Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18951 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 18951 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 12414-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME tutte rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – e sul RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G. proposto da:
Oggetto
Trasferimento
azienda
lavoro
R.G.N. 12414/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 16/04/2025
PU
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente successivo –
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME tutte rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti al ricorso successivo nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata avverso la sentenza n. 788/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 28/11/2022 R.G.N. 745/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso e estinzione per il caso di rinuncia; udito l’avvocato NOME COGNOME; NOME
uditi gli avvocati COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME.
Fatti di causa
La Corte di appello di Bologna, con la sentenza n. 788/2022, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto le domande dei lavoratori, già dipendenti di Intesa San Paolo Group Services scpa volte ad accertare l’inefficacia della cessione del ramo di azienda intervenuta tra Intesa San Paolo, quale incorporante della loro datrice di lavoro, ed RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, con conseguente inefficacia
della cessione dei contratti di lavoro e con ripristino dei rapporti presso Intesa San paolo dalla data di cessione dei contratti medesimi.
I lavoratori avevano affermato di avere lavorato alle dipendenze di Intesa San Paolo Group Services fino al 29.11.2008, incardinati presso la macrostruttura definita Direzione Recupero Crediti, articolata in due sub-strutture (Servizio Recupero Crediti Territoriali e Servizio Recupero Crediti Specialistico) ed integrata da un Ufficio Di Supporto Tecnico ed Amministrativo e dall’Ufficio Normativa e Strumenti; avevano riferito che nel novembre del 2018 la Intesa San paolo Group Services aveva operato una scissione parziale dell’azienda conferendo a RAGIONE_SOCIALE il preteso ramo di azienda costituito dalla Direzione Recupero Crediti con esclusione dell’Ufficio Supporto Tecnico e Amministrativo, avevano precisato che, a seguito di tale operazione, RAGIONE_SOCIALE era divenuta RAGIONE_SOCIALE mentre Intesa San Paolo Group Services si era fusa con Intesa Sanpaolo e che non vi erano i presupposti per qualificare l’operazione come cessione diramo di azienda.
La Corte felsinea, premesso che in relazione a tale vicenda vi erano state altre pronunce di inefficacia della cessione di ramo di azienda, da parte di altri giudici, nonché una di segno opposto della Corte di appello di Torino,, ha condiviso, in estrema sintesi, le conclusioni del giudice di primo grado sottolineando che l’operazione in esame si era tradotta in un semplice trasferimento di maestranze, accompagnate da mera oggettistica, escludendo l’autonomia funzionale e la preesistenza del ramo ceduto.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposti separati ricorsi Intesa Sanpaolo SRAGIONE_SOCIALEpRAGIONE_SOCIALEaRAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE: la prima
società con due motivi e la seconda con tre motivi, cui hanno resistito con controricorso gli intimati.
Le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 e dell’art. 118 disp att. cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per essersi la Corte territoriale limitata a richiamare la sentenza di primo grado, aderendo alle relative argomentazioni senza alcun confronto con i motivi di gravame proposti dalle società e senza spiegare le ragioni del rigetto degli appelli.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non aver la Corte distrettuale correttamente interpretato, anche alla luce della direttiva 2001/23 e della giurisprudenza pron unciatasi sul punto, l’art. 2112 cod. civ. e per averne conseguentemente escluso l’applicabilità alle fattispecie in esame.
Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, denuncia la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 e dell’art. 118 disp att. cpc, la nullità della sentenza impugnata per assenza di motivazioni nonché l’assoluta manca nza di un ragionamento in iure alla base delle valutazioni circa l’infondatezza dei motivi di gravame e la non configurabilità della vicenda circolatoria in esame quale cessione legittima di un ramo di azienda ai sensi dell’art. 2112 cod. civ.
Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, si censura la violazione dell’art. 2112 cod. civ., il vizio di sussunzione e/o la violazione della fattispecie astratta che
prevede che tra i legittimi rami di azienda possano essere inclusi anche quelli aventi natura dematerializzata e non prevede che il ramo d’azienda, per essere legittimo, debba essere necessariamente ceduto unitamente ad elementi accessori ed estrinseci rispetto alla funzione o attività svolta dal ramo ceduto.
Con il terzo motivo, si obietta la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per motivazione apparente in ordine ai giudizi di irrilevanza espressi che hanno portato a escludere il requisito dell’autonomia funzionale del ramo ceduto.
Il primo motivo del ricorso di Intesa Sanpaolo S.p.a. ed il primo ed il terzo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE (da qualificarsi quest’ultimo quale ricorso incidentale perché successivo, cfr. Cass. n. 27680/2021; Cass. n. 36057/2021), con i quali tutti si denuncia la nullità della sentenza impugnata, non sono fondati.
La sentenza gravata riporta ampia motivazione (che infatti viene criticata negli altri motivi) e raggiunge il cd. minimo costituzionale (Cass. S.U. n. 8053/2014).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile il controllo sul suo ragionamento (cfr. Cass. n. 9105/2017, n. 20921/2019); ipotesi non ricorrente nel caso in esame.
Inoltre, l’onere motivazionale può essere assolto anche mediante la condivisione delle valutazioni e del convincimento espressi dal Tribunale, sia pure attraverso il
filtro dei motivi di gravame. Questi, tuttavia, ben possono essere rigettati proprio mediante quella tecnica motivazionale, senza dubbio legittima, qualora -come nella specie -il giudice del gravame abbia spiegato le ragioni di condivisione della decisione di primo grado.
Il secondo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale -da esaminare congiuntamente per la loro connessione, in quanto tutti diretti a censurare l’interpretazione dell’art. 2112 cod. civ. operata nel caso concreto dai giudici di merito -sono anche essi infondati.
Contrariamente all’assunto delle ricorrenti, la Corte territoriale ha riconosciuto in astratto legittima anche una cessione di ramo dematerializzato d’azienda, ma alla condizione che il gruppo di dipendenti ceduti esprima una professionalità omogenea e coesa mediante uno specifico e peculiare know-how.
In concreto, tuttavia, a seguito di un accertamento di fatto -congruamente motivato e quindi sottratto al sindacato di legittimità -i giudici d’appello (richiamando la motivazione del Tribunale) hanno escluso che ciò sussistesse, evidenziando che difettava l’elemento dell’autonomia organizzativa ed economica finalizzata allo svolgimento di un’attività di produzione di beni e servizi, ossia la capacità dello stesso, già al momento dello scorporo del complesso cedente, di provvedere a uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali e organizzativi e di svolgere autonomamente dal cedente, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzata nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione (richiamando pertinente giurisprudenza di
legittimità sul punto). Hanno altresì sottolineato che i contratti di service dei programmi informatici e della logistica degli immobili costituivano specifici indicatori dell’assenza di autonomia e consistenza organizzativa propria in capo al complesso ceduto. Trattasi di un convincimento conforme a diritto, non essendovi stato alcun errore di sussunzione.
In proposito, va ricordato il pacifico orientamento di questa Corte, secondo cui il ramo d’azienda rilevante ex art. 2112 c.c. deve pur sempre rispettare la nozione di impresa e pertanto deve pur sempre avere quell’autonomia funzionale idonea a consentire lo svolgimento ex se dell’attività imprenditoriale (nella nozione data dall’art. 2082 c.c.) sul mercato, quindi anche verso terzi, e non solo verso la cedente.
In particolare, come ricordato nella sentenza appellata, questa Corte ha affermato che ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 d. lgs. n. 276/2003, rappresenta elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione.
L’elemento costitutivo dell’autonomia funzionale va quindi letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza, e ciò anche in armonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo la quale l’impiego del termine “conservi” nell’art. 6, par. 1, commi 1
e 4 della direttiva 2001/23/CE, “implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento” (sentenza 6 marzo 2014, C-458/12; sentenza 13 giugno 2019, C-664/2017) (Cass. n. 22249/2021).
In definitiva, il ramo ceduto deve essere in grado di svolgere attività di impresa indipendentemente dall’eventuale contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato fra cedente e cessionaria (Cass. n. 19034/2017: in quel giudizio questa Corte ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto integrato il trasferimento di ramo d’azienda nel caso di cessione di un call center, benché per la realizzazione dell’attività ceduta fosse necessaria una continua interazione con programmi informatici rimasti nella proprietà esclusiva della cedente; nello stesso senso, Cass. n. 11247/2016).
La Corte territoriale ha fatto buon governo di tale orientamento, poiché ha verificato che in concreto, dopo la cessione del ramo d’azienda, l’attività della cessionaria era rimasta indissolubilmente legata, in termini di vera e propria dipendenza funzionale, ad alcune attività rimaste alla cedente.
Ne consegue la conformità a diritto della ritenuta esclusione della sussistenza nel caso concreto della fattispecie disciplinata dall’art. 2112 c.c.
Alla stregua di quanto esposto, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
Al rigetto segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta i ricorsi. Condanna ciascuna società ricorrente al pagamento, in favore dei rispettivi controricorrenti, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 aprile 2025