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Cessione ramo d’azienda: il doppio rapporto di lavoro

La Cassazione, in un caso di cessione ramo d’azienda illegittima, stabilisce che si creano due rapporti di lavoro distinti: uno ‘de iure’ con l’azienda cedente e uno ‘de facto’ con la cessionaria. Di conseguenza, l’accordo transattivo con la cessionaria non estingue il diritto del lavoratore a ricevere le retribuzioni dalla cedente.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Cessione Ramo d’Azienda Illegittima: Il Principio del Doppio Rapporto di Lavoro

L’ordinanza n. 4945/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: le conseguenze di una cessione ramo d’azienda dichiarata illegittima. La pronuncia ribadisce un principio consolidato di fondamentale importanza per la tutela dei lavoratori, ovvero la costituzione di un doppio rapporto di lavoro, uno ‘de iure’ con l’azienda cedente e uno ‘de facto’ con quella cessionaria. Questa distinzione ha implicazioni dirette sul diritto alla retribuzione e sull’efficacia degli accordi separati.

Il Caso: Trasferimento, Inattività e Richiesta di Risarcimento

Un lavoratore, a seguito di una cessione di ramo d’azienda, si trovava a dipendere da una nuova società. Successivamente, tale trasferimento veniva dichiarato illegittimo in sede giudiziale. Nonostante ciò, l’azienda originaria (cedente) non provvedeva a reintegrarlo nel suo organico. Nel frattempo, presso la società cessionaria, il lavoratore veniva posto prima in cassa integrazione a zero ore e poi in mobilità, rimanendo di fatto inattivo per un lungo periodo, fino a risolvere consensualmente il rapporto con quest’ultima tramite un accordo transattivo.
Il lavoratore agiva quindi in giudizio contro la società cedente per ottenere il pagamento delle retribuzioni non corrisposte e il risarcimento del danno alla professionalità subito a causa della prolungata inattività. Le sue richieste venivano però respinte nei primi due gradi di giudizio.

La Decisione della Cassazione sulla cessione ramo d’azienda

La Corte di Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello sul punto relativo alle retribuzioni e rinviando la causa a un nuovo esame. La Corte ha invece rigettato i motivi legati al danno alla professionalità.

Il Diritto alla Retribuzione e il Doppio Rapporto

Il punto centrale della decisione riguarda la domanda di pagamento delle retribuzioni. La Cassazione, in linea con il suo orientamento consolidato (a partire dalla fondamentale sentenza delle Sezioni Unite n. 2990/2018), ha affermato che una cessione ramo d’azienda illegittima non produce l’effetto di trasferire il rapporto di lavoro.
Di conseguenza, si verificano due situazioni parallele:
1. Rapporto de iure (di diritto): Il rapporto di lavoro originario con l’azienda cedente prosegue giuridicamente senza interruzioni.
2. Rapporto de facto (di fatto): Si instaura un nuovo e diverso rapporto di lavoro con l’azienda cessionaria, basato sulla prestazione lavorativa effettivamente svolta.
Questa duplicità implica che le vicende relative al rapporto di fatto (come un accordo transattivo o la risoluzione consensuale) non possono avere alcun effetto sul rapporto giuridico che continua a legare il lavoratore all’originario datore di lavoro. Pertanto, il diritto del lavoratore a ricevere le retribuzioni dalla società cedente rimane intatto.

Il Rigetto della Domanda per Danno alla Professionalità

La Corte ha invece confermato il rigetto della richiesta di risarcimento per la perdita di professionalità. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la valutazione della Corte d’Appello, secondo cui le allegazioni del lavoratore erano troppo generiche per fondare la domanda, costituisse un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di Cassazione. L’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda iniziale è riservata al giudice di merito, e in questo caso non sono state ravvisate illogicità o vizi di motivazione tali da giustificare un annullamento.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla distinzione tra trasferimento legittimo e illegittimo. Solo un trasferimento conforme all’art. 2112 c.c. garantisce la continuità di un unico rapporto di lavoro che passa dal cedente al cessionario. Quando il trasferimento è invalido, questa continuità viene meno. Il rapporto con il cedente non si estingue mai e il lavoratore ha diritto a ricevere le retribuzioni, indipendentemente da quanto percepito (o non percepito) dal cessionario. L’accordo transattivo firmato con la società cessionaria, dunque, riguarda esclusivamente il rapporto di fatto e non può pregiudicare i diritti derivanti dal rapporto giuridico con la cedente, che rimane obbligata alla corresponsione della paga.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

L’ordinanza consolida una garanzia fondamentale per i lavoratori coinvolti in operazioni di trasferimento aziendale rivelatesi illegittime. Essa chiarisce che il lavoratore mantiene il pieno diritto alla retribuzione nei confronti del datore di lavoro originario, e che tale diritto non può essere compromesso da accordi presi con la società che ha illegittimamente acquisito il ramo. Per le aziende, questa sentenza sottolinea l’importanza di effettuare operazioni di cessione nel pieno rispetto dei requisiti di legge, per evitare di rimanere esposte a significative passività economiche legate a rapporti di lavoro considerati, solo apparentemente, trasferiti.

Cosa succede al rapporto di lavoro quando una cessione di ramo d’azienda viene dichiarata illegittima?
Quando una cessione di ramo d’azienda è dichiarata invalida, il rapporto di lavoro del dipendente non si trasferisce legalmente. Si crea una duplicità di rapporti: uno ‘de iure’ (giuridico) che continua senza interruzioni con l’azienda cedente (l’originario datore di lavoro) e uno ‘de facto’ (di fatto) che si instaura con l’azienda cessionaria presso cui il lavoratore presta servizio.

Un accordo transattivo con l’azienda cessionaria annulla i diritti del lavoratore verso l’azienda cedente?
No. Secondo la Corte, le vicende relative al rapporto di fatto con l’azienda cessionaria, come la stipula di un accordo transattivo per la sua risoluzione, non hanno alcuna efficacia sul rapporto giuridico che perdura con l’azienda cedente. Pertanto, il lavoratore conserva il diritto a richiedere le retribuzioni all’originario datore di lavoro.

Perché è stata respinta la domanda di risarcimento per danno alla professionalità?
La domanda è stata respinta perché la Corte d’Appello aveva giudicato le allegazioni del lavoratore come generiche e insufficienti a fondare la richiesta. La Corte di Cassazione ha ritenuto questa una valutazione di merito, non sindacabile in sede di legittimità, in assenza di vizi logici o di motivazione evidenti nella decisione impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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