di un giudice straniero, entrambe inserendo fra i limiti alla giurisdizione italiana definiti dal Titolo 2^ della legge
medesima, dava luogo ad una questione di giurisdizione (Cass., n. 14186 del 2023).
13.2. Ciò posto. l’errore di qualificazione della questione in esame – in termini di ‘competenza’ anziché in termini di ‘giurisdizione’ – nel quale effettivamente è incorsa la Corte di merito nel dichiarare il proprio ‘difetto di competenza’ in favore dell’autorità arbitrale di Singapore a conoscere della controversia relativa al contratto NUMERO_DOCUMENTO di cui alla fattura n. 5450/2009, si risolve in un’improprietà terminologica, priva di concrete conseguenze giuridiche; invero, ciò che nel contesto argomentativo della decisione di appello assume concreto rilievo è la circostanza che la Corte di merito abbia ritenuto il proprio difetto di <> in ordine al caso in esame, difetto derivante dalla esistenza di una valida clausola di compromesso. Da tanto deriva l’inammissibilità dei motivi cinque e cinque bis , per difetto di interesse ad impugnare in capo alla società ricorrente posto che l’accoglimento delle censure articolate non condurrebbe ad alcun utile risultato, giuridicamente apprezzabile, ove commisurato alle conclusioni spiegate nel ricorso per cassazione.
Il nono motivo di ricorso, che si esamina con priorità rispetto ai residui motivi per il carattere dirimente connesso al relativo accoglimento, è fondato.
14.1. La sentenza impugnata, premesso che in tema di arbitrato internazionale, nel sistema delineato dalla Convenzione di New York del 1958 , ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 19 gennaio 1968, n. 62, spetta al giudice adito, in via assolutamente preliminare, senza efficacia di giudicato e sulla domanda della parte che invochi l’esistenza di una clausola arbitrale verificarne la validità, ha ritenuto valida
ed efficace la clausola di cui al punto 20.1. delle condizioni generali di acquisto regolanti il contratto NUMERO_DOCUMENTO di cui alla fattura n. NUMERO_DOCUMENTO. A tal fine ha evidenziato che l’art. 2 del contratto principale (denominato ‘ordine di acquisto’) non solo faceva espresso richiamo alle condizioni generali di acquisto, ma ulteriormente precisava che l’ordine e tali condizioni generali ed altri documenti ‘costituiscono l’intero contratto’ e che l’art. 13 intitolato ‘Intero Accordo’ ribadiva che ‘ Il presente ordine di acquisto e tutti i documenti ivi indicati costituiscono l’intero accordo fra le parti in merito al relativo contenuto’. Ha quindi precisato che risultava provata l’accettazione da parte dell’appellante della clausola arbitrale richiamata nel contratto <>, in quanto conosciuta ‘o almeno conoscibile’ tenendo conto, in primo luogo, che mai l’appellante aveva affermato di non averla conosciuta e, in secondo luogo, della sua qualità di imprenditore a livello internazionale.
14.2. La valutazione del giudice di appello, che in sostanza ammette la validità di una clausola arbitrale sulla base di un generico rinvio <> alla stessa e sulla base della relativa mera conoscibilità, non è conforme alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito che ‘Ai sensi dell’art. 2 della Convenzione di New York del 10 giugno 1958, ratificata con la legge 19 gennaio 1968, n. 62, e dell’art. 808 cod. proc. civ., agli arbitri stranieri nel c.d. arbitrato estero può deferirsi, in via preventiva ed eventuale, la decisione delle controversie non ancora insorte, tramite una clausola compromissoria redatta in forma scritta “ad substantiam”, la quale identifichi con esattezza le future controversie aventi origine dal contratto principale: tale requisito di forma è soddisfatto – con riguardo alle clausole
compromissorie “per relationem”, ovvero quelle previste in un diverso negozio o documento cui il contratto faccia riferimento -allorché il rinvio, contenuto nel contratto, preveda un richiamo espresso e specifico della clausola compromissoria e non, invece, allorché il rinvio sia generico, richiamandosi semplicemente il documento o il formulario che contenga la clausola stessa, in quanto soltanto il richiamo espresso assicura la piena consapevolezza delle parti in ordine alla deroga alla giurisdizione’ (Cass. S.U., n. 11529 del 2009 e, in termini, si veda anche Cass. n. 3285 del 1985).
Da tanto consegue, assorbiti gli altri motivi, la cassazione in parte qua della sentenza impugnata con affermazione della giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla domanda relativa al contratto di cui alla fattura 3/6/2009 n. 5450 e rimessione delle parti al Tribunale ordinario territorialmente competente.
Atteso l’esito del giudizio le spese di cassazione sono interamente compensate.
P.Q.M.
La Corte rigetta i motivi dal primo al cinque bis ; accoglie il nono motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; dichiara la giurisdizione del giudice italiano e rimette le parti al Tribunale ordinario territorialmente competente, già investito. Compensa le spese di lite.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 27 febbraio