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Cessione ramo d’azienda: doppio stipendio legittimo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20314/2025, ha stabilito che in caso di cessione di ramo d’azienda dichiarata illegittima, il lavoratore ha diritto alla retribuzione sia dal datore di lavoro originario (cedente) che da quello di fatto (cessionario). La Corte ha chiarito che si configurano due rapporti di lavoro distinti: uno ‘de iure’ ripristinato con il cedente e uno ‘de facto’ proseguito con il cessionario. Di conseguenza, la retribuzione versata da quest’ultimo non può essere detratta da quella dovuta dal cedente, poiché non si applica il principio della ‘compensatio lucri cum damno’.

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Cessione Ramo d’Azienda Illegittima: Sì al Doppio Stipendio per il Lavoratore

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: le conseguenze economiche di una cessione ramo d’azienda dichiarata illegittima. La sentenza stabilisce un principio fondamentale: il lavoratore il cui trasferimento si rivela invalido ha diritto a ricevere la retribuzione sia dal datore di lavoro originario (cedente) sia da quello presso cui ha effettivamente lavorato (cessionario). Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: un Trasferimento Contestato

Un dipendente di una grande società tecnologica veniva trasferito a un’altra azienda nell’ambito di una cessione di ramo d’azienda. Il lavoratore impugnava il trasferimento e il Tribunale dichiarava la cessione illegittima, ordinando la sua riammissione in servizio presso la società cedente. Nonostante l’ordine del giudice, la società originaria non riammetteva il dipendente, il quale, nel frattempo, aveva continuato a lavorare per la società cessionaria.

Di conseguenza, il lavoratore richiedeva e otteneva un decreto ingiuntivo contro la società cedente per il pagamento delle retribuzioni maturate dal momento della messa in mora. La società si opponeva, sostenendo che nulla fosse dovuto, dato che il lavoratore aveva già percepito uno stipendio dalla società cessionaria. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione al lavoratore, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando le decisioni dei gradi precedenti. Il punto centrale della pronuncia è che, a seguito della dichiarazione di illegittimità della cessione, si vengono a creare due rapporti di lavoro distinti e paralleli:

1. Un rapporto de iure (giuridico), che viene ripristinato con il datore di lavoro originario (cedente) per effetto della sentenza.
2. Un rapporto de facto (di fatto), che prosegue con il datore di lavoro cessionario, presso cui il lavoratore ha materialmente continuato a prestare la sua attività.

Questa duplicità di rapporti giustifica il diritto del lavoratore a percepire due distinte retribuzioni, ciascuna a titolo di corrispettivo per i rispettivi obblighi contrattuali.

Le Motivazioni: la Duplicità dei Rapporti di Lavoro nella cessione ramo d’azienda

La Corte ha basato la sua decisione su argomentazioni giuridiche precise e consolidate, rigettando tutte le obiezioni della società ricorrente.

Due Rapporti, Due Retribuzioni

Il cuore della motivazione risiede nel riconoscimento di due rapporti lavorativi autonomi. Il rapporto con il cedente, ripristinato giudizialmente, obbliga quest’ultimo al pagamento della retribuzione in quanto la mancata prestazione lavorativa è dovuta al suo stesso rifiuto di ricevere il lavoratore (la cosiddetta mora credendi). Le offerte di lavoro non ricevute, per la legge, sono equiparate a quelle eseguite.

Al contempo, il rapporto con il cessionario, sebbene basato su un trasferimento illegittimo, è un rapporto di fatto che, ai sensi dell’art. 2126 c.c., produce effetti retributivi per il periodo in cui la prestazione è stata effettivamente eseguita. Pertanto, lo stipendio pagato dal cessionario è il giusto corrispettivo per il lavoro svolto e non può estinguere l’obbligazione del cedente.

Inapplicabilità della Compensatio Lucri Cum Damno

La società ricorrente chiedeva di detrarre quanto percepito dal lavoratore (aliunde perceptum) dall’importo dovuto. La Corte ha respinto questa tesi, chiarendo che il principio della compensatio lucri cum damno si applica solo in materia di risarcimento del danno. In questo caso, la pretesa del lavoratore non era a titolo di risarcimento, ma a titolo di retribuzione, ossia il corrispettivo contrattualmente previsto. Poiché si tratta di due rapporti distinti, non vi è spazio per alcuna compensazione.

Irrilevanza delle Vicende del Rapporto di Fatto

La Corte ha inoltre specificato che eventuali eventi come malattia o infortunio, verificatisi durante il rapporto di fatto con il cessionario, non incidono sul diritto alla retribuzione da parte del cedente. Una volta che il datore di lavoro cedente è in mora, il rischio di impossibilità della prestazione lavorativa (anche temporanea) ricade interamente su di lui, come previsto dall’art. 1207 c.c.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza per la tutela dei lavoratori coinvolti in operazioni di cessione ramo d’azienda. Le implicazioni pratiche sono significative:

* Rafforzamento della tutela del lavoratore: La sentenza garantisce al lavoratore una solida protezione economica in caso di trasferimento illegittimo, riconoscendogli il diritto a quanto spettante da entrambi i datori di lavoro.
* Deterrente per le aziende: Il rischio di dover corrispondere una retribuzione ‘a vuoto’ funge da forte deterrente per i datori di lavoro cedenti dal non ottemperare a un ordine di riammissione in servizio.
Chiarezza sui principi giuridici: La pronuncia ribadisce la distinzione tra obbligazione retributiva e risarcimento del danno, e chiarisce l’inapplicabilità di istituti come la compensatio lucri cum damno* in questo contesto.

In conclusione, la decisione della Cassazione riafferma che il diritto alla retribuzione è la conseguenza diretta dell’esistenza di un rapporto di lavoro, anche quando la prestazione non viene eseguita per un’ingiustificata decisione del datore di lavoro.

Se una cessione di ramo d’azienda viene dichiarata illegittima, il lavoratore ha diritto alla retribuzione dal datore di lavoro originario (cedente) anche se ha continuato a lavorare e a essere pagato dal nuovo datore (cessionario)?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, si configurano due rapporti di lavoro autonomi e distinti: uno giuridico con il cedente e uno di fatto con il cessionario. Entrambi i rapporti generano un autonomo diritto alla retribuzione.

Lo stipendio ricevuto dal datore di lavoro cessionario può essere detratto da quanto dovuto dal datore di lavoro cedente?
No. La Corte ha stabilito che non si può detrarre quanto percepito dal cessionario (aliunde perceptum), perché la richiesta del lavoratore verso il cedente ha natura retributiva e non risarcitoria. Il principio della ‘compensatio lucri cum damno’ non si applica.

Le assenze per malattia o infortunio avvenute durante il rapporto di fatto con il cessionario incidono sul diritto alla retribuzione da parte del cedente?
No. Una volta che il datore di lavoro cedente è costituito in mora (cioè rifiuta illegittimamente la prestazione lavorativa), il rischio di impossibilità della prestazione, anche se temporanea e non imputabile al lavoratore, resta interamente a suo carico. Pertanto, il diritto alla retribuzione non viene meno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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