Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5190 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5190 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9218/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME COGNOME NOME elettivamente domiciliati in Barletta INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME -controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 1663/2021 depositata il 28/09/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -La società RAGIONE_SOCIALEe i suoi fideiussori NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. chiedendo di rideterminare il saldo effettivo dei rapporti bancari in essere con la società, costituiti da due conti correnti accesi dal 1998 – n. 631047.76 e n. 51701.25 -e numerosi conti anticipi ad essi collegati, nonché da due mutui fondiari sottoscritti nel 2001 e nel 2002 con Banca Antoniana Popolare Veneta (poi MPS), deducendo la nullità del contratto di c/c n. 631047.76 per essere il documento sottoscritto dal solo correntista, e la illegittimità degli addebiti relativi ad interessi ultralegali, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, agli interessi usurari, alla clausola di massimo scoperto, agli oneri e spese non pattuite, individuando complessivamente la differenza a credito del correntista nella somma di 42.821,69, di cui chiedeva condanna della banca al pagamento, unitamente alla somma di euro 524.000,00 a titolo di risarcimento del danno per erronea segnalazione della società alla centrale Rischi.
La banca ha contestato la fondatezza delle ragioni creditorie e in via riconvenzionale ha chiesto la condanna della debitrice principale e dei fideiussori al pagamento della somma di euro 516.456,89 quale saldo debitorio dei rapporti medesimi
2. -Il Tribunale di Bari, all’esito di CTU, ha dichiarato, in relazione ai conti correnti, l’legittimità delle clausole di calcolo anatocistico degli interessi passivi, e quelle relative alla CMS e al corrispettivo su accordato, e -in relazione ai conti accessori -l’illegittimità dell’applicazione di tassi, CMS e spese non pattuiti per iscritto; espunti gli addebiti relativi a clausole illegittime e costi non pattuiti, ha, quindi, condannato la società e i fideiussori in solido a pagare in favore della Banca Monte Paschi di Siena la somma di 24.667,69
euro, quale saldo debitore del conto corrente n. 631047.76, e la somma di 50.243,25 euro quale saldo debitorio del conto corrente n. 51701.25, rigettando per il resto la domanda dei ricorrenti.
-La Corte d’Appello di Bari, ha parzialmente riformato la sentenza impugnata dalla società e dai fideiussori con sette motivi d’appello, condannando RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della società della minor somma di euro 15.276,53, compensando le spese. Per quel che qui ancora interessa la Corte distrettuale ha ritenuto:
(a) invalido il contratto di c/c n. 631047.76 poiché, contrariamente a quanto statuito sul punto dal primo giudice, era fondata la assorbente censura di nullità del medesimo per assenza del requisito della forma scritta come previsto dall’art. 117 TUB; invero, trattandosi di contratto «monofirma» sottoscritto dal solo correntista, la banca avrebbe dovuto dimostrare che lo stesso fosse stato consegnato in copia al correntista, fatto che la banca non aveva provato;
(b) che benché la pronuncia impugnata non avesse espressamente rilevato l’accertata usurarietà degli interessi applicati ai primi tre conti anticipi come pure di quelli addebitati sul conto corrente n. 51701.25, tuttavia, nel determinare il saldo finale, relativo a entrambi i conti correnti e ai conti su questi appoggiati, aveva considerato il conteggio predisposto dal CTU che, invece, aveva espressamente rilevato -a far data dalla prima liquidazione periodica -l’usurarietà dei tassi applicati sui primi tre conti anticipi le cui competenze erano state girocontate sul c/c n. 631047.76, nonché dei tassi applicati sul conto n. 51701.25, sulla base delle istruzioni dettate dalla Banca d’Italia nell’agosto 2009;
(c) che andava escluso riguardo agli altri conti il superamento del c.d. tasso soglia, ritenendo corretti i parametri di calcolo utilizzati dal CTU secondo le istruzioni predette, nei quali si era tenuto conto anche delle commissioni di massimo scoperto e di ogni ulteriore onere e spesa, oltre che del saggio di interesse applicato;
(d) che era infondato il motivo di gravame con il quale gli appellanti lamentavano il mancato rilievo del superamento del «tasso soglia» per i due contratti di mutuo fondiario poiché il relativo accertamento avrebbe dovuto avvenire sommando, al tasso corrispettivo, quello previsto per gli interessi convenzionali di mora e la penale convenuta per l’ipotesi di risoluzione anticipata, in quanto detta censura non era sorretta da idoneo interesse ad agire: fermo quanto stabilito in corso di causa dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 19597/2020 circa l’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori, la Corte di merito ha osservato che, essendo stata accertata per entrambi i mutui la legittimità dei tassi di interessi corrispettivi in quanto infra soglia, gli appellanti non avevano dedotto di aver corrisposto nel corso di entrambi i rapporti di mutuo né interessi moratori né la penale per l’anticipata loro risoluzione; perciò era da escludersi in radice che la parte mutuataria avesse interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori laddove mancavano i presupposti della mora per avere, l’obbligato, adempiuto al pagamento di tutti i ratei (in conformità a Cass. n. 1818/2021); ed ha aggiunto che, contrariamente a quanto assunto dagli appellanti, non potevano considerarsi nella determinazione del tasso corrispettivo previsto nel contratto nemmeno le commissioni dovute per la risoluzione del medesimo da parte della banca e/o delle commissioni dovute in caso di estinzione anticipata su richiesta del mutuatario, in quanto non si tratta di costi collegati all’erogazione del credito e non rientranti, alla data del contratto, tra i flussi di rimborso del finanziamento, bensì di commissioni da ricollegare a eventi patologici rispetto alla normale vita del contratto e, quindi, incerti e meramente eventuali sia nell’ an che nel quantum ; sicché sarebbe impossibile includerli nel calcolo del TAEG e di conseguenza del TEG ai sensi di legge, importando la loro inclusione nel TEG la violazione del principio di simmetria enunciato dalla Suprema Corte, che
impone la necessità di utilizzare nella rilevazione dei tassi usurari dati tra loro effettivamente comparabili.
-Avverso detta sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE e per essa la sua procuratrice RAGIONE_SOCIALE Hanno resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno anche depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata con riguardo alla « legittimazione attiva/titolarità sostanziale del presunto diritto di credito da parte della sedicente cessionaria RAGIONE_SOCIALE subentrata a MPS senza -a dire dei resistenti -fornire alcuna prova dell’esistenza del contratto di cessione nell’ambito del quale rientrerebbe anche il credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
1.1 -L’odierna ricorrente -che non era parte del giudizio d’appello -ha dedotto di essere divenuta piena titolare di un portafoglio di crediti tra cui quello oggetto del presente contenzioso, di cui era originario creditore MPS in ragione di una cessione pubblicata -ai sensi del combinato disposto degli articoli 1 e 4 l. n. 130/99 e 58 T.U.B. sulla Gazzetta Ufficiale il 23/12/2017.
La contestazione che muovono i resistenti riguarda anzitutto la prova dell’avvenuta cessione in blocco, come vicenda traslativa in sé, asseritamente non provata né mediante la produzione del relativo contratto, né dall’avviso in G.U., quanto l’inclusione del credito in questione in detta cessione.
1.2 -Sul punto occorre anzitutto ricordare che -come ribadito da Cass. n. 34373/2023 -costituisce principio consolidato che la legittimazione ad agire quale condizione dell’azione, deve essere accertata in relazione non alla sua sussistenza effettiva, ma sulla base della prospettazione effettuata dalla parte con l’atto introduttivo del giudizio, mentre la effettiva titolarità del rapporto controverso, sia dal lato attivo come da quello passivo, investe la
sua fondatezza. Perciò, nel caso di specie, non si tratta di rilevare la carenza di una condizione dell’azione, qual è, appunto, la legittimazione ad agire, che si risolve nel potere di promuovere il giudizio e di ottenere una sentenza sul rapporto giuridico sostanziale dedotto quale oggetto della controversia, indipendentemente dalla sussistenza o meno dell’effettiva titolarità attiva del rapporto, e si determina in base alla sola affermazione dell’attore, come avvenuto in questo caso; ma di verificare la effettiva titolarità dell’affermato diritto.
1.3 -Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, essendo legittimati all’impugnazione soltanto i soggetti che hanno partecipato al precedente grado di giudizio e che in esso siano rimasti soccombenti, qualora un soggetto, che non sia stato parte nel grado precedente, intenda proporre impugnazione avverso la decisione adottata all’esito di esso, deve, in primo luogo, esplicitamente dedurre di avere acquistato la legittimazione in ragione di una sopravvenuta situazione giuridica idonea a fondarla e, in secondo luogo, deve fornire la prova della situazione stessa. Pertanto il soggetto che proponga impugnazione (ovvero vi resista nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio) deve, oltre che allegare, provare (ove contestati, come nella fattispecie è avvenuto) i fatti che prospetta a fondamento della propria legitimatio ad causam , ovvero di essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa: « la società che propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello emessa nei confronti di un’altra società, della quale affermi di essere successore (a titolo universale o particolare), è tenuta a fornire la prova documentale della propria legittimazione, nelle forme previste dall’art. 372 cod. proc. civ., a meno che il resistente non l’abbia nel controricorso -esplicitamente o implicitamente riconosciuta, astenendosi dal sollevare qualsiasi eccezione in
proposito e difendendosi nel merito dell’impugnazione » (Cass. Sez. Un. n. 11650/2006).
Inoltre con riguardo alla particolare fattispecie della cessione di un credito per effetto di una cessione c.d. «in blocco» questa Corte ha affermato « che la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare della parte creditrice originaria, in virtù di un’operazione di cessione in blocco ex art. 58 d.lgs. n. 385 del 1998, ha l’onere di dimostrare l’inclusione del credito oggetto di causa nell’operazione di cessione in blocco, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta » (v. per tutte Cass. n. 4116/2016).
1.4 -Dovendosi, dunque, accertare la titolarità effettiva del rapporto controverso, sia con riguardo alla sussistenza della cessione come vicenda traslativa in sé, sia con riguardo all’inclusione nella medesima del credito controverso, va rilevato che la ricorrente non ha depositato alcun documento comprovante la cessione in blocco, e neppure l’estratto della Gazzetta Ufficiale da cui potersi desumere -anche solo per l’indicazione «per categorie» dei rapporti ceduti «in blocco» (v. Cass. sent. n. 4277/2023) – che il credito controverso fosse incluso in detta cessione, come afferma.
Nel ricorso sono allegati solo i documenti citati in narrativa (ovvero due procure notarili) né la ricorrente si è avvalsa -a fronte della contestazione di parte controricorrente della inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione sostanziale -della facoltà di integrare la documentazione mancante 15 giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio come previsto dall’art. 372 comma 2 c.p.c., essendosi limitata a riportare nella narrativa della memoria ex art. 380 -bis1 c.p.c. (depositata 10 giorni prima dell’udienza) la «schermata» che riproduce il risultato della consultazione del sistema di tracciamento dei crediti ceduti da MPS
tramite il link asseritamente indicato nell’avviso di cessione pubblicato.
-Benché detto rilievo abbia valore assorbente, ciò non impedisce di aggiungere che, comunque, i motivi del ricorso sono inammissibili:
(a) il primo – che invoca la violazione e falsa applicazione dell’art. 117 co.1, 3, 4 e 7 del d.lgs. n. 385/93 (TUB), con riguardo alla statuizione d’invalidità del contratto di c/c n. 631047.76 per mancata consegna della relativa documentazione al correntista, omissione che costituirebbe solo inadempimento contrattuale fonte del risarcimento del danno o della risoluzione per inadempimento ma non della nullità – mirando alla revisione di un consolidato orientamento di legittimità senza addurre valide ragioni atte a mutare detto orientamento, in violazione dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c.; invero le Sezioni Unite con la sentenza n. 898/2018 hanno affermato che « in tema di intermediazione finanziaria il requisito della forma scritta del contratto -quadro posto appena del nullità dall’art. 23 del d.Lgs. n.58/98 va inteso, non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato dove il contratto sia redatto per iscritto ne sia consegnata una copia al cliente » (conforme Cass. n. 22640/2019); tale principio, reso in materia di contratti di intermediazione finanziaria -come stabilito da conformi sentenze di questa Corte -opera anche nella materia dei contratti bancari: « pure in tema di contratti bancari vale la conclusione a cui pervengono le Sezioni Unite allorquando esse hanno evidenziato come il dato della sottoscrizione dell’intermediario risulti ‘assorbito’, quindi privo di rilievo, una volta che lo scopo perseguito dalla legge si è raggiunto attraverso la sottoscrizione del documento contrattuale da parte del cliente e la consegna a quest’ultimo di un’esemplare del medesimo, dovendo il requisito della forma ex art. 1325 n. 4 c.c.
essere inteso, non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità propria della normativa » ( in termini v. Cass. n. 12959/2018; Cass. n.14646/2018; Cass. n. 16406/2018; Cass. n. 23959/2019); quindi è infondata la tesi per cui l’obbligo di consegna della documentazione contrattuale di cui all’art. 117 TUB attiene alla sola fase dell’esecuzione e non alla stipulazione del contratto, confondendosi in tal modo le disposizioni e la ratio dell’art. 117 TUB col diritto alla consegna della documentazione bancaria previsto dall’art. 119 TUB, successivo alla conclusione dell’accordo: infatti secondo questa Corte la disciplina della trasparenza bancaria è « preordinata alla piena conoscenza da parte del cliente del rapporto bancario in essere e dei costi ad esso associati, sia prima della conclusione del contratto, sia in fase precontrattuale (art. 116) sia in sede di stipulazione del contratto (art. 117) sia nel corso della sua esecuzione (art. 118 e art. 119) » (Cass. n. 24641/2021); pertanto è corretta l’interpretazione della norma invocata fornita dalla Corte d’appello di Bari:
(b) il secondo – che invoca violazione e falsa applicazione dell’art. 117 del d.lgs. n. 385/93 (TUB) e dalla l.n. 108/1996 con riguarda all’usurarietà del tasso applicato al rapporto di conto corrente n. 51701.25 e in particolare al metodo di calcolo utilizzato dalla Corte d’appello, che non terrebbe conto delle istruzioni della Banca d’Italia per il rilevamenti o per il superamento del tasso soglia -difettando della necessaria specificità, poiché, fermo il fatto che la sentenza dà atto del metodo utilizzato ritenuto conforme alle istruzioni dettate dalla Banca d’Italia nel 2009, la questione dedotta -ovvero l’infondatezza della sommatoria della commissione di massimo scoperto nel calcolo del TEG del conto corrente in questione dovendosi svolgere « una doppia comparazione, la prima tra il TEG e il tasso soglia e la seconda tra la CMS concretamente applicata e quella soglia » -è enunciata senza alcun riferimento al
concreto calcolo effettuato dal CTU in proposito (il quale peraltro ha ritenuto superata la soglia di usura anche escludendo la CMS).
3. -In ogni caso, anche sotto questo versante, andrebbe sempre dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di parte controricorrente, liquidate nell’importo di euro 3.200,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione