Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18807 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18807 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28537-2022 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
CESSIONE RAMO DI AZIENDA
R.G.N. 28537/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 25/06/2025
CC
avverso la sentenza n. 3509/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/09/2022 R.G.N. 931/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, confermando la sentenza del giudice di primo grado, ha accertato la legittimità della cessione automatica del rapporto di lavoro di NOME COGNOME, con decorrenza dal 29.12.2017, da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE a seguito di trasferimento del ramo di azienda di appartenenza.
La Corte territoriale ha rilevato che ricorrevano i requisiti di autonomia e preesistenza del ramo ceduto, come richiesti dall’art. 2112 c.c., da ritenersi provati non solo in base alla perizia (firmata dal dott. COGNOME) allegata all’atto costituti vo della EXI (non contestata dal lavoratore) ma altresì in considerazione del fatto che, oltre ai dipendenti, sono stati trasferiti le apparecchiature e le attrezzature, le disponibilità finanziarie e le passività (circostanze pacifiche tra le parti, oltre che confermate dall’istruttoria testimoniale condotta in diverso procedimento giudiziario, i cui verbali -senza alcuna contestazione del lavoratore -sono stati acquisiti.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Entrambe le società hanno resistito con distinti controricorsi. Tutte le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo ed il secondo motivo di ricorso sono dedotte, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113, 115, 116 c.p.c., 2697, 2112, 2343, 2556 c.c., 111 Cost. per avere, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto che la perizia del dott. COGNOME fosse stata depositata, in primo grado, dalle società (mentre è stato lo stesso lavoratore ad averla prodotta con il ricorso introduttivo del giudizio), che non fosse stata contestata dal lavoratore stesso, che avesse ad oggetto le caratteristiche di autonomia del ramo di azienda ceduto (dovendo, invece, semplicemente determinare il valore del ramo sulla base degli elementi forniti dalla cedente); la Corte territoriale, inoltre, ha utilizzato prove testimoniali raccolte in altro procedimento giudiziario nonostante l’espressa opposizione proposta dal lavoratore e manifestata al giudice di primo grado all’udienza del 12.12.2019 e nonostante la richiesta di ammissione delle prove testimoniali articolate nel ricorso introduttivo del giudizio.
Il ricorso non è fondato.
Va, preliminarmente rammentato che, secondo costante insegnamento di questa Corte la verifica dei presupposti fattuali che consentano l’applicazione o meno del regime previsto dall’art. 2112 c.c. implica una valutazione di merito che, ove espressa con motivazione sufficiente e non contraddittoria, sfugge al sindacato di legittimità (v. Cass. n. 20422 del 2012; Cass. n. 5117 del 2012; Cass. n. 1821 del 2013; Cass. n. 2151 del 2013; Cass. n. 24262 del 2013; Cass. n. 10925 del 2014; Cass. n. 27238 del 2014; Cass. n. 22688 del 2014; Cass. n. 25382 del 2017; di recente, ancora, Cass. n. 2315 del 2020 e Cass. n. 6649 del 2020).
Da tale pregiudiziale rilievo deriva che – salvo i casi in cui si lamenti che la sentenza impugnata abbia errato nella
ricognizione degli elementi legali identificativi del trasferimento del ramo d’azienda e, quindi, errato nell’ascrizione di significato alla disposizione normativa astratta -nelle altre ipotesi l’alternativa praticabile è che: o si denuncia un errore di d iritto ex art. 360, n. 3, c.p.c., sub specie di errore di sussunzione commesso dai giudici del merito (v. in proposito Cass. SS.UU. n. 5 del 2001 e, più di recente, Cass. n. 13747 del 2018); oppure si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5, c.p.c., ovvero, alternativamente, una motivazione che violi il cd. ‘minimo costituzionale’ (disamina preclusa in questa sede, trattandosi di pronuncia c.d. doppia conforme). Nella prima prospettiva è indispensabile, così come in ogni altro caso di dedotta falsa applicazione di legge, che si parta dalla ricostruzione della fattispecie concreta così come effettuata dai giudici di merito (cfr. tra le altre: Cass. n. 6035 del 2018; Cass. n. 8760 del 2019); diversamente si trasmoderebbe nella revisione di un accertamento che appartiene al dominio dei giudici ai quali esso compete. Infatti il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto (cfr. Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007) presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (tra molte: Cass. n. 4125 del 2017; Cass. n. 23851 del 2019); al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art . 360, n. 3, c.p.c., e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti e che, nella novellata formulazione (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite, v. sentenze n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del
2015, oltre che dalle Sezioni semplici) presuppone l’omessa valutazione di un fatto storico connesso alla vicenda traslativa del trasferimento d’azienda che avrebbe condotto, per la sua sicura decisività, ad un opposto esito della lite. In entrambi i casi resta fermo quanto ancora di recente ribadito dalle Sezioni unite civili circa l’inammissibilità di censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).
5. Ebbene, le pretese violazioni o false applicazioni di legge propongono, in realtà, un diverso apprezzamento del peso da attribuire ai vari elementi di fatto che hanno dato origine alla vicenda contenziosa, collocandosi al di fuori del paradigma del n. 3 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. e sollecitando un nuovo apprezzamento di merito, non proponibile in sede di legittimità; né potrebbe esaminarsi un eventuale vizio di motivazione, non proponibile in presenza di una pronuncia c.d. doppia conforme. 6. In punto di diritto, il Collegio reputa che il giudice d’appello abbia deciso le questioni in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea e di questa Corte e l’esame dei motivi di ricorso non offre argomenti per mutare ormai condivisi orientamenti, celando un errore di metodo quanto all’apprezzamento di singoli fattori nell’ambito del complesso delle numerose circostanze di fatto che hanno caratterizzato la
cessione in esame, circostanze illustrate (anche) nella relazione del dott. COGNOMEdalla quale lo stesso lavoratore ricorrente ha tratto argomenti a supporto dell’impugnazione della cessione) e valutate (autonomamente) dai giudici di merito.
7. In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (tra le altre v. Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 4699 e 26769 del 2018; Cass. n. 1229 del 2019; v., da ultimo, pure Cass. n. 24395 del 2020), vizio vietato nel caso di specie a fronte di una pronuncia c.d. doppia conforme.
8. In ordine alla prova testimoniale dedotta nel ricorso introduttivo del giudizio, il ricorrente (oltre ad omettere la trascrizione del capitolo di prova; cap. 14 del ricorso introduttivo del giudizio, capitolo non trascritto nel ricorso per cassazione) non ha illustrato il profilo di decisività della prova testimoniale nonostante questa Corte abbia ripetutamente affermato che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che
la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento (da ultimo, Cass.
n. 16214 del 2019; Cass. n. 5654 del 2017).
Come più volte affermato da questa Corte di legittimità, poi, il giudice di merito può utilizzare per la formazione del proprio convincimento anche le prove raccolte in un diverso processo tra le parti o altre parti, sempre che siano acquisite al giudizio della cui cognizione è investito; ne consegue che non è deducibile in sede di legittimità la violazione del contraddittorio rispetto al processo di provenienza, per farne ridondare la nullità nel processo di approdo, senza dedurre vizi del contraddittorio in quest’ultimo processo, poichè a rilevare è l’effettiva esplicazione del contraddittorio nel processo nel quale la prova viene utilizzata (Cass. n. 11555/2013; Cass. n.11114/2015).
Il contraddittorio non è di per sè violato per la circostanza che un fatto, invece di essere accertato direttamente, sia accertato facendo riferimento alle prove raccolte e riportate nei verbali di un diverso giudizio, purchè questi siano ritualmente prodotti ed offerti all’esame della controparte in contraddittorio, che potrà in quella sede osservare se le dichiarazioni sono rese in relazione a capitoli di prova volti a provare fatti diversi o ogni altra osservazione atta a porre in mostra che quelle dichiarazioni testimoniali non sono nè decisive nè rilevanti al fine di far formare il convincimento del giudice in modo a sè pregiudizievole.
Nel caso di specie il ricorrente non ha esplicitato nè perchè le prove testimoniali raccolte nell’altro giudizio sarebbero inidonee a formare il convincimento del giudice sul punto controverso dello svolgimento o meno dell’attività del conduttore a diretto contatto con il pubblico, nè quale
pregiudizio per il contraddittorio avrebbe in concreto subito a causa della produzione dei verbali dell’altra causa.
12. Ebbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, procedendo ad una analitica valutazione del complesso delle circostanze di fatto che hanno caratterizzato la cessione del ramo di azienda, ha accertato che ricorrevano i requisiti di identità e di autonomia funzionale del ramo ceduto così come delineati dalla consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale in quanto ha verificato che, accanto ad una quota significativa -per quantità e competenze -di personale, erano stati ceduti beni materiali e immateriali (apparecchiature di laboratorio collaudi, altre attrezzature, autoveicoli, disponibilità finanziarie e relative passività) essenziali sotto il profilo della capacità produttiva dell’entità economica trasferita, che avevano consentito di proseguire – senza alcuna interruzione, senza alterazioni della struttura organizzativa originaria e senza apporti da parte della cessionaria, nell’ambito di un contratto di rete di imprese la gestione del settore ‘Costruzione di rete’ ed ‘Esercizio di rete’ di un operatore telefonico.
13. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonchè in Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge a favore di ciascun controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 giugno