Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17203 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 17203 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso 17044-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME COGNOME
– controricorrenti –
Oggetto
R.G.N. 17044/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 16/04/2025
PU
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – e sul RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente successivo –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME COGNOME
– controricorrenti al ricorso successivo nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza n. 90/2023 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 20/02/2023 R.G.N. 343/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME udito il P.M. in persona del l’Avvocata Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; uditi gli avvocati COGNOME NOME COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato COGNOME
Fatti di causa
Il Tribunale di Bologna, innanzi al quale era stato impugnato dai lavoratori in epigrafe il trasferimento del ramo d’azienda relativo alla Direzione Recupero Crediti (DRC) da Intesa Sanpaolo Group Service (ISGS) s.c.p.a. (società consortile partecipata da Intesa Sanpaolo s.p.a., successivamente fusa per incorporazione in quest’ultima) a RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE (successivamente ridenominata RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE) con decorrenza 30.11.2018, deducendo la nullità della cessione per insussistenza dell’autonomia del ramo ceduto e per difetto di preesistenza dello stesso ramo rispetto alla cessione, in accoglimento del ricorso accertava l’inefficacia nei confronti dei ricorrenti del trasferimento del ramo d’azienda e l’inefficacia della cessione dei rispettivi contratti di lavoro, e condannava Intesa San Paolo a ripristinare i rapporti di lavoro dalla data di cessione dei contratti.
La Corte d’Appello di Bologna respingeva gli appelli riuniti di cedente e cessionaria.
Osservava, in particolare, che non era condivisibile la prospettazione delle appellanti nell’esame riduzionistico dei singoli assets non oggetto di trasferimento e nella tautologica valutazione dell’inessenzialità di ciascuno preso singolarmente a comporre un ramo d’azienda, obliterando il risultato complessivo dell’operazione, che si era tradotta in semplice trasferimento delle maestranze; che l’esistenza o permanenza nel trasferimento di un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata non era la risultante dell’operazione in esame; che, nel caso concreto, in base agli elementi istruttori raccolti, il ricorso alle nozioni di ramo d’azienda leggero o dematerializzato non aveva creato e non
aveva conservato un’entità economica settoriale, in quanto la scomposizione della funzione recupero crediti come in concreto attuata ne aveva invece determinato la destrutturazione, riducendosi alla semplice esternalizzazione della manodopera e non del servizio.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE con 4 motivi; successivamente pure Intesa Sanpaolo ha proposto ricorso per cassazione (da qualificare pertanto incidentale) con 2 motivi; a ognuno di essi i lavoratori hanno resistito con autonomo controricorso; tutte le parti hanno depositato memorie per l’udienza camerale del 10.9.2024; attesa la rilevanza nomofilattica, la causa è stata rinviata e fissata all’odierna pubblica udienza.
In vista di questa, sono state depositate memorie scritte di tutte le parti. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. La causa è stata discussa oralmente dai difensori delle parti e trattenuta in decisione.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso per cassazione, la società cessionaria RAGIONE_SOCIALE deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., e nullità della sentenza per assenza di motivazione, assoluta mancanza di un ragionamento in iure alla base dei giudizi circa l’infondatezza dei motivi di gravame e la non configurabilità della vicenda circolatoria in esame quale legittimo ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c.
Con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione dell’art. 2112 c.c. per vizio di violazione della
fattispecie astratta che include tra i legittimi rami d’azienda quelli aventi natura dematerializzata e non prevede che il ramo d’azienda, per essere legittimo, debba essere necessariamente ceduto unitamente ad elementi accessori ed estrinseci rispetto alla funzione o attività svolta dal ramo ceduto.
Con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione dell’ art. 2112 c.c. per vizio di violazione della fattispecie astratta che richiede la mancanza di soluzione di continuità nello svolgimento del lavoro e, dunque, il proseguimento di un’attività economica ai fini del suo trasferimento.
Con il quarto motivo, deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per motivazione apparente in ordine ai giudizi di irrilevanza espressi che hanno portato a escludere il requisito dell’autonomia funzionale del ramo ceduto.
Con il primo motivo di ricorso per cassazione, la società cedente Intesa Sanpaolo deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., sostenendo che la Corte d’Appello si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, aderendo alle relative argomentazioni senza alcun confronto con i motivi di gravame proposti dalle società appellanti.
Con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., per erronea interpretazione di tale norma ed erronea esclusione della sua applicabilità, anche alla luce della Direttiva 2001/23/CE e della giurisprudenza pronunciatasi sul punto.
Il primo e quarto motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, con i quali tutti si denuncia
nullità della sentenza impugnata, non sono fondati.
La sentenza gravata riporta ampia motivazione (che infatti viene criticata negli altri motivi) e raggiunge il cd. minimo costituzionale (Cass. S.U. n. 8053/2014).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile il controllo sul suo ragionamento (cfr. Cass. n. 9105/2017, n. 20921/2019); ipotesi non ricorrente nel caso in esame.
Inoltre, l’onere motivazionale può essere assolto anche mediante la condivisione delle valutazioni e del convincimento espressi dal Tribunale, sia pure attraverso il filtro dei motivi di gravame. Questi, tuttavia, ben possono essere rigettati proprio mediante quella tecnica motivazionale, senza dubbio legittima, qualora -come nella specie -il giudice del gravame abbia spiegato le ragioni di condivisione della decisione di primo grado.
Il terzo e quarto motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale -da esaminare congiuntamente per la loro connessione, in quanto tutti diretti a censurare l’interpretazione dell’art. 2112 c.c. operata nel caso concreto dai giudici di merito -sono infondati.
Contrariamente all’assunto delle ricorrenti, la Corte territoriale ha riconosciuto in astratto legittima anche una cessione di ramo dematerializzato d’azienda, ma alla condizione che il gruppo di dipendenti ceduti esprima una professionalità omogenea e coesa mediante uno specifico e peculiare know-how .
In concreto, tuttavia, a seguito di un accertamento di fatto -congruamente motivato e quindi sottratto al sindacato di legittimità -i giudici d’appello (richiamando la motivazione del Tribunale) hanno escluso che ciò sussistesse, evidenziando che difettava l’elemento dell’autonomia organizzativa ed economica finalizzata allo svolgimento di un’attività di produzione di beni e servizi, ossia la capacità dello stesso, già al momento dello scorporo del complesso cedente, di provvedere a uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali e organizzativi e di svolgere autonomamente dal cedente, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzata nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione (richiamando pertinente giurisprudenza di legittimità sul punto). Hanno altresì sottolineato che i contratti di service dei programmi informatici e della logistica degli immobili costituivano specifici indicatori dell’assenza di autonomia e consistenza organizzativa propria in capo al complesso ceduto. Trattasi di un convincimento conforme a diritto, non essendovi stato alcun errore di sussunzione.
In proposito, va ricordato il pacifico orientamento di questa Corte, secondo cui il ramo d’azienda rilevante ex art. 2112 c.c. deve pur sempre rispettare la nozione di impresa e pertanto deve pur sempre avere quell’autonomia funzionale idonea a consentire lo svolgimento ex se dell’attività imprenditoriale (nella nozione data dall’art. 2082 c.c.) sul mercato, quindi anche verso terzi, e non solo verso la cedente.
In particolare, come ricordato nella sentenza appellata, questa Corte ha affermato che ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 d. lgs. n. 276/2003, rappresenta
elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere -autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione.
L’elemento costitutivo dell’autonomia funzionale va quindi letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza, e ciò anche in armonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo la quale l’impiego del termine ” conservi ” nell’art. 6, par. 1, commi 1 e 4 della direttiva 2001/23/CE, ” implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento ” (sentenza 6 marzo 2014, C-458/12; sentenza 13 giugno 2019, C-664/2017) (Cass. n. 22249/2021).
In definitiva, il ramo ceduto deve essere in grado di svolgere attività di impresa indipendentemente dall’eventuale contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato fra cedente e cessionaria (Cass. n. 19034/2017: in quel giudizio questa Corte ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto integrato il trasferimento di ramo d’azienda nel caso di cessione di un call center , benché per la realizzazione dell’attività ceduta fosse necessaria una continua interazione con programmi informatici rimasti nella proprietà esclusiva della cedente; nello stesso senso, Cass. n. 11247/2016).
La Corte territoriale ha fatto buon governo di tale orientamento, poiché ha verificato che in concreto, dopo la cessione del ramo d’azienda, l’attività della cessionaria era
rimasta indissolubilmente legata, in termini di vera e propria dipendenza funzionale, ad alcune attività rimaste alla cedente.
Ne consegue la conformità a diritto della ritenuta esclusione della sussistenza nel caso concreto della fattispecie disciplinata dall’art. 2112 c.c.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore dei controricorrenti dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi; condanna ciascuna società ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 9.000 ciascuna, da distrarsi.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 aprile 2025.