Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7894 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7894 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25018/2021 R.G. proposto da MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE e MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI, in persona dei Ministri p.t., nonché AGENZIA DELLE DOGANE E DEI RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO
-ricorrenti – contro
COGNOME NOMECOGNOME e COGNOME in qualità di soci della RAGIONE_SOCIALE
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2286/21, depositata il 29 marzo 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 marzo 2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con lodo sottoscritto il 14 novembre 2013, il collegio arbitrale costituito per la risoluzione di una controversia insorta nel corso dell’esecuzione di una convenzione stipulata tra l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e la RAGIONE_SOCIALE per la disciplina del rapporto inerente ad una concessione per la raccolta delle scommesse sulle corse dei cavalli a) dichiarò il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e l’Amministrazione autonoma responsabili per il ritardo e l’inadempimento della convenzione, b) li condannò in solido al risarcimento dei danni in favore della RAGIONE_SOCIALE, in misura pari b1) allo 0,70% del corrispettivo convenuto per la raccolta delle scommesse a totalizzatore, per il ritardo nell’avvio dell’accettazione delle scommesse a quota fissa dal 1° gennaio 2000 al mese di aprile 2001, b2) allo 0,70% del corrispettivo convenuto per la raccolta delle scommesse a totalizzatore, per il ritardo nell’avvio dell’accettazione delle scommesse a quota fissa dal 1° gennaio al mese di luglio 2000, b3) al 10% del corrispettivo convenuto per la raccolta delle scommesse a totalizzatore, per il ritardo nell’avvio dell’accettazione delle scommesse a totalizzatore nazionale dal 1° gennaio 2000 al 2005, c) rigettò le altre domande ed eccezioni proposte dalle parti, e d) pose a carico delle parti, in solido, il pagamento delle spese processuali, ripartite per il 50% tra di esse.
L’impugnazione proposta dai Ministeri e dall’Agenzia delle Dogane e dei Minopoli nei confronti di NOME Silva, NOME NOME, NOME e NOME, già soci della NOME COGNOME, cancellata dal Registro delle Imprese il 1° marzo 2013, è stata parzialmente accolta dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 29 marzo 2021 ha dichiarato la nulllità del lodo arbitrale, nella parte recante la condanna in solido dei Ministeri.
A fondamento della decisione, la Corte ha confermato innanzitutto la compromettibilità in arbitri della controversia, osservando che il petitum sostanziale della pretesa azionata in sede arbitrale, pur investendo il rapporto concessorio, riguardava la fase della sua attuazione e non implicava la valutazione di profili attinenti all’esercizio di un’autorità amministrativa tipica in-
cidente sul momento funzionale della concessione, con la conseguenza che la controversia, avente ad oggetto diritti soggettivi, non poteva ritenersi sottratta alla giurisdizione del Giudice ordinario, cui spetta il potere di giudicare in ordine alle questioni riguardanti l’inadempimento della concessione, con indagine diretta alla determinazione nei diritti e degli obblighi delle parti, nonché quello di valutare, in via incidentale, la legittimità degli atti amministrativi incidenti sulla determinazione del corrispettivo.
Ha inoltre escluso la nullità della clausola compromissoria, nella parte in cui attribuiva soltanto al concessionario la facoltà di declinare la competenza arbitrale, rilevando che la stessa risultava conforme allo schema approvato con d.m. 20 aprile 1999, unilateralmente predisposto dalla stessa Amministrazione, con la conseguente insussistenza di esigenze di riequilibrio del sinallagma contrattuale.
Ha ritenuto invece insussistente la legittimazione passiva dei Ministeri, rilevando che le competenze in materia di giochi e scommesse relativi alle corse dei cavalli, già riservate agli stessi dall’art. 3, comma 77, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, erano state trasferite dapprima all’Agenzia delle entrate, con d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, ed in seguito, con d.P.R. 24 gennaio 2002, n. 33, confermato dall’art. 4, comma primo, del d.l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito in legge 8 agosto 2002, n. 178, all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, poi incorporata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ai sensi dell’art. 23quater del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135.
Avverso la predetta sentenza i Ministeri e l’Agenzia hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.
Con ordinanza interlocutoria del 29 ottobre 2024, è stata disposta la rinotifica del ricorso a NOME COGNOME e NOME COGNOME non essendo stata fornita la prova dell’esito positivo della notificazione del ricorso agli stessi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, si rileva che i ricorrenti hanno fornito la prova di aver ritualmente e tempestivamente provveduto alla sanatoria della nullità rilevata
con l’ordinanza interlocutoria, producendo la documentazione attestante la rinotificazione del ricorso per cassazione nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME richiesta il 20 dicembre 2024 ed effettuata il 27 dicembre 2024.
Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano il difetto di giurisdizione del collegio arbitrale e la nullità del lodo ai sensi degli artt. 808, primo comma, e 829, primo comma, nn. 1 e 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 103 Cost., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dal ritardo nell’attivazione di determinate tipologie di scommesse fosse compromettibile in arbitri, in quanto spettante alla giurisdizione del Giudice ordinario. Premesso che, a fondamento di tale affermazione, la Corte di merito ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale riguardante le controversie in tema di risarcimento dei danni cagionati dalla formazione di un mercato clandestino parallelo nel settore delle scommesse ippiche, sostengono che, a differenza di queste ultime, la controversia in esame implicava la verifica dell’azione autoritativa della Pubblica Amministrazione: precisato infatti che l’art. 4 del d.P.R. 8 aprile 1998, n. 169, nel riordinare la disciplina relativa alle scommesse ippiche, demanda l’individuazione di quelle effettuabili a decreti del Ministero dell’economica e delle finanze, da adottarsi di concerto con il Ministro delle politiche agricole, su proposta dell’UNIRE, e rilevato inoltre che le scommesse a totalizzatore, vietate espressamente dal comma quarto dell’art. 4 cit., sono state autorizzate soltanto con il decreto interdirigenziale del 25 ottobre 2004, osservano che la controversia non aveva ad oggetto un inadempimento contrattuale, ma il ritardo nell’esercizio di un potere autoritativo, che costituiva il presupposto per l’accesso a determinati tipi di scommesse.
3. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 808, 809, terzo comma, 810 e 829 cod. proc. civ., nonché la nullità del lodo ai sensi dell’art. 829, primo comma, nn. 1 e 4 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la facoltà dell’Amministrazione di declinare la competenza arbitrale, in tal modo attribuendo alla clausola compromissoria il valore di una rinuncia tacita ad avvalersi dell’azione dinanzi al giudice statale. Premesso che il ricorso all’arbitrato può considerarsi
legittimo soltanto a condizione che ad entrambe le parti sia riconosciuta la facoltà di optare per la tutela giurisdizionale statale, rispetto alla quale l’arbitrato si configura come uno strumento alternativo di risoluzione delle controversie, osservano che, in assenza di una pattuizione in forma scritta, la clausola non poteva essere ritenuta preclusiva della facoltà di avvalersi della giurisdizione ordinaria, la cui declinatoria costituisce una deroga ai principi generali dell’ordinamento, avente carattere eccezionale, e quindi insuscettibile di interpretazione analogica. Affermano pertanto la nullità della clausola compromissoria, per contrasto con gli artt. 24, primo comma, e 102, primo comma, Cost., nonché per disparità di trattamento tra le parti, sostenendo inoltre che, nel dare atto della predisposizione unilaterale della stessa da parte dell’Amministrazione, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della mancanza della relativa prova, né del subingresso dell’AAMS nei rapporti concessori non scaduti, che escludeva l’automatica operatività della clausola nei confronti dell’avente causa, in difetto di un’espressa manifestazione di volontà delle parti.
Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 1175, 1218, 1337, 1375 e 2043 cod. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciare in ordine al motivo di impugnazione con cui era stata contestata la responsabilità dell’Amministrazione per il ritardo nell’attivazione di determinate tipologie di scommesse. Premesso che la convenzione non fissava alcun termine per l’avvio dell’accettazione delle scommesse a totalizzatore e a quota fissa anche in via telefonica e telematica, sostengono che il ritardo non era imputabile all’inerzia dell’Amministrazione, ma ai tempi tecnici necessari per l’adozione dei relativi decreti di attuazione, che richiedeva il concorso di diverse Amministrazioni, affermando comunque che l’incidenza economica degli stessi era risultata pressocché nulla.
Il primo motivo, avente ad oggetto la compromettibilità in arbitri della controversia, è infondato.
Correttamente, in proposito, la sentenza impugnata ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di concessioni per l’esercizio di scommesse ippiche, secondo cui la controversia avente ad oggetto
il risarcimento del danno subìto dai concessionari per effetto del sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche poste a base della convenzione può essere deferita ad arbitri rituali, spettando alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto riguardante la fase di attuazione del rapporto concessorio ed avente ad oggetto profili che attengono non già all’esercizio di poteri autoritativi incidenti sul momento funzionale del rapporto, ma all’accertamento dell’inadempimento, da parte dell’Amministrazione concedente, delle obbligazioni che sostanziano il rapporto giuridico convenzionale a carattere paritetico (cfr. Cass., Sez. Un., 26/10/2020, n. 23418). Tale principio è stato infatti enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte in riferimento non soltanto all’ipotesi in cui, a sostegno della domanda di risarcimento proposta nei confronti dell’Amministrazione concedente, sia stato allegato il venir meno di fatto della riserva esclusiva pubblica dell’attività di raccolta delle scommesse, per effetto della diffusione del fenomeno delle scommesse clandestine e dello ingresso nel mercato di bookmakers esteri operanti telematicamente o via internet , ma anche a quella in cui, come nella specie, il concessionario abbia fatto valere la mancata o tardiva attivazione da parte dell’Amministrazione di sistemi di accettazione di scommesse a quota fissa e per via telefonica e telematica.
Non può condividersi, in proposito, la tesi sostenuta dalla difesa erariale, secondo cui l’estensione del predetto principio a quest’ultima ipotesi costituisce il frutto di un insufficiente approfondimento della fattispecie, non assimilabile a quella della domanda di risarcimento del danno derivante dall’inadempimento dell’obbligo di garantire l’esercizio esclusivo dell’attività da parte del concessionario, in quanto implicante un sindacato in ordine all’esercizio del potere discrezionale d’individuare le scommesse effettuabili, attribuito alla Amministrazione dall’art. 4, comma quinto, del d.P.R. n. 169 del 1998, ed esercitato, per le scommesse a totalizzatore, con il decreto interdirigenziale del 25 ottobre 2004: è stato infatti precisato che le medesime argomentazioni che giustificano il riconoscimento al Giudice ordinario della giurisdizione in ordine alle pretese risarcitorie fondate sul mutamento del quadro economico tenuto presente dalle parti nella stipulazione della convenzione sono riferibili anche a quelle fondate sulla mancata attivazione da parte dell’Amministra-
zione della possibilità, per i concessionari, di accettare scommesse ippiche a quota fissa, nonché scommesse per telefono o per via telematica, traendo queste ultime origine dall’inadempimento delle obbligazioni che la convenzione poneva a carico dell’Amministrazione in base alla normativa regolamentare di riferimento, e che, come tali, andavano a definire il complessivo perimetro dei reciproci diritti e obblighi del rapporto concessorio, rilevante nella fase attuativa del rapporto medesimo. Anche per tali pretese vale pertanto l’osservazione che la risoluzione della controversia non implica, neppure in via incidentale, l’accertamento dell’illegittimità di provvedimenti comunque afferenti alla concessione del servizio, né tanto meno del cattivo esercizio da parte dello Stato dei poteri, più generali ed erga omnes , di conservazione dell’ordine e della sicurezza pubblica a tutela della collettività, giacché la correlazione tra la cornice giuridica (spettanza all’Amministrazione del potere d’individuare le tipologie di scommesse effettuabili) e fattuale (mancata attivazione di determinati tipi di scommesse) della vicenda e il contenuto della convenzione accessiva alla concessione consente di attribuire alla pretesa attorea un significato ben diverso rispetto a quello derivante dalla presenza attiva di poteri pubblici conformativi del rapporto giuridico in contestazione. Così come per le pretese risarcitorie fondate sul venir meno di fatto della riserva esclusiva pubblica dell’attività di raccolta delle scommesse, può quindi concludersi, conformemente alla pronuncia delle Sezioni Unite, che «le domande giudiziali non debordano dal perimetro segnato dalla trama dei reciproci diritti e obblighi nascenti dalla convenzione -quale atto accessorio, ma pur sempre autonomo rispetto alla concessione e radicante un rapporto giuridico paritetico -siccome definito compiutamente, attraverso l’interpretazione del regolamento negoziale rimessa al giudice adito, nella sua portata complessiva, da cui se ne sono fatte discendere le relative conseguenze giuridiche effettuali, in ragione dell’affermata inattuazione del programma obbligatorio (anche in termini di dedotta eccessività onerosità della prestazione) recato dalla stessa convenzione».
La giurisdizione in ordine alle controversie in questione spetta pertanto al Giudice ordinario, in applicazione del principio, enunciato dalla più recente giurisprudenza di legittimità in tema di concessioni di pubblici servizi, secondo
cui lo «spartiacque» tra la giurisdizione amministrativa esclusiva e quella ordinaria va individuato nella stipulazione del contratto o nell’aggiudicazione definitiva, trovando ciò fondamento nella stessa norma costituzionale di riparto (art. 103 Cost.), che consente di affidare la materia in questione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo» (cfr. Corte cost., sent. n. 204 del 2004), il quale, in linea di principio (salvo, dunque, tipizzati interventi autoritativi del concedente anche nella fase successiva all’aggiudicazione), è da escludere allorquando, esaurita la fase pubblicistica della scelta del concessionario e sorto il vincolo contrattuale, venga in contestazione la delimitazione del contenuto del rapporto, gli adempimenti delle obbligazioni contrattuali e i relativi effetti (cfr. Cass., Sez. Un., 18/12/2019, n. 33691; 8/ 07/2019, n. 18267; 18/12/2018, n. 32728). Tale principio, come è stato precisato, trova d’altronde conferma nello stesso art. 133, comma primo, lett. c) , cod. proc. amm., che non solo mantiene intatta la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie concernenti «indennità, canoni e altri corrispettivi», ma tipizza, altresì, le controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quelle che costituiscono espressione dell’esercizio di poteri autoritativi (inerenti sia alla fase anteriore che a quella successiva alla stipulazione del contratto), quali sono quelle «relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241 del 7 agosto 1990, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore».
Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, rilevato che la controversia deferita al giudizio degli arbitri aveva ad oggetto il risarcimento del danno subìto dall’attrice non solo a causa del mancato esercizio da parte dello Stato del controllo sul settore delle scommesse ippiche, che aveva comportato il venir meno di fatto della riserva esclusiva di tale attività, in tal modo alterando il quadro economico sotteso alla stipulazione della convenzione, ma anche a causa del ritardo nell’avvio del sistema delle scommesse a quota fissa e di quello di raccolta delle scommesse per via telefonica o telematica, ha confermato la spettanza di entrambe le pretese alla
giurisdizione del Giudice ordinario, e quindi la loro compromettibilità in arbitri, avuto riguardo al petitum sostanziale delle domande avanzate, individuato in base ai fatti allegati ed al rapporto giuridico di cui gli stessi costituivano manifestazione, e riconducibile, come affermato dalle Sezioni Unite, allo schema qualificatorio fondato sul binomio «obbligo-pretesa», piuttosto che a quello «potere-interesse».
6. E’ altresì infondato il secondo motivo, riflettente la nullità della clausola compromissoria, nella parte in cui, facendo salva la declinatoria della competenza arbitrale da parte della sola concessionaria, è stata interpretata dalla sentenza impugnata come una rinuncia tacita dell’Amministrazione ad avvalersi della tutela giurisdizionale statale.
Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, la clausola compromissoria che attribuisca soltanto ad una delle parti la facoltà di declinare la competenza arbitrale e di chiedere che la causa sia decisa dal Giudice ordinario non può ritenersi invalida, non ponendosi in contrasto con i limiti di esercizio dell’autonomia privata, giacché la derogabilità unilaterale non contraddice alcuna norma vigente, né valori immanenti all’ordinamento, ma costituisce anzi espressione di una tendenza coerente con il sistema, favorevole al riconoscimento della giustizia pubblica quale forma primaria di risoluzione dei conflitti (cfr. Cass., Sez. I, 22/10/1970, n. 2096; 19/10/1960, n. 2837; Cass., Sez. VI, 22/05/2015, n. 10679). In effetti, pur introducendo un trattamento differenziato tra le parti, in relazione alla scelta delle modalità di definizione delle controversie nascenti dal contratto, la clausola in questione appare idonea a soddisfare le esigenze di certezza della tutela e mutualità e reciprocità del consenso connesse alla stipulazione della convenzione di arbitrato, traducendosi nella preventiva individuazione della parte vincolata alla osservanza della competenza arbitrale, e costituendo il frutto di una convergente manifestazione di volontà delle parti, volta a consentire ad una sola di esse di sottrarsi a tale competenza optando, in alternativa, per l’azione dinanzi al Giudice ordinario: non a caso, tale accordo è stato assimilato ad un patto di opzione, con cui, ai sensi dell’art. 1331 cod. civ, le parti convengono sulla possibilità di derogare alla giurisdizione ordinaria, rimettendo tuttavia ad una di esse la decisione finale sul punto. In tale prospettiva, l’unica que-
stione che residua, ai fini del riconoscimento della validità della predetta clausola, riguarda il carattere vessatorio della stessa, e la conseguente necessità della specifica approvazione per iscritto delle parti, ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ.: questione che la sentenza impugnata ha correttamente risolto mediante l’osservazione che la clausola compromissoria contenuta nell’art. 15 della convenzione stipulata tra le parti risultava conforme a quella riportata nello schema-tipo approvato con d.m. 20 aprile 1999, predisposto dalla stessa Amministrazione; in tema di condizioni generali di contratto, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che la parte predisponente non può invocare la nullità delle clausole c.d. vessatorie per difetto della specifica approvazione di cui all’art. 1341, secondo comma, cod. civ., trattandosi di un requisito prescritto per l’opponibilità delle stesse al contraente aderente, il quale è quindi l’unico legittimato a farne valere l’eventuale mancanza (cfr. Cass., Sez. II, 21/08/2017, n. 20205; Cass., Sez. VI; 20/08/2012, n. 14570).
Conformemente a tali principi, questa Corte ha recentemente riconosciuto, in relazione a controversie aventi anch’esse ad oggetto il risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento degli obblighi previsti da convenzioni accessive a concessioni per la raccolta delle scommesse ippiche, la validità della clausola compromissoria prevista dall’art. 15 della convenzione-tipo approvata con d.m. 20 aprile 1999 (Cass., Sez. I, 28/02/2024, n. 5257), escludendo, in particolare, che la stessa preveda un arbitrato obbligatorio, in virtù della considerazione che essa non costituisce espressione di una volontà autoritativa esterna, né comporta una forzata coercizione a rinunciare alla giurisdizione ordinaria, avendo la parte pubblica manifestato preventivamente la volontà di assoggettarsi al giudizio arbitrale, mediante la predisposizione a monte dello schema di convenzione (cfr. Cass., Sez. I, 4/04/2024, n. 8863). Premesso infatti che, come costantemente ribadito dalla Corte costituzionale, il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, la quale soltanto può derogare al precetto contenuto nell’art. 102, primo comma, Cost., sicché la fonte dell’arbitrato non può ricercarsi in una legge ordinaria o, più in generale, in una volontà autoritativa (cfr. Corte cost., sent. n. 221 del 2005; n. 325 del 1998; n. 381 del 1997; n. 54 del 1996; n. 49,
206 e 232 del 1994), e richiamata l’ulteriore precisazione che, ai fini della vanificazione della facoltatività bilaterale dell’opzione, è sufficiente anche la prescrizione di un accordo delle parti per derogare alla competenza arbitrale, la quale rimette alla volontà della parte che non voglia tale accordo l’effetto di rendere l’arbitrato obbligatorio per l’altro soggetto che non lo abbia voluto (cfr. Corte cost., sent. n. 152 del 1996), si è osservato che l’arbitrato obbligatorio è ravvisabile ove sia preclusa alle parti la possibilità di adire il Giudice statuale, rilevandosi invece che nella specie la volontà dell’Amministrazione di assoggettarsi all’arbitrato è stata da essa liberamente manifestata a monte sia predisponendo, sia imponendo la clausola in questione alla controparte contrattuale, concludendosi che l’asimmetria della facoltà declinatoria è razionale e giustificata con la scelta adottata a monte dalla parte pubblica.
7. Il terzo motivo è inammissibile, per difetto di specificità, avendo ad oggetto l’omessa pronuncia in ordine alla questione, non menzionata in alcun modo nella sentenza impugnata, riguardante la responsabilità dell’Amministrazione per il ritardo nell’attivazione di determinate tipologie di scommesse, ma non essendo accompagnato dall’allegazione dell’avvenuta proposizione di un motivo d’impugnazione al riguardo.
Il giudizio d’impugnazione del lodo arbitrale costituisce un rimedio a critica vincolata, proponibile entro i limiti stabiliti dall’art. 829 cod. proc. civ., nel quale vige la regola della specificità della formulazione dei motivi, avuto riguardo alla natura rescindente dell’impugnazione e alla necessità di consentire al giudice ed alla controparte di verificare se le contestazioni proposte corrispondano esattamente a quelle formulabili alla stregua della suddetta norma, mentre, in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza conclusiva di quel giudizio, il sindacato di legittimità, volto a controllarne l’adeguata e corretta giustificazione in relazione ai motivi di impugnazione del lodo, va condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge della decisione e della congruità della motivazione. Pertanto, le censure proposte con il ricorso per cassazione non possono esaurirsi, come nella specie, nel richiamo a principi di diritto, con invito a controllarne l’osservanza da parte degli arbitri e della corte territoriale, ma esigono un pertinente riferimento ai fatti ritenuti dagli arbitri, per rendere autosufficiente ed intellegibile la tesi
per cui le conseguenze tratte da quei fatti violerebbero i principi medesimi, nonché l’esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, che precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito (cfr. Cass., Sez. I, 30/11/2020, n. 27321; 18/10/2013, n. 23675; 15/03/2007, n. 6028).
8. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione degl’intimati.
L’esenzione della ricorrente, in qualità di Amministrazione dello Stato, dal pagamento delle imposte e delle tasse gravanti sul processo, attraverso il meccanismo della prenotazione a debito, ne esclude la condanna al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (cfr. Cass., Sez. VI, 29/01/ 2016, n. 1778; 5/11/2014, n. 23514; Cass., Sez. III, 14/03/2014, n. 5955).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 12/03/2025