Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18948 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 18948 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 19804-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – e sul RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G. proposto da:
Oggetto
Trasferimento
azienda
lavoro
R.G.N. 19804/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 16/04/2025
PU
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente successivo –
contro
COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti al ricorso successivo nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza n. 392/2024 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 15/03/2024 R.G.N. 1610/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME; NOME
uditi gli avvocati COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME.
Fatti di causa
La Corte di appello di Bari, con la sentenza n. 392/2024, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva: dichiarato l’inefficacia della cessione di ramo di azienda intervenuta tra Intesa Sanpaolo S.p.a. (quale incorporante di Intesa San Paolo Gropup RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE); dichiarato l’inefficacia della cessione dei contratti di lavoro dei dipendenti in favore di RAGIONE_SOCIALE; ordinato a Intesa Sanpaolo il ripristino dei rapporti di
lavoro dei ricorrenti, fin dalla data di cessione dei contratti, ad ogni effetto giuridico ed economico; condannato la società al pagamento delle spese di lite.
I giudici di seconde cure, premesso l’interesse dei lavoratori ad accertare la non configurabilità di un ramo di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e la peculiarità della fattispecie in oggetto, in cui la Banca cedente, tramite contratto di appalto concluso con la cessionaria, ha continuato ad avvalersi delle prestazioni lavorative degli stessi lavoratori ceduti, nella fattispecie in esame addetti alla struttura denominata ‘Direzione recupero Crediti’ di ISGS, hanno condiviso, in estr ema sintesi, le conclusioni del giudice di primo grado escludendo l’autonomia funzionale e la preesistenza del ramo ceduto ai fini di ravvisare una legittima cessione di ramo di azienda.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposti separati ricorsi Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE: la prima società con tre motivi e la seconda con quattro motivi, cui hanno resistito con controricorso gli intimati.
Le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 e dell’art. 118 disp att. cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per essersi la Corte territoriale limitata a richiamare la sentenza di primo grado, aderendo alle relative argomentazioni senza alcun confronto con i motivi di gravame proposti dalle società e senza spiegare le ragioni del rigetto degli appelli.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3
cpc, per non aver la Corte distrettuale correttamente interpretato, anche alla luce della direttiva 2001/23 e della giurisprudenza pronunciatasi sul punto, l’art. 2112 cod. civ. e per averne conseguentemente escluso l’applicabilità alla fattispecie in esame ove, erroneamente, era stata ritenuta l’insussistenza del requisito della autonomia funzionale.
Con il terzo motivo si obietta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nella parte in cui era stata esclusa, dalla Corte territoriale, la sussistenza del requisito della preesistenza del ramo ceduto.
Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, denuncia la violazione dell’art. 2112 cod. civ.; il vizio di violazione della fattispecie astratta che richiede di individuare la sussistenza di una articolazione fu nzionalmente autonoma’ indipendentemente dalla coeva stipulazione di contratti di fornitura di servizi tra le parti.
Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, si censura la violazione dell’art. 2112 cod. civ. in relazione al requisito della autonomia funzionale; l’erronea ricognizione della fattispecie astratta che: a) include tra i legittimi rami di azienda quelli aventi natura dematerializzata e b) non prevede che il ramo di azienda, per essere legittimo, debba essere ‘autosufficiente’.
Con il terzo motivo, si obietta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione dell’art. 2112 cod. civ., in relazione al requisito della preesistenza/identità; l’erronea ricognizione della fattispecie astratta che non richiede, quale declinazione de l requisito della identità del ramo, la cessione dell’intera attività prima svolta presso la realtà cedente, né recava requisiti attinenti all’oggetto di tale attività.
Con il quarto motivo si eccepisce la nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per omessa pronuncia sul motivo di appello concernente il mandato di gestione formulato da essa ricorrente.
Il primo motivo del ricorso di Intesa Sanpaolo S.p.a. ed il quarto motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE.a (da qualificarsi quest’ultimo quale ricorso incidentale perché successivo, cfr. Cass. n. 27680/2021; Cass. n. 36057/2021), con i quali si denuncia la nullità della sentenza impugnata, non sono fondati.
La sentenza gravata riporta ampia motivazione (che infatti viene criticata negli altri motivi) e raggiunge il cd. minimo costituzionale (Cass. S.U. n. 8053/2014).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile il controllo sul suo ragionamento (cfr. Cass. n. 9105/2017, n. 20921/2019); ipotesi non ricorrente nel caso in esame.
Inoltre, l’onere motivazionale può essere assolto anche mediante la condivisione delle valutazioni e del convincimento espressi dal Tribunale, sia pure attraverso il filtro dei motivi di gravame. Questi, tuttavia, ben possono essere rigettati proprio mediante quella tecnica motivazionale, senza dubbio legittima, qualora -come nella specie -il giudice del gravame abbia spiegato le ragioni di condivisione della decisione di primo grado.
Con riferimento, poi, all’asserito vizio di omessa pronuncia, a pag. 9 della sentenza impugnata la Corte
d’Appello dà atto che RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato la mancata considerazione del mandato di gestione dei crediti, da cui -secondo la tesi difensiva della società appellante -erano derivate quelle interazioni fra cedente e cessionaria, a suo dire considerate erroneamente dal Tribunale ostative ad una legittima cessione di ramo d’azienda ed invece del tutto irrilevanti, proprio perché giustificate da quel mandato di gestione. Nello sviluppo della motivazione i giudici d’appello hanno preso in considerazione quel motivo e lo hanno rigettato sia pure implicitamente, affermando che al momento della cessione la struttura non era affatto autosufficiente e senza i coevi contratti di appalto (che avevano garantito l’unica commessa ISP, fornendo gli strumenti in formatici necessari per l’ordinaria operatività) e senza l’inserimento nella organizzazione di RAGIONE_SOCIALE (non essendo state passate le funzioni amministrative e di interfaccia) il presunto ramo di azienda non sarebbe stato in grado di operare nel libero mercato.
Dunque, l’asserita omessa pronunzia su un motivo di appello non sussiste.
Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale nonché il primo, secondo e terzo motivo del ricorso incidentale -da esaminare congiuntamente per la loro connessione, in quanto tutti diretti a censurare l’interpretazione dell’art. 2112 cod. civ. operata nel caso concreto dai giudici di merito -sono anche essi infondati.
Contrariamente all’assunto delle ricorrenti, la Corte territoriale ha riconosciuto in astratto legittima anche una cessione di ramo dematerializzato d’azienda, ma alla condizione che il gruppo di dipendenti ceduti esprima una
professionalità omogenea e coesa mediante uno specifico e peculiare know-how .
In concreto, tuttavia, a seguito di un accertamento di fatto -congruamente motivato e quindi sottratto al sindacato di legittimità -i giudici d’appello (richiamando la motivazione del Tribunale) hanno escluso che ciò sussistesse, evidenziando che difettava l’elemento dell’autonomia organizzativa ed economica finalizzata allo svolgimento di un’attività di produzione di beni e servizi, ossia la capacità dello stesso, già al momento dello scorporo del complesso cedente, di provvedere a uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali e organizzativi e di svolgere autonomamente dal cedente, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzata nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione (richiamando pertinente giurisprudenza di legittimità sul punto). Hanno altresì sottolineato che i contratti di service dei programmi informatici e della logistica degli immobili costituivano specifici indicatori dell’assenza di autonomia e consistenza organizzativa propria in capo al complesso ceduto. Trattasi di un convincimento conforme a diritto, non essendovi stato alcun errore di sussunzione.
In proposito, va ricordato il pacifico orientamento di questa Corte, secondo cui il ramo d’azienda rilevante ex art. 2112 c.c. deve pur sempre rispettare la nozione di impresa e pertanto deve pur sempre avere quell’autonomia funzionale idonea a consentire lo svolgimento ex se dell’attività imprenditoriale (nella nozione data dall’art. 2082 c.c.) sul mercato, quindi anche verso terzi, e non solo verso la cedente.
In particolare, come ricordato nella sentenza appellata, questa Corte ha affermato che ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 d. lgs. n. 276/2003, rappresenta elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione.
L’elemento costitutivo dell’autonomia funzionale va quindi letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza, e ciò anche in armonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo la quale l’impiego del termine “conservi” nell’art. 6, par. 1, commi 1 e 4 della direttiva 2001/23/CE, “implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento” (sentenza 6 marzo 2014, C-458/12; sentenza 13 giugno 2019, C-664/2017) (Cass. n. 22249/2021).
In definitiva, il ramo ceduto deve essere in grado di svolgere attività di impresa indipendentemente dall’eventuale contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato fra cedente e cessionaria (Cass. n. 19034/2017: in quel giudizio questa Corte ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto integrato il trasferimento di ramo d’azienda nel caso di cessione di un call center, benché per la realizzazione dell’attività ceduta fosse necessaria una continua interazione con programmi
informatici rimasti nella proprietà esclusiva della cedente; nello stesso senso, Cass. n. 11247/2016).
La Corte territoriale ha fatto buon governo di tale orientamento, poiché ha verificato che in concreto, dopo la cessione del ramo d’azienda, l’attività della cessionaria era rimasta indissolubilmente legata, in termini di vera e propria dipendenza funzionale, ad alcune attività rimaste alla cedente.
Ne consegue la conformità a diritto della ritenuta esclusione della sussistenza nel caso concreto della fattispecie disciplinata dall’art. 2112 c.c.
Alla stregua di quanto esposto, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
Al rigetto segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta i ricorsi. Condanna ciascuna società ricorrente al pagamento, in favore dei rispettivi controricorrenti, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.