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Chiusura fallimento: quando è legittima? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società che contestava la chiusura del fallimento di un’altra impresa, avvenuta a seguito di un concordato fallimentare. La Corte ha stabilito che la chiusura fallimento è un atto dovuto e legittimo una volta che il decreto di omologazione del concordato è definitivo e il curatore ha presentato il conto della gestione. Le attività di esecuzione del piano, come la liquidazione dei beni e il pagamento dei creditori, proseguono dopo la chiusura sotto la vigilanza degli organi fallimentari, i cui poteri si estendono a tale fase (c.d. ultrattività).

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Chiusura Fallimento Post-Concordato: Quando è Legittima? La Decisione della Cassazione

La gestione delle procedure concorsuali presenta spesso questioni complesse che dividono la fase giudiziale da quella esecutiva. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un chiarimento fondamentale sulla corretta tempistica per la chiusura fallimento in presenza di un concordato fallimentare omologato. Questa decisione stabilisce un punto fermo, distinguendo nettamente il momento della chiusura formale della procedura dalla successiva fase di attuazione del piano concordatario, che prosegue sotto la supervisione degli organi fallimentari.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal reclamo presentato da una società, in qualità di assuntore di un concordato fallimentare, contro il provvedimento del Tribunale che dichiarava la chiusura del fallimento di un’altra S.p.A. Il Tribunale aveva basato la sua decisione su due elementi chiave: la definitività del decreto di omologazione del concordato e l’approvazione del conto di gestione presentato dal curatore.

La società reclamante sosteneva, invece, che la chiusura fosse prematura. A suo avviso, il fallimento non poteva considerarsi concluso finché non fossero state portate a termine tutte le attività previste dal piano concordatario, come la liquidazione dei beni residui e il pagamento di tutti i creditori. La Corte d’Appello rigettava il reclamo, confermando la decisione di primo grado. La questione è quindi giunta all’esame della Corte di Cassazione.

L’Analisi della Corte e la Chiusura Fallimento

La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha respinto il ricorso, ritenendo le doglianze della società ricorrente infondate e basate su un’errata interpretazione della normativa fallimentare.

I Presupposti Inderogabili per la Chiusura

Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’art. 130 della legge fallimentare. Secondo la Corte, questa norma individua due sole condizioni necessarie e sufficienti per procedere alla chiusura del fallimento in caso di concordato:

1. La definitività del decreto di omologazione del concordato.
2. La presentazione del rendiconto di gestione da parte del curatore.

Nel caso di specie, entrambi i presupposti erano stati soddisfatti e non contestati. Di conseguenza, la decisione del Tribunale di dichiarare la chiusura del fallimento non era solo legittima, ma un atto dovuto.

L’Ultrattività degli Organi e la Chiusura Fallimento

La Corte ha smontato l’argomentazione principale della ricorrente, secondo cui le attività esecutive del concordato dovessero essere completate prima della chiusura. I giudici hanno chiarito che la chiusura della procedura giudiziale non coincide con la fine dell’esecuzione del piano. Anzi, la legge prevede espressamente che, dopo l’omologazione, l’esecuzione del concordato sia sorvegliata dal giudice delegato, dal curatore e dal comitato dei creditori.

Questo fenomeno, noto come “ultrattività” degli organi fallimentari, significa che i loro poteri di vigilanza e controllo non cessano con la chiusura del fallimento, ma si estendono alla fase successiva per garantire che il piano venga correttamente attuato. La chiusura formale del fallimento, quindi, non impedisce in alcun modo la liquidazione dei beni e il pagamento dei creditori, attività che proseguono nella fase negoziale successiva all’omologa.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si basano su una lettura chiara e sistematica della legge fallimentare. I giudici hanno sottolineato che confondere la durata della procedura giudiziale con quella della fase esecutiva del concordato sarebbe contrario alla ratio stessa della normativa. La legge intende separare i due momenti: la chiusura del fallimento segna la fine della fase giurisdizionale, mentre l’esecuzione del piano concordatario rappresenta una fase successiva, gestita secondo le previsioni del piano stesso ma sempre sotto la supervisione degli organi della procedura.

L'”ultrattività” degli organi, prevista dall’art. 136 della legge fallimentare, non è limitata a specifici atti, come sostenuto dalla ricorrente, ma si estende a tutte le attività necessarie per l’esecuzione del concordato. Pertanto, la chiusura della procedura non è ostativa alla prosecuzione delle attività di liquidazione e di pagamento. La Corte ha concluso che le obiezioni sollevate, incluse quelle relative alla necessità di ulteriori verifiche sullo stato passivo da parte del curatore, riguardano adempimenti che si collocano al di fuori della procedura giudiziale ormai conclusa.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza della Cassazione rafforza un principio fondamentale del diritto fallimentare: la netta distinzione tra la chiusura della procedura e l’esecuzione del concordato. Per gli operatori del settore, le implicazioni sono significative:

* Certezza dei tempi: Vengono stabiliti con chiarezza i due unici requisiti per la chiusura del fallimento (omologa definitiva e conto di gestione), evitando che la procedura resti formalmente aperta per tutta la durata, talvolta lunga, dell’esecuzione del piano.
* Ruolo degli organi fallimentari: Viene confermato il ruolo di vigilanza del giudice delegato e del curatore anche dopo la chiusura, garantendo ai creditori la corretta attuazione degli impegni assunti nel concordato.
* Efficienza della procedura: La distinzione tra le fasi consente di snellire la gestione giudiziale, chiudendo formalmente il fallimento una volta esauriti i suoi compiti giurisdizionali e lasciando che l’esecuzione del piano prosegua in una fase successiva, seppur vigilata.

Quando può essere dichiarata la chiusura del fallimento in caso di concordato fallimentare?
La chiusura del fallimento deve essere dichiarata quando si verificano due condizioni: il decreto di omologazione del concordato è diventato definitivo e il curatore ha presentato il rendiconto della gestione.

La chiusura del fallimento impedisce il completamento della liquidazione e il pagamento dei creditori previsti dal piano?
No, la chiusura del fallimento non impedisce il completamento delle attività di liquidazione e pagamento. Queste attività proseguono nella fase esecutiva del concordato, che è successiva alla chiusura formale della procedura giudiziale.

Cosa si intende per “ultrattività” degli organi fallimentari in questo contesto?
Significa che il giudice delegato, il curatore e il comitato dei creditori mantengono i loro poteri di sorveglianza e controllo anche dopo la chiusura del fallimento, per garantire che l’adempimento e l’esecuzione del piano concordatario avvengano correttamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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