Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20314 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20314 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17361/2023 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZOINDIRIZZO Roma, presso avv. Studio legale COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME Stefano , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 94/2023 pubblicata in data 24/02/2023, n.r.g. 1174/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23/04/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE fino a quando era stato ceduto unitamente al ramo d’azienda a RAGIONE_SOCIALE
La cessione del ramo d’azienda era stata dichiarata illegittima con sentenza del Tribunale di Milano n. 3441/2017, con cui era stata anche ordinata la
OGGETTO:
cessione ramo d’azienda dichiarata inefficace -conseguenze – retributive giudicato precedente -esclusione
riammissione in servizio presso RAGIONE_SOCIALE. Tale pronunzia era stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 497/2019.
Il COGNOME chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo n. 1698/2021 nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per la somma di euro 43.961,15 a titolo di retribuzioni non corrisposte dal 22/07/2019 (data della costituzione in mora) al 31/12/2020.
2.- RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione, che veniva rigettata dal Tribunale.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla società.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
l’eccezione di giudicato riproposta dalla società con il primo motivo di appello, con cui deduce che l’originaria sentenza del Tribunale dichiarativa dell’illegittimità della cessione del ramo d’azienda aveva rigettato la domanda di condanna al pagamento delle retribuzioni, senza appello da parte del lavoratore -è infondata, atteso che fra quella sentenza di primo grado e il ricorso monitorio si sono verificati accadimenti che, in quanto successivi alla definizione di quel giudizio, non potevano essere vagliati da quel Tribunale;
quindi essendo mancata la cognizione di quei fatti -e segnatamente dell’inottemperanza datoriale all’ordine giudiziale di riammissione in servizio e la sua costituzione in mora da parte del lavoratore -nessun giudicato si è sul punto formato;
le due domande, quella originaria volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità della cessione di ramo d’azienda e quella successiva azionata in via monitoria, sono diverse per causa petendi e per petitum , sicché non sussiste alcun giudicato preclusivo;
con riguardo agli altri motivi di appello, alla luce del più recente orientamento di legittimità, in caso di accertata illegittimità del trasferimento di azienda o di un suo ramo, i crediti vantati dai lavoratori nei confronti del cedente per effetto del mancato ripristino del rapporto di lavoro hanno natura retributiva e non risarcitoria e decorrono dalla messa in mora intimata dal lavoratore;
il pagamento, da parte del cessionario, delle retribuzioni non produce alcun effetto sul rapporto con il cedente, atteso che non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno ;
infondato è pure il motivo di gravame con cui viene riproposta in subordine la richiesta di detrarre dal dovuto le prestazioni indennitarie o comunque sostitutive della retribuzione percepite erogate al lavoratore dagli enti preposti;
quegli eventi -malattia, infortuni etc. -avrebbero potuto riguardare il rapporto con Modis e non quello con IBM, che aveva rifiutato la prestazione lavorativa; le vicende relative al rapporto con Modis non possono incidere sul rapporto con IBM (Cass. ord. n. 22428/2021), trattandosi di rapporti del tutto distinti e autonomi;
in ogni caso difettano idonee allegazioni e prove in ordine agli eventi che avrebbero comportato l’erogazione di indennità da parte di INPS ed INAIL, né a tali lacune può supplirsi con un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., che sarebbe meramente esplorativo.
4.Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.
5.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- In data 07/10/2024 il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione accelerata del ricorso , ravvisando l’inammissibilità del primo motivo relativo ad un asserito giudicato, a causa di un difetto di autosufficienza, nonché la manifesta infondatezza degli altri motivi, in quanto relativi a questioni già decise da plurimi arresti di questa Corte a partire da Cass. sez. un. n. 2990/2018.
7.- La proposta di definizione accelerata è stata comunicata in data 08/10/20214. In data 14/11/2024 la società ha proposto tempestiva istanza di decisione, motivata specificamente con riguardo all’ammissibilità del primo motivo del ricorso per cassazione.
8.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
9.Fissata l’adunanza camerale, i l collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Va premesso che questa Corte, in funzione nomofilattica, ha affermato
che nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149/2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore -del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, co. 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (Cass. sez. n. 9611/2024).
Ne consegue l’irrilevanza del fatto che l’autrice della proposta di definizione accelerata del ricorso sia la Presidente dell’odierno Collegio.
2.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 4), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. per avere la Corte territoriale rigettato l’eccezione di giudicato e il motivo che la conteneva.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza per la mancata trascrizione integrale degli atti di pertinenza, indispensabili a ritenere la formazione del giudicato sulla pretesa azionata. In particolare è mancata la trascrizione del ricorso originario (con cui era stata impugnata la cessione di ramo d’azienda), necessaria per consentire a questa Corte di individuare l’esatta causa petendi rispetto alla quale si sarebbe formato il giudicato invocato dalla odierna ricorrente con il primo motivo.
3.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione degli artt. 3 e 36 Cost., falsa applicazione degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., nonché violazione degli artt. 1218, 1223, 1227, 2094 e 2105 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che, a fronte della mancata riammissione in servizio da parte della cedente, il lavoratore ha diritto alla retribuzione, senza alcuna detraibilità delle somme percepite dal cessionario, stante l’inapplicabilità della compensatio lucri cum damno .
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la
ricorrente lamenta violazione degli artt. 3 e 36 Cost., ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 1206, 1207 1208, 1217, 1256, 2094 e 2099 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto idonea la messa in mora del lavoratore, nonostante quest’ultimo avesse continuato a la vorare presso la cessionaria.
I due motivi -da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono infondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte sulla duplicità dei rapporti, l’uno de iure ricostituito dalla sentenza con cui la cessione di ramo d’azienda è stata dichiarata illegittima (o comunque inopponibile ai lavoratori ceduti), l’altro de facto proseguito alle dipendenze del cessionario, rilevante nei limiti di cui all’art. 2126 c.c. Al riguardo questa Corte ha già affermato che nel caso di illegittima cessione di ramo d’azienda, le prestazioni lavorative offerte al datore di lavoro cedente e da questi non ricevute senza giustificato motivo, producendo gli effetti della mora credendi , sono equiparate a quelle eseguite e generano la sua obbligazione retributiva corrispettiva, senza che da questa possa detrarsi quanto percepito dal lavoratore ceduto nell’ambito del diverso ed autonomo rapporto instaurato con il cessionario in via di mero fatto ex art. 2126 c.c., sia perché l’ aliunde perceptum attiene al risarcimento del danno, sia perché si è in presenza di due rapporti lavorativi, per i quali il principio di corrispettività giustifica il diritto a due retribuzioni (Cass. ord. n. 14712/2024; Cass. ord. n. 35982/2021; Cass. ord. n. 21158/2019; Cass. ord. n. 21160/2019).
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 5), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1180, 2036 e 2126 c.c., 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003, 1676 e 2112, co. 6, c.c., falsa applicazione degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, per avere la Corte territoriale escluso l’efficacia liberatoria dei pagamenti eseguiti dal cessionario, ritenendo inapplicabile la disciplina dell’adempimento del terz o e violato, in tal modo, i principi di diritto espressi da Cass. sez. un. n. 2990/2018, nonché per avere escluso la disciplina dell’appalto di cui all’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003, omettendo di considerare che nel caso in esame la cedente aveva stipulato con la cessionaria un contratto di appalto, la cui esecuzione era avvenuta utilizzando il ramo d’azienda ceduto.
Il motivo è inammissibile con riguardo al vizio ex art. 360, co. 1, n. 5),
c.p.c. (omesso esame di fatto decisivo e controverso), in quanto precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, pen.co., c.p.c.).
Per il resto il motivo è infondato alla luce delle medesime ragioni esposte con riguardo al secondo e al terzo motivo.
In ogni caso non può applicarsi l’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003, che attiene alla fattispecie del tutto diversa della solidarietà del committente e dell’appaltatore per i crediti retributivi dei dipendenti di quest’ultimo maturati nell’ambito dell’unico rapporto di lavoro alle dipendenze dell’appaltatore. Il caso in esame, invece, attiene ai crediti retributivi vantati dai lavoratori nei confronti del cedente in relazione al rapporto di lavoro ripristinato de iure dalla declaratoria giudiziale di illegittimità ( rectius inopponibilità) della cessione del ramo d’azienda , che si affiancano ai diversi crediti vantati nei confronti del cessionario in virtù del distinto ed autonomo rapporto di lavoro rilevante ex art. 2126 c.c.
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1180 e 2036 c.c., falsa applicazione degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., 27, co. 2, d.lgs. n. 276/2003 e 38, co. 3, d.lgs. n. 81/2015 per avere la Corte territoriale esclusa l’efficacia liberatoria del pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario del ramo d’azienda, ritenendo inapplicabile la disciplina dell’adempimento del terzo, finendo per violare i principi di diritto affermati da Cass. sez. un. n. 2990/2018.
Il motivo è infondato.
Nell’appalto illecito (o nella somministrazione irregolare) il datore di lavoro formale non utilizza la prestazione lavorativa, che viene resa unicamente per soddisfare l’interesse economico del committente (o dell’utilizzatore ).
Nella cessione di ramo d’azienda dichiarata illegittima (o inopponibile al lavoratore), dopo la sentenza dichiarativa di quell’illegittimità il rapporto di lavoro viene ricostituito de iure alle dipendenze del cedente, sicché il rapporto di lavoro che proseguisse di fatto alle dipendenze del cessionario è giuridicamente rilevante soltanto nei limiti dell’art. 2126 c.c. Dunque i rapporti di lavoro in tal caso sono due, sicché il cessionario che paga la retribuzione non adempie un debito altrui (ossia del cedente), bensì un debito proprio. Ne consegue l’inapplicabilità dell’adempimento del terzo (art. 1180 c.c.) e del meccanismo satisfattivo delineato dall’art. 27, co. 2, d.lgs. n. 276/2003,
applicato da questa Corte (Cass. sez. un. n. 2990/2018) limitatamente all’appalto illecito.
6.Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta falsa applicazione degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., violazione degli artt. 2094 e 2099 c.c., 3, 23, 36, 41 e 111 Cost., nonché falsa applicazione dell’art. 614 bis c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che il diritto del lavoratore alle retribuzioni svolga una funzione deterrente nei confronti del datore di lavoro che resti inottemperante all’ordine di riammissione in servizio.
Il motivo è infondato.
L’ astreinte di cui all’art. 614 bis c.p.c. è
7.Con il settimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 4), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 1206, 1207, 1208, 1217 e 1256 c.c., violazione degli artt. 115. 210 e 213 c.p.c. per avere la Corte territoriale escluso la detraibilità delle somme percepite da INPS ed INAIL sia perché le vicende (malattia, infortunio, congedi etc.) relative al rapporto con il cessionario del ramo d’azienda non possono incidere sul diverso rapporto con il cedente, sia perché erano mancate idonee allegazioni e prove e le istanze di ordine di esibizione erano inammissibili
perché meramente esplorative.
Il motivo è infondato.
In relazione al primo profilo -irrilevanza delle vicende (malattia, infortunio, congedi etc.) relative al rapporto con il cessionario del ramo d’azienda rispetto al diverso rapporto di lavoro con il cedente -è sufficiente rammentare che, ai sensi dell’art. 1207, co. 1, primo periodo, c.c., ‘ Quando il creditore è in mora, è a suo carico l’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore ‘. Quindi dal momento in cui il datore di lavoro (cedente il ramo d’azienda) è costituito in mora, il rischio dell’eventuale impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al lavoratore, quale debitore della prestazione lavorativa, resta a carico del datore di lavoro medesimo. Ciò rende irrilevanti le eventuali situazioni di impossibilità sopravvenuta (temporanea) della prestazione lavorativa. Resta in tal modo assorbita l’ulteriore censura, relativa al criterio della c.d. vicinanza della prova, che, secondo la ricorrente, avre bbe giustificato l’ordine di esibizione all’INPS o all’INAIL. I nfatti, tale atto istruttorio resta del tutto irrilevante, posto che il datore di lavoro, creditore della prestazione lavorativa, dalla costituzione in mora sopporta il rischio di eventuali cause di impossibilità sopravvenuta (e temporanea) della prestazione lavorativa.
8.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. L ‘esito decisorio della presente ordinanza è conforme alla proposta di definizione accelerata. Pertanto vanno altresì pronunziate le condanne di cui all’art. 96, co. 3 e 4, c.p.c., visto l’espresso richiamo nell’art. 380 bis, ult. co., c.p.c., secondo le misure indicate nel dispositivo. Trattasi invero della codificazione, attraverso una valutazione legale tipica, di un’ipotesi di abuso del processo. E pur volendo darne un’interpretazione costituzionalmente compatibile (Cass. sez. un., ord. n. 36069/2023), nel caso concreto non sussistevano ragioni ch e potessero giustificare l’istanza di decisione secondo un criterio ragionevole di prudenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione ai difensori del
contro
ricorrente dichiaratisi antistatari; condanna la società ricorrente a pagare al controricorrente la somma di euro 2.000,00 e alla cassa delle ammende della somma di euro 2.000,00.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data