Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7890 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7890 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25173/2022 R.G. proposto da :
COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
R.G. 25173/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 10/2/2025
C.C. 14/4/2022
RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE. ASSICURAZIONE.
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
nonché contro
NOME
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di LECCE n. 828/2022 depositata il 15/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio NOME COGNOME davanti al Tribunale di Lecce, chiedendo che fosse condannata al risarcimento di tutti i danni da lei subiti a causa delle gravi negligenze professionali imputabili alla convenuta.
A sostegno della domanda espose, tra l’altro, di aver affidato alla COGNOME, ragioniere commercialista, l’attività di consulenza fiscale e tributaria connessa con l’esercizio di una tabaccheria della quale l’attrice era titolare, unitamente al compito di presentare le denunce dei redditi e di seguire tutte le incombenze fiscali e tributarie. Aggiunse che, a causa della mancata presentazione della denuncia dei redditi da parte della convenuta, la Guardia di finanza aveva eseguito un complesso accertamento fiscale a carico della sua tabaccheria, dal quale era scaturito un processo penale terminato con l’assoluzione della parte attrice. Dopo aver indicato le numerose e gravi inadempienze riconducibili alla negligenza della Gabellone, la COGNOME chiese che ella fosse condannata al risarcimento di tutti i danni.
Si costituì in giudizio la convenuta, ammettendo le proprie responsabilità e accettando la liquidazione dei danni indicata dall’attrice, chiedendo inoltre di essere autorizzata alla chiamata in causa delle società di assicurazioni con le quali aveva stipulato le relative polizze.
Si costituirono in giudizio, quindi, la società italiana di assicurazioni (SIA), la Generali Italia s.p.aRAGIONE_SOCIALE e la Unipol Assicurazioni s.p.aRAGIONE_SOCIALE, le quali tutte eccepirono l’inoperatività delle rispettive polizze, ciascuna per diverse ragioni.
Il Tribunale accolse parzialmente la domanda e condannò la Gabellone a pagare alla Accoto, a titolo di responsabilità professionale, la somma di euro 108.591,11; accolse, inoltre, la domanda di manleva avanzata dalla convenuta e condannò le tre società assicuratrici, in solido, al pagamento della somma di euro 108.591,11, con detrazione della franchigia, regolando le spese di lite.
La sentenza è stata impugnata in via principale dalla Generali Italia s.p.a. e in via incidentale dalla SIA s.p.a. e dall’UnipolSai s.p.a. e la Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 15 luglio 2022, accogliendo le impugnazioni delle società assicuratrici, ha rigettato le domande di manleva proposte dalla Gabellone; ha confermato la condanna di quest’ultima al pagamento, in favore della Accoto, della somma liquidata dal Tribunale; ha condannato la Accoto alla restituzione di tutte le somme ricevute dalle compagnie assicuratrici e ha regolato nuovamente le spese di lite.
2.1. La Corte territoriale ha preso le mosse dall’esame dell’appello principale di RAGIONE_SOCIALE, fondato su otto motivi, che è stato dichiarato fondato.
La sentenza ha innanzitutto affermato di non condividere la decisione del Tribunale di ritenere nulla, per violazione dell’art. 1892 cod. civ., la clausola di cui all’art. 7 delle condizioni generali
del contratto di assicurazione. Dopo aver riportato il testo dell’art. 1892 cit. ed aver aggiunto che tale norma non è derogabile, ai sensi dell’art. 1932 cod. civ., in peius per l’assicurato, la Corte di merito ha osservato che l’art. 7 doveva essere ritenuto valido. Tale previsione contrattuale -in base alla quale le eventuali richieste risarcitorie presentate dall’assicurato, per la prima volta, per sinistri anteriori alla stipula, sarebbero rimaste prive di copertura per un periodo di sei mesi -non era priva di corrispettivo, perché nei primi sei mesi di vita del rapporto la polizza garantisce comunque una copertura assicurativa per i sinistri verificatisi dopo la stipula del contratto. Quanto, invece, ai fatti pregressi, il patto volto ad escludere la copertura doveva ritenersi rientrante «a pieno titolo nell’area riservata all’autonomia negoziale».
La Corte d’appello ha ritenuto fondato anche l’ulteriore motivo di appello col quale la società RAGIONE_SOCIALE aveva censurato l’interpretazione dell’art. 1892 cod. civ. data dal Tribunale. Non poteva essere ritenuto esatto che il rifiuto dell’indennizzo, da parte dell’assicuratore, in caso di dichiarazioni reticenti o mendaci sia esperibile solo previo tempestivo esperimento dell’apposita domanda di annullamento del contratto. Alla luce della giurisprudenza di legittimità, l’art. 1892, terzo comma, cit., deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di manifestare la volontà di esercitare il potere di annullamento del contratto nel termine di tre mesi non sussiste se il sinistro si verifica prima del decorso di tale termine oppure prima che l’assicuratore venga a conoscenza del contenuto reticente delle dichiarazioni rese dall’assicurato. Nella specie, la Gabellone aveva stipulato il contratto con Generali in data 8 ottobre 2013, essendo a quell’epoca pienamente consapevole di aver arrecato danno alla sua cliente, posto che le operazioni di verifica fiscale della Guardia di finanza si erano svolte da febbraio ad aprile 2012. Pertanto, avendo Generali Italia avuto notizia della condotta antigiuridica dell’assicurata solo con la
notifica dell’atto di citazione, a sinistro avvenuto, correttamente la società aveva rifiutato il pagamento del sinistro.
2.2. La Corte d’appello ha quindi dato atto che l’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE si fondava sulle stesse ragioni di quello della Generali Italia; per tale ragione doveva essere considerata errata la decisione del Tribunale di ritenere nulla la clausola di cui all’art. 16 delle relative condizioni generali di contratto, con conseguente rigetto della richiesta di manleva avanzata anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
2.3. Passando, infine, all’appello incidentale della Unipolsai s.p.a., la Corte leccese ha rilevato che esso si fondava solo su un motivo, da ritenere anch’esso fondato.
Dopo aver riassunto le caratteristiche fondamentali del contratto di assicurazione con clausola claim’s made , alla luce delle pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte, la sentenza in esame ha affermato che nel caso in esame si trattava di una clausola claim’s made c.d. pura , non essendo espressamente prevista la clausola deeming clause . Non poteva, pertanto, ritenersi coperta anche la richiesta di risarcimento pervenuta dopo la scadenza della polizza che fosse conseguente o collegata a circostanze denunciate in via cautelativa nel corso di vigenza della polizza stessa. E poiché, nella specie, era pacifico che la richiesta risarcitoria era stata proposta dalla Accoto alla Gabellone, per la prima volta, con l’atto di citazione (dicembre 2014), a quella data il contratto di assicurazione non era più in essere, per cui correttamente la società Unipolsai aveva respinto la richiesta di manleva. Né poteva attribuirsi efficacia di richiesta di risarcimento alla semplice denuncia inoltrata dalla Gabellone alla società assicuratrice in data 13 marzo 2012, perché dal testo di quella lettera risultava evidente che si trattava solo di una comunicazione con la quale l’assicurata riconosceva una serie di sue condotte colpose, senza però contenere «alcun accenno, neppure tacito, ad una richiesta
risarcitoria già avanzata dalla cliente». La contestazione dell’addebito di responsabilità professionale, infatti, aveva avuto luogo solo con la lettera raccomandata inviata dalla Accoto alla Gabellone in data 20 dicembre 2013, momento nel quale il contratto con la Unipolsai non era più esistente, essendo stato stornato con comunicazione del 27 aprile 2013.
Da tanto conseguiva che anche la domanda di manleva proposta dalla Gabellone nei confronti della Unipolsai doveva essere respinta.
2.4. In ultimo, la Corte d’appello ha stabilito, con apposita condanna indicata in dispositivo, che le somme corrisposte dalle società di assicurazioni in favore della Accoto in esecuzione della sentenza di primo grado dovessero essere da quest’ultima restituite.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce propone ricorso NOME COGNOME Accoto con atto affidato a tre motivi.
Resistono la società italiana di assicurazioni (SIA), la RAGIONE_SOCIALE e la Unipol Assicurazioni RAGIONE_SOCIALE con tre separati controricorsi.
La RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte osserva che prima di procedere all’esame dei motivi di ricorso occorre rispondere all’eccezione preliminare di difetto di interesse all’impugnazione sollevata da tutte e tre le società assicuratrici. Si sostiene con tale eccezione che, mancando nella specie l’azione diretta del danneggiato verso l’assicuratore come avviene, ad esempio, nella materia della responsabilità civile autoveicoli -il danneggiato non avrebbe interesse ad impugnare una sentenza che neghi l’esistenza del diritto alla manleva.
È stato già affermato da questa Corte, infatti, che in tema di assicurazione della responsabilità civile, il danneggiato non può agire direttamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile
del danno, salvi i casi eccezionalmente previsti dalla legge, atteso che egli è estraneo al rapporto tra il danneggiante e l’assicuratore dello stesso, né può trarre alcun vantaggio da una pronuncia che estenda all’assicuratore gli effetti della sentenza di accertamento della responsabilità, anche quando l’assicurato chieda all’assicuratore di pagare direttamente l’indennizzo al danneggiato, attenendo detta richiesta alla modalità di esecuzione della prestazione indennitaria; ne consegue che solo l’assicurato è legittimato ad agire nei confronti dell’assicuratore, e non anche il terzo danneggiato, nei confronti del quale l’assicuratore non è tenuto per vincolo contrattuale, né a titolo di responsabilità aquiliana (così l’ordinanza 25 febbraio 2021, n. 5259).
Questo principio, al quale l’odierna decisione intende dare ulteriore continuità, è in linea, peraltro, con altre precedenti sentenze che vanno nella medesima direzione (v., tra le altre, le sentenze 15 luglio 2005, n. 15039, 20 aprile 2007, n. 9516, e 5 dicembre 2008, n. 28834).
L’eccezione proposta, ad avviso del Collegio, pur essendo in sé astrattamente corretta, non è tuttavia fondata, perché il principio di diritto suindicato non si adatta al caso specifico qui in discussione.
Nella pronuncia impugnata, infatti, c’è un’espressa statuizione con la quale l’odierna ricorrente, che non è l’assicurata, bensì la danneggiata, è stata condannata a restituire alle società di assicurazioni le somme a lei versate in esecuzione della decisione di primo grado. Tale statuizione porta a ritenere che l’interesse della Accoto all’odierno ricorso sia certamente esistente, riflettendo la decisione in esame i propri effetti anche nei suoi confronti, dal momento che il giudizio odierno è finalizzato al raggiungimento di un obiettivo che può definirsi restitutorio.
Il ricorso, pertanto, è ammissibile.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione degli artt. 1322, primo comma, 1343, 1362, 1932 e 2965 cod. civ., in relazione alle condizioni di validità della clausola claim’s made .
La ricorrente indica la sentenza 22 settembre 2018, n. 22437, delle Sezioni Unite di questa Corte, osservando che quella pronuncia, pur avendo escluso, in relazione alla citata clausola, il giudizio di meritevolezza di tutela di cui all’art. 1322, secondo comma, cod. civ., ha tuttavia mantenuto inalterato il modello negoziale, ampliandone il contenuto e rendendo comunque necessaria la verifica di conformità del regolamento contrattuale ai limiti prescritti dal primo comma del medesimo art. 1322. Ciò premesso, la ricorrente richiama il contenuto dell’art. 7 della polizza stipulata dalla RAGIONE_SOCIALE con la Generali Italia s.p.a., la quale prevede che la garanzia assicurativa operi « purché le richieste siano presentate per la prima volta all’assicurato almeno sei mesi dopo la decorrenza dell’assicurazione qualora relative ad eventi verificatisi anteriormente a tale data ». Tale clausola non rispetterebbe la previsione dell’art. 1322, primo comma, cit. perché esporrebbe l’assicurato ad un buco di garanzia per il periodo di sei mesi, nel quale verrebbe meno la sinallagmaticità delle prestazioni.
Sostiene la ricorrente che simile clausola sarebbe in contrasto con l’art. 2965 cod. civ. perché determinerebbe il maturarsi di una decadenza non evitabile con una condotta diligente; ciò in quanto la clausola claim’s made così concepita farebbe dipendere la sussistenza della copertura assicurativa non solo dall’evento dedotto, ma anche «da un ulteriore evento incerto, qual è la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato». Viene richiamata, a supporto di questa tesi, l’ordinanza 13 maggio 2020, n. 8894, di questa Corte, che si è occupata di un caso simile e che ha affermato che una clausola di quel tipo pone una decadenza a carico dell’assicurato non dipendente da una sua condotta, sicché risulta in contrasto non solo con l’art. 1341 cod. civ., ma anche con
l’art. 2965 cod. civ., trattandosi di clausola che prescinde dalla diligenza della parte.
2.1. Il motivo non è fondato.
La ricorrente, come si è detto, ha richiamato a sostegno della propria tesi la citata ordinanza n. 8894 la quale, esaminando una clausola simile a quella odierna, l’ha ritenuta in violazione dell’art. 2965 cit., determinando essa il maturarsi di una decadenza non evitabile con una condotta diligente.
Il Collegio rileva, però, che quella decisione è stata espressamente smentita da alcune pronunce successive. Questa Corte, infatti, ha affermato che la sentenza n. 8894 del 2020 costituisce un precedente isolato ed è in contrasto con i principi enunciati dalle Sezioni Unite in tema di clausola claim’s made , richiamando così le due note sentenze 6 maggio 2016, n. 9140, e 24 settembre 2018, n. 22437. In particolare, è stato stabilito -con un orientamento al quale l’odierna decisione intende dare ulteriore continuità -che in tema di assicurazione della responsabilità civile, la clausola claim’s made non integra una decadenza convenzionale, nulla ex art. 2965 cod. civ., nella misura in cui fa dipendere la perdita del diritto dalla scelta di un terzo, dal momento che la richiesta del danneggiato è fattore concorrente alla identificazione del rischio assicurato, consentendo pertanto di ricondurre tale tipologia di contratto al modello di assicurazione della responsabilità civile, nel contesto del più ampio genus dell’assicurazione contro i danni ai sensi dell’art. 1904 cod. civ., della cui causa indennitaria la clausola claim’s made è pienamente partecipe (sentenza 22 aprile 2022, n. 12908, e ordinanze 8 maggio 2024, n. 12462, e 26 luglio 2024, n. 21036).
La Corte d’appello ha fatto buon governo della giurisprudenza ora richiamata e -dopo aver osservato che il pagamento dei premi di assicurazione non era privo di corrispettivo già nei primi sei mesi, perché garantiva comunque copertura assicurativa ai nuovi
sinistri -ha correttamente richiamato i principi enunciati da questa Corte, nel senso che l’esclusione della garanzia per le richieste risarcitorie pervenute entro i primi sei mesi, e riferibili ai sinistri pregressi, rientra comunque a pieno titolo nell’area riservata all’autonomia negoziale delle parti.
Da tanto consegue il rigetto del primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, primo comma, 1343, 1362, 1892, 1932 e 2697 cod. civ., in relazione al problema della reticenza dell’assicurato.
Il motivo censura l’interpretazione dell’art. 1892 cit. fornita dalla sentenza impugnata. Secondo la ricorrente, poiché l’art. 1892 cit. rientra tra le norme non derogabili in peius per l’assicurato, ai sensi dell’art. 1932 cit., sarebbe meno favorevole per l’assicurato una clausola in base alla quale l’assicuratore si sottrae non solo all’onere di impugnare il contratto con l’azione di annullamento, ma anche alla decadenza dal relativo diritto se non impugna il contratto entro tre mesi da quando è venuto a conoscenza dell’inesattezza della dichiarazione o della reticenza dell’assicurato. La società RAGIONE_SOCIALE quindi, avrebbe agito in violazione dell’art. 1892 cod. civ., norma la quale dispone che in caso di dichiarazioni reticenti o mendaci il contratto può essere annullato sempre che venga proposta apposita domanda, in mancanza della quale l’effetto di non operatività del contratto non si può determinare. Considerazioni analoghe, secondo la ricorrente, si possono compiere a proposito della clausola n. 16 della polizza della SIA RAGIONE_SOCIALE.
3.1. Il motivo non è fondato.
La giurisprudenza di questa Corte è pacifica nel senso che l’obbligo posto a carico dell’assicuratore dall’art. 1892, secondo comma, cod. civ. di denunciare il contratto entro tre mesi dalla
conoscenza dell’inesattezza o della reticenza non vale in ogni situazione. È stato già affermato, infatti, che in tema di assicurazione contro gli infortuni, l’onere, imposto dall’art. 1892 cit. all’assicuratore, di manifestare, allo scopo di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l’azione di annullamento del contratto, per le dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa di tale annullamento, non sussiste quando il sinistro si verifichi anteriormente al decorso del termine suddetto e, ancora più, ove avvenga prima che l’assicuratore sia venuto a sapere dell’inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo sufficiente, in questi casi, per sottrarsi al pagamento dell’indennizzo, che l’assicuratore stesso invochi, anche mediante eccezione, la violazione dolosa o colposa dell’obbligo, esistente a carico dell’assicurato, di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio (così, tra le altre, le sentenze 12 novembre 1985, n. 5519, 4 marzo 2003, n. 3165, 4 gennaio 2010, n. 11, 13 luglio 2010, n. 16406, 6 giugno 2014, n. 12831, nonché l’ordinanza 21 gennaio 2020, n. 1166, e la successiva ordinanza 19 giugno 2020, n. 11905, non massimata).
Dando continuità a tale giurisprudenza, è evidente che nel caso in esame la Corte d’appello ha deciso in modo corretto, dal momento che il contratto di assicurazione con RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE fu stipulato dalla Gabellone in data 8 ottobre 2013, mentre l’accertamento tributario compiuto dalla Guardia di finanza al quale fece seguito tutta la procedura sanzionatoria a carico della Accoto -si era svolto tra il febbraio e l’aprile del 2012. Il che viene a significare che l’evento assicurato si era già verificato nel momento in cui fu concluso il contratto di assicurazione e che la COGNOME ben sapeva, come afferma ancora la sentenza in esame, di aver tenuto un comportamento potenzialmente generatore di danno a carico della propria cliente COGNOME Nessuna omissione di
denuncia nel termine di cui all’art. 1892, secondo comma, cod. civ., può essere dunque addebitata alla società assicuratrice, dal momento che la sentenza impugnata ha affermato che essa venne a conoscenza del fatto dannoso soltanto con la notifica dell’atto di citazione, con conseguente applicabilità del terzo comma dell’art. 1892 cit., a norma del quale, se il sinistro si verifica prima che sia decorso il termine di tre mesi di cui al secondo comma, l’assicuratore «non è tenuto a pagare la somma assicurata».
L’errore di prospettiva in cui cade la ricorrente sta nel sostenere che, una volta decorso il termine di tre mesi fissato dall’art. 1892 cit., l’assicuratore perda anche il diritto di rifiutare il pagamento ; il che non risponde affatto alla logica del sistema.
Ciò comporta che il secondo motivo di ricorso deve essere rigettato.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, primo comma, 1343, 1362, 1892 e 2697 cod. civ., in riferimento alla clausola A3 delle condizioni di contratto predisposte dalla Unipolsai Assicurazioni.
La ricorrente premette che detta clausola contiene il semplice richiamo alla disciplina degli artt. 1892 e 1893 cod. civ., norme che di per sé non esonerano l’assicuratore dall’obbligo di pagamento dell’indennizzo, se non in presenza delle condizioni ivi previste. Nel caso in esame, ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente escluso che la lettera inviata il 13 marzo 2012 dalla Gabellone alla società di assicurazioni contenesse una richiesta di risarcimento dei danni. Considerando, invece, il tenore letterale di quella lettera, trascritta in parte nel motivo in esame, risulterebbe fugato «ogni dubbio in ordine alla configurabilità della stessa quale richiesta di risarcimento», posto che la legge non richiede, per tale scopo, l’utilizzo di formule sacramentali. Si tratterebbe di una censura che non investe una questione di fatto,
ma solo l’apprezzamento su come quel fatto è stato valutato dalla Corte d’appello.
4.1. Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata ha affermato, con un accertamento di fatto, 1) che la richiesta risarcitoria era stata avanzata dalla Accoto nei confronti dell’assicurata COGNOME soltanto con l’atto di citazione, notificato per la prima volta nel dicembre 2014, quando il contratto di assicurazione non era più vigente (lo storno ebbe luogo il 27 aprile 2013); 2) che la ‘denuncia cautelativa’ inoltrata dalla COGNOME alla Unipol con la lettera del 13 marzo 2012 conteneva ammissioni di colpa, ma nessun riferimento ad una richiesta risarcitoria.
Le argomentazioni del terzo motivo di ricorso contestano che l’interpretazione della lettera ora indicata sia davvero di quel tenore, ma è evidente che si tratta di un punto non più discutibile in questa sede, costituendo la censura un tentativo di ottenere nel giudizio di legittimità un nuovo e non consentito esame del merito. Il terzo motivo, d’altra parte, non contesta la sentenza impugnata là dove essa, interpretando il contratto, ha anche evidenziato che esso escludeva dalla copertura assicurativa «le richieste di risarcimento pervenute successivamente alla cessazione del contratto per qualsiasi motivo»; non contesta, cioè, l’interpretazione data dalla Corte d’appello secondo cui non c’era stata, nella specie, l’espressa pattuizione della deeming clause , sicché l’unica questione posta è quella di interpretazione della lettera.
Dal complesso di tali considerazioni deriva che il motivo qui in esame è inammissibile.
Il ricorso, pertanto, è rigettato.
Ritiene la Corte, però, che, in considerazione degli esiti alterni dei due giudizi di merito, le spese del giudizio di cassazione debbano essere compensate.
Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza