Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24205 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24205 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 8475-2021 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2860/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/12/2020 R.G.N. 879/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
Risarcimento danni rapporto privato
R.G.N. 8475/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 25/06/2025
CC
La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello di NOME COGNOME confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata rigettata la domanda della predetta, informatrice scientifica del farmaco, volta all’accertamento della violazione degli obblighi di buona fede e di diligenza da parte di RAGIONE_SOCIALE nella stipula della cessione di ramo di azienda tra la stessa e RAGIONE_SOCIALEdi cui era divenuta dipendente dal 1° febbraio 2007 a seguito del trasferimento del ramo di azienda RAGIONE_SOCIALE -CM, LABS -CNS’), con condanna della società al risarcimento dei danni.
La ricorrente aveva dedotto che, con contratto di cessione di ramo di azienda, RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto a RAGIONE_SOCIALE i lavoratori dipendenti tra informatori scientifici, Area Manager e Specialist , la quale si era impegnata all’art. 8 a non licenziare nei tre anni successivi alla sottoscrizione. In precedenza, in sede di acquisizione a livello mondiale di RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE in data 16 aprile 2003, RAGIONE_SOCIALE aveva annunciato esuberi e, a seguito di incontri con i sindacati, era stata aperta procedura di mobilità per riduzione personale. Sia con l’accordo sindacale del novembre 2003 che con quello del 15 aprile 2005 RAGIONE_SOCIALE aveva assunto l’obbligo di individuare soluzioni tese a garantire l’occupazione e la capacità professionale dei dipendenti. Nel gennaio 2008 RAGIONE_SOCIALE aveva avviato le procedure per riduzione del personale, dapprima con esubero di 200 unità, di seguito elevato a 250, poi con la collocazione in CIGS di 380 dipendenti.
Il Tribunale di Latina ha rigettato la domanda e la Corte d’appello ha confermato la pronuncia di primo grado rilevando l’infondatezza dell’eccezione di giudicato nonché della domanda richiamando la giurisprudenza di questa Corte
secondo la quale non era in frode alla legge né concluso per motivo illecito – non essendo tale quello, perseguito con un negozio traslativo, dì addossare ad altri determinati obblighi ed oneri – il contratto di cessione dell’azienda a soggetto che, per le sue caratteristiche imprenditoriali e in base alle circostanze del caso concreto, rendesse probabile la cessazione dell’attività produttiva e dei rapporti di lavoro, restando a tal riguardo irrilevante l’intervenuto rinvio a giudizio degli amministratori e dirigenti per reati fallimentari. Inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto l’irrilevanza dell’intervenuta condanna degli amministratori di RAGIONE_SOCIALE per concorso nella bancarotta di RAGIONE_SOCIALE sia perché questa era fallita a circa quattro anni di distanza dal contratto di cessione di ramo di azienda che, all’epoca della stipula era perfettamente valido, sia perché sulla regolarità del contratto di cessione si era formato un giudicato a seguito della sentenza del Tribunale di Latina n. 1463/2013.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con tre motivi.
Ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato sulla base di unico motivo.
La società ha depositato memoria.
Il Collegio si è riser vato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati e gli stessi non sono meritevoli di accoglimento per le argomentazioni in parte già sviluppate nel precedente di questa Corte n. 2866/2022 che
viene qui richiamato per quanto ancora rileva nel presente giudizio.
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa motivazione ed incoerenza e illogicità manifesta. Osserva che la Corte d’appello, pur avendo ritenuto che la vicenda penale degli amministratori di RAGIONE_SOCIALE non costituisse presupposto logico della domanda di responsabilità ex art. 1175 e 1375 c.c., avrebbe posto tuttavia a fondamento della decisione la mancata violazione dell’art. 2112 c.c., che rende valida la cessione: da qui il vizio di illogicità manifesta ed incoerenza della pronuncia perché la domanda ed il petitum del giudizio erano basati su una mancanza di buona fede e correttezza nell’esecuzione dell’obbligo di concludere cessioni a tutela della occupazione e non sulla influenza o meno del giudicato penale sulla validità della cessione.
Il motivo è infondato, ove si consideri che la Corte d’Appello si è limitata a respingere le domande risarcitorie tanto in ragione del già intervenuto accertamento giudiziale circa la piena legittimità del trasferimento della ricorrente alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE quanto ad un ulteriore autonomo accertamento al fine di appurare eventuali violazioni da parte di Pfizer dei principi generali di correttezza e buona fede nella complessiva gestione della vicenda, concludendo in senso negativo. In particolare, la Corte ha considerato che RAGIONE_SOCIALE, nel gestire il trasferimento d’azienda in conformità a quanto previsto dall’art. 2112 c.c., non aveva mai assunto alcun impegno ad individuare una società cessionaria non fallibile negli anni a venire, così come ha considerato che su RAGIONE_SOCIALE non incombeva l’obbligo di garantire la futura solidità economica della cessionaria. Ne
consegue che la motivazione della sentenza non può essere tacciata di manifesta illogicità né di incoerenza avendo scrutinato, in modo completo e lineare, tutti i profili della vicenda traslativa, ivi compresa la successiva condanna penale, in concorso, degli amministratori della RAGIONE_SOCIALE come riportato nello storico della presente decisione.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘ difetto di omessa pronuncia e di un fatto storico, principale o secondario ‘ , la cui esistenza risulta dal testo della sentenza o dagli atti processuali che ha costituito oggetto di discussione e ha avuto carattere decisivo, nonché violazione dell’art. 112 c.p.c. Osserva che con l’allegazione dell’accordo sindacale si era posta all’attenzione del giudice la circostanza che, giusti gli impegni sindacali, la RAGIONE_SOCIALE aveva valutato RAGIONE_SOCIALE come società idonea a tutelare l’occupazione e il prodotto industriale della linea ceduta e ciò era stato fatto senza la dovuta diligenza, posto che la cessionaria era in stato di decozione. I fatti in questione erano stati valutati dalla Corte sotto il profilo della validità della cessione, che si colloca fuori dal thema decidendum , mentre era stata omessa la valutazione delle produzioni (ciò integrando violazione dell’art. 112 c.p.c.), e identica violazione era ravvisabile nell’ambito della valutazione delle emergenze della sentenza di condanna sopra citata.
Il motivo non rispetta il paradigma imposto dall’art. 360 n. 5 c.p.c. come riformulato, non essendo stato dedotto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia avuto carattere decisivo (Cass. SS.UU. n. 8053
del 07/04/2014), rimanendo del tutto slegato e fuori contesto il richiamo all’art. 112 c.p.c. D’altra parte il rigetto della domanda da parte della Corte si fonda non su valutazioni di fatto ma su considerazioni in diritto, di cui si dirà in seguito, aventi carattere risolutivo.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce omessa pronuncia sulla violazione del dovere di correttezza e diligenza e violazione dell’art. 112 c.p.c. Rileva che il thema decidendum oggetto della domanda non era la validità della cessione di ramo di azienda ma la violazione della dovuta diligenza nella valutazione della società cessionaria a fronte degli impegni assunti in sede sindacale e i danni conseguenti a quel comportamento, sicché la motivazione della Corte territoriale che ha omesso ogni pronunciamento sul punto si risolve nel vizio di omessa pronuncia. La cessione del ramo, infatti, pur se valida, intanto avrebbe potuto escludere una responsabilità di RAGIONE_SOCIALE in quanto questa nella scelta della cessionaria avesse realmente individuato una società che potesse garantire tutela dell’occupazione e salvaguardia del prodotto industriale.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale, infatti, nel negare la ricorrenza delle dedotta responsabilità, si è conformata al costante indirizzo espresso da questa Corte di legittimità, citando specificamente i precedenti su cui l’indirizzo in questione si fonda, che ha negato la responsabilità della azienda cessionaria per violazione degli art. 1344 e 1345 c.c. sul rilievo che nessun limite è stato posto alla libertà dell’imprenditore di dismettere l’azienda che fosse sanzionato con l’invalidità dell’atto, né la stessa cessione potesse dirsi condizionata alla prognosi favorevole alla
continuazione dell’attività produttiva, e, di conseguenza, all’onere del cedente di verificare le potenzialità e capacità imprenditoriale del cessionario. Allo stesso modo non è ravvisabile motivo illecito nell’intento di addossare ad altri con un negozio traslativo la titolarità di obblighi e oneri conseguenti, così come non si rinviene nell’ordinamento una norma che sancisca, come per il contratto in frode alla legge, l’invalidità del contratto in frode ai terzi (in linea con il ragionamento territoriale, tra le altre, Cass. 6969 del 20/3/2013, Cass. n. 6184 del 14/03/2018): la validità della cessione dell’azienda non è condizionata alla prognosi della continuazione dell’attività produttiva e, di conseguenza, all’onere del cedente di verificare le capacità e potenzialità imprenditoriali del cessionario, poiché, se il legislatore ha predisposto, a garanzia dei lavoratori, una serie di cautele che vanno dalla previsione della responsabilità solidale del cedente e del concessionario in relazione ai crediti maturati dai dipendenti all’intervento delle organizzazioni sindacali, nondimeno, nessun limite, neppure implicito, sanzionato con l’invalidità e inefficacia dell’atto, è stato posto alla libertà dell’imprenditore di dismettere l’azienda, nel rispetto dell’art. 41 Cost.).
In base alle svolte argomentazioni il ricorso principale va rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato avente ad oggetto la asserita violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo, limitatamente alla ricorrente principale la cui impugnazione è stata respinta.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 giugno 2025