Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7866 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7866 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1240/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE e per essa RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (LORENZO CODICE_FISCALE), pec: EMAIL; -ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME pec:
COGNOME (CODICE_FISCALE), EMAIL;
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 1326/2020 depositata il 08/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Rimini revocava il decreto con cui era stato ingiunto a NOME, NOME e NOME COGNOME il pagamento di euro 462.180,92 a favore di RAGIONE_SOCIALE banca e condannava gli ingiunti, nella veste di fideiussori dell’RAGIONE_SOCIALE, al pagamento della minor somma di euro 69.496,25.
RAGIONE_SOCIALE banca impugnava la decisione, lamentando che il Tribunale avesse erroneamente interpretato l’atto sottoscritto dai COGNOME qualificandolo come fideiussione piuttosto che come contratto autonomo di garanzia, in ragione della clausola n. 8, in forza della quale le parti avevano pattuito che ‘nell’ipotesi in cui le fideiussioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione si intende fin d’ora estesa a garanzia dell’obbligo di restituzione dele somme comunque erogate’.
A supporto di tale assunto faceva rilevare che l’obbligata principale non aveva sollevata alcuna eccezione tant’è vero che, dopo il suo fallimento, il curatore non aveva fatto opposizione all’ammissione del credito bancario al passivo fallimentare nella misura richiesta con il provvedimento monitorio.
La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza n. 1326/2020, depositata in data 08/12/2020, ha rigettato l’appello.
Segnatamente, la Corte territoriale ha rilevato che RAGIONE_SOCIALE banca nella comparsa di risposta in primo grado non aveva mai dedotto la
questione dell’interpretazione della fideiussione, difendendosi su tutte le eccezioni sollevate dai garanti, anche in punto di prova del credito; ha escluso che allegando l’art. 8 del contratto avesse posto la questione della natura autonoma del contratto di garanzia e comunque l’art. 8 conteneva una rinuncia ad eccepire nella sola ipotesi di invalidità delle fideiussioni, ha escluso che la questione della qualificazione dei contratti potesse essere posta per la prima volta in appello, perché essa determinava una modificazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio; oltre che inammissibile la questione è stata ritenuta anche infondata, perché l’espressione ‘a semplice richiesta’ contenuta nell’art. 7 delle condizioni generali di contratto non costituiva un indice inequivoco della volontà delle parti d rendere autonoma la garanzia prestata (Cass. 1685/2016) e la locuzione ‘i fideiussori non possono opporre alcuna eccezione’, contenuta nell’art. 9, era testualmente riferita all’esercizio del recesso da parte della banca.
RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti della RAGIONE_SOCIALE, tra cui quello per cui è causa, e per essa la sua mandataria RAGIONE_SOCIALE, ricorre per la cassazione di detta pronuncia, formulando tre motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Nessuna attività difensiva è svolta in questa sede da NOME e NOME COGNOME, rimasti intimati.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Il controricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1936, 1941 e 1945 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto che il contratto non meritasse di essere qualificato come
contratto autonomo di garanzia, atteso che l’art. 7 non indicava inequivocabilmente la volontà di rendere autonomo il contratto; detta statuizione si porrebbe in contrasto con la pronuncia delle Sezioni Unite n. 3947/2010.
Con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1936, 1941 e 1945, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., per avere la Corte d’appello erroneamente interpretato le previsioni di cui agli artt. 6, 7, 8 e 9 del contratto ed avere, per l’effetto, negato al contratto per cui è causa la corretta qualificazione.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
L’errore della Corte d’appello è, ad avviso dei ricorrenti, quello di aver ritenuto che la richiesta in sede di giudizio di appello di una diversa qualificazione del contratto incontrasse il divieto di cui all’art. 345 cod.proc.civ., perché invece l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità è nel senso che: i) la prospettazione di una qualificazione giuridica del negozio diversa da quella contenuta negli atti di primo grado è ammessa, purché sia basata sui medesimi fatti; ii) non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice d’appello che attribuisca al rapporto per cui è causa una diversa qualificazione giuridica rispetto a quella emergente dal giudizio di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere, ove restino inalterati il petitum e la causa petendi , di inquadrare esattamente i fatti e gli atti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti; iii) il riesame della qualificazione giuridica del contratto sollevata con i motivi di appello non comporta l’introduzione di fatti nuovi, non allegati nella precedente fase processuale, risolvendosi nella mera sollecitazione di un nuovo apprezzamento delle pattuizioni intercorse tra le parti,
la cui riconduzione alla figura del contratto autonomo di garanzia, anziché a quella della fideiussione, in quanto frutto dell’interpretazione di clausole già esaminate e discusse in primo grado, non implica il mutamento della causa petendi (Cass. n. 15213/2015; Cass. n. 19090/2007).
Va esaminata in via prioritaria l’eccezione sollevata dal controricorrente relativa al difetto di interesse e di legittimazione della RAGIONE_SOCIALE a proporre ricorso per cassazione non avendo la stessa dimostrato di avere acquistato la titolarità del credito controverso e, quindi, di poter intervenire nel giudizio nella posizione processuale rivestita nei precedenti gradi di merito da RAGIONE_SOCIALE, non essendo sufficiente l’estratto della Gazzetta Ufficiale del 6 giugno 2020 in cui si menzionava un’operazione di cartolarizzazione con cui RAGIONE_SOCIALE si sarebbe resa cessionaria di una serie di crediti facenti capo a RAGIONE_SOCIALE Sul punto vanno richiamate, al fine di prestarvi adesione, le decisioni di questa Corte n. 17944 del 22/06/2023 e n. 9412 del 5/04/2023, con cui questa Corte ha chiarito che:
la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della cessione in blocco esonera la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto ed è un adempimento che si pone sullo stesso piano di quelli prescritti in via generale dall’art. 1264 c.c., ma non esonera la parte che agisce affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58, dall’onere di dimostrare l’inclusione del credito per cui agisce in detta operazione; dimostrazione che -quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé -può dirsi soddisfatta tramite l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, là dove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di
ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete; con la conseguenza che ove tale riconducibilità non sia desumibile con certezza dalle suddette indicazioni sarà necessaria la produzione del contratto e/o dei suoi allegati, ovvero sarà necessario fornire la prova della cessione dello specifico credito oggetto di controversia in altro modo.
Nel caso di specie la ricorrente, alle pp. 5 e ss. del ricorso, a fine di giustificare la propria legittimazione, ha dedotto di aver stipulato in data 1 giugno 2020 con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.a., con Banco di Sardegna S.p.a. e con Cassa di Risparmio Bra S.p.a. un contratto di cessione di crediti pecuniari ai sensi degli artt. 1, 4 e 7.1. della legge sulla cartolarizzazione, in forza del quale aveva acquistato pro soluto da ciascuna banca cedente taluni crediti pecuniari vantati verso debitori classificati a sofferenza, come individuati in ciascun documento di identificazione dei crediti allegato al contratto di cessione; di detta cessione era stata data notizia mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 6 giugno 2020, ai sensi dell’art. 58 Tuf, corredato dall’informativa ai debitori ceduti, ai sensi degli artt. 13 e 14 Reg. n. 6709/2016 e della normativa nazionale applicabile.
Il controricorrente, come si è detto, contesta la legittimazione della RAGIONE_SOCIALE, sostenendo che dal contenuto dell’avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non emergono elementi idonei a confermare, senza margini di incertezza, che il credito litigioso sia attratto nella categoria dei crediti trasferiti.
L’eccezione è fondata.
In base al ricorso ed alla documentazione prodotta dalla ricorrente (nell’ambito della quale non vi è il contratto di cessione e, tanto meno, l’elenco specifico dei crediti oggetto della stessa eventualmente allegato al medesimo), non è possibile affermare con certezza che tra i crediti trasferiti rientrasse anche quello di cui
si discute nel presente giudizio, mancando un preciso riscontro sia in ordine ai ‘crediti in sofferenza’, sia, soprattutto, dovendosi tener conto che la cessione ha riguardato non tutti i crediti in sofferenza, ma solo ‘taluni’, senza alcuna altra indicazione volta ad individuarli. Ne consegue che, non essendo possibile verificare la legittimazione della società ricorrente, che non è stata parte del giudizio di merito, a partecipare alla presente fase del giudizio, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Tanto rilevato, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo esclusivamente a favore di NOME COGNOME, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile