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Cessione ramo d’azienda nulla: stipendio integrale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31185/2025, ha rigettato il ricorso di una società IT, confermando la sua condanna al pagamento integrale delle retribuzioni a favore di alcuni lavoratori. Il caso riguarda una cessione di ramo d’azienda dichiarata nulla. I giudici hanno ribadito che, in tale ipotesi, il rapporto di lavoro con il cedente non si interrompe mai. Di conseguenza, il datore di lavoro che non riammette in servizio il dipendente che offre la propria prestazione è tenuto a versare l’intera retribuzione, senza poter detrarre quanto percepito dal lavoratore presso l’azienda cessionaria. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale consolidato in materia di cessione ramo d’azienda nulla.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Cessione Ramo d’Azienda Nulla: Diritto allo Stipendio Pieno

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale a tutela dei lavoratori coinvolti in operazioni societarie illegittime. Nel caso di una cessione ramo d’azienda nulla, il datore di lavoro originario che non riammette il dipendente in servizio è tenuto a pagare l’intera retribuzione, senza poter detrarre quanto eventualmente percepito dal lavoratore presso la società cessionaria. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’operazione di trasferimento di un ramo d’azienda da una grande società del settore tecnologico a un’altra impresa. Successivamente, tale cessione veniva dichiarata nulla da un tribunale. A seguito della sentenza, i lavoratori trasferiti offrivano formalmente le loro prestazioni lavorative alla società cedente originaria, chiedendo di essere riammessi in servizio.

Di fronte al rifiuto della società, i lavoratori si rivolgevano al giudice per ottenere il pagamento delle retribuzioni maturate dal momento della loro offerta di rientro. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello accoglievano le loro richieste, condannando la società al pagamento integrale degli stipendi. L’azienda, non rassegnata, decideva di presentare ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo, tra le varie argomentazioni, che le somme percepite dai lavoratori presso la società cessionaria avrebbero dovuto essere detratte da quanto dovuto.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando integralmente le decisioni dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito l’orientamento, ormai consolidato, secondo cui la dichiarazione di nullità della cessione di ramo d’azienda comporta che il rapporto di lavoro con il cedente si consideri come mai interrotto. L’obbligo del datore di lavoro di pagare la retribuzione sorge come conseguenza diretta del suo rifiuto ingiustificato di ricevere la prestazione offerta dal lavoratore.

Le Motivazioni: la Mora Credendi nella Cessione Ramo d’Azienda Nulla

Il fulcro della decisione risiede nel concetto di mora credendi (mora del creditore), disciplinato dall’articolo 1206 del codice civile. Quando una cessione di ramo d’azienda è nulla, il rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’azienda cedente non cessa mai legalmente. Se il lavoratore si mette a disposizione per lavorare e il datore di lavoro lo rifiuta, quest’ultimo cade in mora.

La conseguenza principale della mora credendi è che il datore di lavoro è obbligato a corrispondere l’intera retribuzione, come se il lavoratore avesse effettivamente prestato la sua attività. La Corte ha chiarito che questa obbligazione ha natura retributiva e non risarcitoria. Pertanto, non è applicabile il principio della compensatio lucri cum damno, che consentirebbe di sottrarre quanto il lavoratore ha guadagnato altrove (aliunde perceptum).

I giudici hanno specificato che la situazione è diversa da quella del licenziamento illegittimo, dove l’obbligo del datore di lavoro ha natura risarcitoria e la detrazione dell’ aliunde perceptum è prevista. Nel caso di cessione nulla, il rapporto di lavoro è pienamente valido ed efficace; è solo il datore che, con il suo comportamento, impedisce l’esecuzione della prestazione. La Corte ha inoltre respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla società, ritenendole infondate e confermando la solidità di un’interpretazione giurisprudenziale stabile e nomofilattica.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante baluardo a protezione dei diritti dei lavoratori. Le aziende devono essere consapevoli che una cessione ramo d’azienda nulla comporta rischi finanziari significativi, inclusa la possibilità di dover pagare doppi stipendi: quelli versati dalla cessionaria e quelli dovuti per legge dalla cedente. Per i lavoratori, la sentenza rappresenta una garanzia fondamentale: la nullità di un’operazione societaria illegittima non può tradursi in una perdita economica, ripristinando pienamente i loro diritti contrattuali e retributivi nei confronti del loro datore di lavoro effettivo.

Se una cessione di ramo d’azienda viene dichiarata nulla, il lavoratore ha diritto a tornare dal vecchio datore di lavoro?
Sì. Secondo la Corte, la dichiarazione di nullità della cessione comporta che il rapporto di lavoro con l’azienda cedente si consideri legalmente come mai interrotto.

Cosa succede se il datore di lavoro originario si rifiuta di riammettere in servizio il lavoratore?
Se il lavoratore offre la propria prestazione lavorativa e il datore di lavoro la rifiuta, quest’ultimo viene a trovarsi in una situazione di ‘mora del creditore’ (mora credendi) ed è tenuto a pagare l’intera retribuzione.

Lo stipendio che l’azienda originaria deve pagare può essere ridotto se il lavoratore ha nel frattempo lavorato e percepito uno stipendio dalla società cessionaria?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di pagamento ha natura retributiva e non risarcitoria. Di conseguenza, il datore di lavoro deve versare l’intera retribuzione senza poter detrarre quanto il lavoratore ha percepito lavorando per l’azienda cessionaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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