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Cittadinanza per matrimonio: chi decide sul diniego?

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha stabilito che la giurisdizione sulle controversie relative al diniego della cittadinanza per matrimonio spetta al giudice ordinario quando il provvedimento si basa sulla mancanza di requisiti oggettivi, come la convivenza. La giurisdizione del giudice amministrativo sorge solo se il diniego è fondato su motivi discrezionali legati alla sicurezza della Repubblica. In questo caso, il rigetto era basato sulla presunta cessazione della convivenza coniugale, un fatto che attiene a un diritto soggettivo e non a una valutazione discrezionale dell’amministrazione.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Cittadinanza per Matrimonio: a Chi Rivolgersi in Caso di Diniego?

Ottenere la cittadinanza per matrimonio è un percorso che si fonda su requisiti ben precisi. Ma cosa succede se la domanda viene respinta? E, soprattutto, quale giudice ha il potere di decidere sulla legittimità di tale diniego? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite fa luce su un punto cruciale: la distinzione tra la mancanza di requisiti oggettivi e le valutazioni discrezionali della Pubblica Amministrazione, chiarendo definitivamente il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

I Fatti del Caso

Una cittadina straniera, sposata con un cittadino italiano, presentava istanza per il riconoscimento della cittadinanza italiana. L’amministrazione competente, tuttavia, rigettava la domanda. La motivazione del diniego si basava su un accertamento della Polizia Municipale durante il quale il marito aveva dichiarato che la moglie non risiedeva più presso l’abitazione coniugale da oltre un anno e si trovava nel suo Paese d’origine.

La richiedente impugnava il provvedimento davanti al Tribunale ordinario, sostenendo che la dichiarazione del marito fosse mendace, frutto di una temporanea crisi coniugale, e prontamente ritrattata. A suo avviso, sussistevano tutti i requisiti di legge, inclusa la convivenza, per ottenere la cittadinanza.

Il Conflitto sulla Giurisdizione per la Cittadinanza per Matrimonio

Il Tribunale ordinario adito dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, ritenendo competente il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR). Secondo il primo giudice, la valutazione dell’istanza implicava un potere discrezionale dell’amministrazione, in particolare riguardo all’assenza di motivi ostativi legati alla sicurezza della Repubblica.

Investito della causa, il TAR sollevava d’ufficio un conflitto negativo di giurisdizione davanti alla Corte di Cassazione. Il giudice amministrativo sosteneva che il diniego non era basato su valutazioni discrezionali di sicurezza pubblica, ma sulla mera verifica di un requisito oggettivo previsto dalla legge: la convivenza coniugale. La controversia, quindi, verteva su un diritto soggettivo e doveva essere decisa dal giudice ordinario.

Le Motivazioni della Cassazione

Le Sezioni Unite hanno risolto il conflitto affermando la giurisdizione del giudice ordinario. La Corte ha operato una distinzione fondamentale basata sulla natura del provvedimento di diniego.

La legge (n. 91/1992) prevede che l’acquisto della cittadinanza per matrimonio si fondi su presupposti oggettivi (art. 5), come la residenza legale e la permanenza del vincolo coniugale, e sull’assenza di cause ostative (art. 6), come condanne penali o comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

La posizione del richiedente è quella di un diritto soggettivo quando si tratta di verificare la sussistenza dei requisiti oggettivi. Questo diritto, però, subisce un affievolimento e si trasforma in interesse legittimo solo se l’Amministrazione esercita concretamente il proprio potere discrezionale, negando la cittadinanza per ragioni di sicurezza pubblica (art. 6, lett. c).

Nel caso di specie, il diniego non era fondato su motivi di sicurezza. L’Amministrazione si era limitata a prendere atto della presunta insussistenza di un requisito legale, la convivenza, basandosi sulla dichiarazione del coniuge. Non avendo esercitato alcun potere discrezionale, la posizione giuridica della richiedente è rimasta quella di diritto soggettivo, la cui tutela spetta al giudice ordinario. Il compito del giudice ordinario sarà, quindi, quello di accertare nel merito se il requisito della convivenza fosse effettivamente venuto meno o se, come sostenuto dalla ricorrente, la dichiarazione del marito fosse inattendibile.

Conclusioni

Questa decisione consolida un principio fondamentale nel riparto di giurisdizione in materia di cittadinanza. La competenza a decidere sui ricorsi contro il diniego di cittadinanza per matrimonio dipende dalla motivazione del provvedimento:

1. Giudice Ordinario: è competente se il diniego si basa sulla contestata mancanza dei requisiti oggettivi previsti dalla legge (es. durata del matrimonio, residenza, convivenza, assenza di determinate condanne penali).
2. Giudice Amministrativo (TAR): è competente se il diniego è giustificato dall’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione per “comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica”.

I cittadini stranieri che si vedono respingere la domanda devono quindi analizzare attentamente le ragioni del diniego per individuare il corretto giudice a cui rivolgersi, evitando così di incorrere in declaratorie di incompetenza che allungano i tempi per ottenere giustizia.

Chi è competente a decidere sul diniego della cittadinanza per matrimonio?
La competenza dipende dalla motivazione del diniego. Se è basato sulla mancanza di requisiti oggettivi (come la convivenza o la residenza), la giurisdizione è del giudice ordinario. Se è basato su motivi discrezionali di sicurezza pubblica, la giurisdizione è del giudice amministrativo (TAR).

Quando un diritto soggettivo alla cittadinanza si trasforma in interesse legittimo?
Il diritto soggettivo del richiedente si affievolisce e diventa un interesse legittimo solo nel momento in cui la Pubblica Amministrazione esercita concretamente il proprio potere discrezionale, negando la cittadinanza per comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, come previsto dall’art. 6, lettera c), della legge 91/1992.

Il diniego basato sulla mancanza di convivenza è un atto discrezionale?
No. Secondo la Cassazione, il provvedimento di diniego basato sulla presunta cessazione della convivenza coniugale non è un esercizio di potere discrezionale, ma una semplice verifica sull’esistenza di un requisito di legge. Pertanto, la controversia riguarda un diritto soggettivo e non un interesse legittimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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