Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12264 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 12264 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25630/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO pr esso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOMEricorrente-
contro
COMUNE DI EMPOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente e ricorrente in via incidentale-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1184/2020 depositata il 30/06/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME e COGNOME NOME convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze il Comune di Empoli per chiedere accertarsi l’acquisto per usucapione di un reséde confinante con la propria abitazione.
Gli attori esposero di essere proprietari di detto terreno e di averlo ceduto al Comune con atto per notar Orlando del 19.12.1991, cui non era seguita l’accettazione da parte dell’ente; poiché a seguito della cessione, essi avevano continuato a conservare la disponibilità del bene, sussistevano i presupposti per l’acquisto del bene per usucapione.
1.1.Il Comune di Empoli si costituì in giudizio per resistere alla domanda; dedusse che gli attori, in data 10.6.1989, avevano presentato domanda di concessione edilizia per la ristrutturazione e la sopraelevazione della loro abitazione e che la Commissione Edilizia aveva subordinato il rilascio della concessione alla cessione del terreno oggetto di causa; in seguito alla cessione, con delibera del 26.3.2009 era stato acquisito al patrimonio comunale ed inserito nel Piano delle alienazioni.
Il Comune di Empoli sostenne che l’atto di cessione non necessitasse di accettazione e che gli attori avessero avuto la disponibilità del terreno per mera tolleranza del Comune, che ne era divenuto proprietario, né vi era stato un atto di interversione del possesso; al contrario, con atti del 3.3.2008 e 27.10.2009 gli attori avevano fatto istanza di riacquisizione dell’immobile, riconoscendo, quindi, la proprietà del Comune.
1.2. Il Tribunale di Firenze rigettò la domanda di usucapione.
1.3. NOME COGNOME e COGNOME NOME proposero appello dinanzi alla Corte di Firenze sulla base di un unico motivo, con il quale dedussero l’assenza di spirito di liberalità che connota la donazione, rilevando che l’area ceduta era stata di fatto sottoposta a vincolo espropriativo, senza che fosse stata corrisposta l’indennità di esproprio.
1.4.Il Comune di Empoli si costituì per resistere alla domanda.
1.5. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 30.6.2020 respinse il gravame e confermò la sentenza di primo grado.
La Corte d’Appello evidenziò che il terreno era stato ceduto al Comune nel contesto della pratica di concessione per la ristrutturazione e sopraelevazione di un loro edificio ed era stato classificato dal PRG dell’epoca come verde pubblico.
Secondo la Corte di merito, nonostante l’area de qua non fosse stata destinata ad un pubblico servizio, presupposto per l’acquisizione al demanio comunale -tanto che nel 2009 il Comune aveva cambiato la destinazione, classificandolo come bene disponibile incluso nel piano delle alienazioni -gli appellanti avevano riconosciuto la proprietà dell’immobile in capo al Comune perché con due lettere raccomandate del 3/3/2008 e del 27/10/2009 avevano chiesto al Comune di Empoli la riacquisizione del terreno.
Tanto impediva l’acquisto della proprietà per usucapione del bene per assenza dell’ animus rem sibi habendi ; la deduzione di una illecita espropriazione di fatto dell’immobile era tardiva perché non prospettata nel giudizio di primo grado, oltre che irrilevante perché l’illegittimità dell’atto amministrativo inerente alla cessione dell’area avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione innanzi al giudice amministrativo.
La Corte prese atto che gli attori avevano prodotto in grado d’appello un atto di revoca della proposta di cessione gratuita del 21.10.2019
con atto per notar COGNOME ma ritenne che detta produzione documentale fosse stata tardivamente effettuata solo in appello.
2.Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Firenze ha proposto ricorso NOME COGNOME in proprio ed in qualità di erede del sig. NOME COGNOME sulla base di quattordici motivi.
2.Il Comune di Empoli ha resistito con controricorso ed ha proposto mosso ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.
2.1.La ricorrente ha resistito al ricorso incidentale del Comune di Empoli.
2.2.La Sostituta Procuratrice Generale in persona della dott.ssa NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
2.3.In prossimità dell’udienza, il controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso, si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 832 e 872 c.c. nonché degli artt. 782, 1141 e 2967 c.c., degli artt. 42 e 48 del d. lgs. n. 267/2000, dell’art. 1325 c.c. e degli artt. 16 e 17 del R.D. 2440/1923; secondo la ricorrente, la proposta di cessione gratuita era inidonea a trasferire la proprietà del resede in assenza di accettazione da parte del Comune. In tale ipotesi, non sussisterebbe in capo al Comune l’ animus possidendi , trattandosi di negozio traslativo non perfezionatosi con atto amministrativo della Giunta o del Consiglio Comunale idoneo a manifestare la volontà di accettazione della cessione.
2.Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., degli artt. 832 e 872 c.c., nonché degli artt. 782 e 1141 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per non avere la Corte d’Appello considerato era maturata la
prescrizione decennale per mancata accettazione della cessione del terreno.
3.Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 48 del d. lgs. n. 276/2000, dell’art. 872 c.c. nonché degli artt. 832, 782, 1141, 2967 e 2697 c.c., per non aver il giudice d’appello ritenuto che incombesse al Comune l’onere di provare l’accettazione della cessione con atto pubblico.
4.Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 782 e 872 c.c., in relazione dell’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., perché la Corte d’appello non avrebbe considerato che la proposta di donazione era stata revocata con atto per notar COGNOME del 21.10.2019.
5.Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 17 del R.D. n. 2440/1923, che prevede per i contratti conclusi dalla Pubblica Amministrazione la forma scritta ad substantiam e la sottoscrizione contemporanea delle parti in un unico documento, nella specie insussistente, pena l’inesistenza/nullità dell’atto da rilevarsi d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Con il sesto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 2697, 1932 e 2735 c.c., in relazione all’art.60, comma 1, n.3 c.p.c., per errata valutazione delle prove, con riferimento ad una proposta transattiva da parte del Comune di Empoli per acquisire il terreno.
Con il settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 111 e 24 Cost. per motivazione apparente.
8.L’ottavo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 782 c.c., 832 c.c. e 872 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.6 c.p.c., per non avere la Corte
d’appello considerato che la ricorrente ed il marito avevano mantenuto ininterrottamente il possesso dell’immobile, circostanza provata, altresì, dall’aver costruito un ricovero degli attrezzi, coltivato il terreno uti dominus e pagato gli oneri tributari richiesti dal Comune di Empoli.
9. Il nono motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1965, 1362, 372 e 782 c.c., dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 16 e 17 R.D. 2440/1923, nonché degli artt. 24, 3 e 111 Cost. e 1325 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che la raccomandata del 27/10/2009, con la quale avevano chiesto al Comune di Empoli la riacquisizione del terreno costituisse riconoscimento della proprietà del Comune mentre, invece, si tratterebbe di espressione utilizzata nell’ambito di proposte con finalità transattive.
10. Con il decimo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 870,872, 832 c.c. ex art. 117 Cost. e dell’art. 1 prot. 1 CEDU, e della Legge n.848 del 1955 e dell’art.1325 c.c.; secondo il ricorrente, la proposta donativa si inseriva in una illecita fattispecie espropriativa perché mancante della dichiarazione di pubblica utilità, del decreto di esproprio e del pagamento dell’indennità di esproprio. La ricorrente richiama la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per sottolineare l’illiceità del vincolo sul terreno senza limiti di tempo e senza il pagamento dell’indennità di esproprio.
11. L’undicesimo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 c.p.c. e 384 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 3 e 4 c.p.c., per avere la Corte d’appello dichiarato inammissibile la domanda di accertamento della proprietà da parte degli attori fondata sulla nullità dell’atto di donazione, erroneamente
ritenendo che si trattasse di domanda nuova in quanto in primo grado era stato chiesto l’accertamento del diritto di proprietà per usucapione. La ricorrente rileva che la modifica della domanda era consentita trattandosi di diritti autodeterminati e, nella specie, era stata dedotta con le memorie di cui all’art.183 comma VI c.p.c., con le quali avrebbe chiesto dichiararsi l’assenza di un atto di rinuncia o trasferimento della proprietà, conclusioni reiterate nell’atto d’appello.
12. Con il dodicesimo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 116 e 384 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 e 4 c.p.c., per avere la Corte d’appello dichiarato l’inammissibilità del documento con cui COGNOME Angela ed NOME COGNOME avevano revocato la proposta di donazione, con atto per notar COGNOME del 21.10.2019, pur trattandosi di documento formatosi nell’imminenza dell’udienza di precisazione delle conclusioni ed idoneo a definire il giudizio.
13.Il tredicesimo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2735 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c. perché la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione la confessione del Comune di Empoli sul vincolo espropriativo imposta sul terreno oggetto di cessione, contenuta nel doc.2 della comparsa di costituzione.
13.1.I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Le censure ruotano intorno all’illegittimità del procedimento con il quale il Comune, a fronte della domanda di concessione edilizia presentata in data 10.6.1989 per la ristrutturazione e la sopraelevazione dell’edificio di loro proprietà, aveva subordinato il rilascio della concessione alla cessione del terreno.
Con delibera del 26.3.2009, il terreno era stato acquisito al patrimonio comunale con destinazione a verde pubblico ma gli attori continuarono ad avere la disponibilità dell’immobile, di cui chiesero accertarsi l’acquisto per usucapione.
13.2. Orbene, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi sulla legittimità della fattispecie con la quale il Comune subordina il rilascio della concessione edilizia alla cessione da parte del privato di una porzione di area da destinare a servizi pubblici.
E’ stato affermato da questa Corte che in tema di concessione edilizia, con riferimento al procedimento finalizzato al suo rilascio per la realizzazione di un complesso edilizio residenziale e commerciale, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 agosto 1967 n. 767 (applicabile nella specie ratione temporis ), detto modulo negoziale- consistente nella cessione gratuita da parte dell’impresa costruttrice di una porzione dell’area per essere destinata a servizi pubblici e strade, sotto condizione di efficacia del rilascio della concessione – deve essere inquadrato nell’ambito del contratto con obbligazioni da parte del proponente, ai sensi dell’art.1333, comma 2 c.c.
Esso non richiede, come sostenuto dalla ricorrente, l’accettazione della proposta ma l’approvazione dell’organo amministrativo che deve adottare il provvedimento medesimo. (Sez. 2, Sentenza n. 14283 del 19/06/2007, Rv. 597994 – 01).
Successivamente, con sentenza del 17.4.2013, n. 9314, è stato ribadito che la convenzione, stipulata tra comune e privato costruttore, con la quale questi, al fine di conseguire il rilascio di una concessione o di una licenza edilizia, si obblighi ad un “facere” o a determinati adempimenti nei confronti dell’ente pubblico non costituisce un atto di diritto privato, né ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento di contrapposti interessi
delle parti stipulanti, avendo invece connotazione pubblicistica e configurandosi come accordo endoprocedimentale dal contenuto vincolante quale mezzo rivolto al fine di conseguire l’autorizzazione edilizia. Si trattava di un caso sovrapponibile a quello in esame, in cui il rilascio di una licenza edilizia per la costruzione di altro fabbricato ad uso abitativo del privato era condizionato al fatto che si provvedesse ad una cessione gratuita di un altro contesto immobiliare.
D’altra parte, nulla esclude che il privato medesimo, in concomitanza con la domanda che introduce il procedimento, al fine di agevolare l’emanazione del provvedimento richiesto, in attuazione, o integrazione, ovvero in sostituzione di detto obbligo, assuma determinati impegni, utilizzando lo schema della convenzione con l’autorità che deve emanare l’atto.
La volontà dell’amministrazione, che si esprime nell’atto autoritativo, si forma sulla base dell’impegno che il privato ha dichiarato di assumere per ottenerlo sicché, stante il nesso funzionale tra i due atti facenti parte dello stesso procedimento, deve ritenersi che ove il provvedimento sia stato emesso in conformità della domanda, esso abbia recepito l’impegno del richiedente, che pertanto diventa parte integrante del suo contenuto, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione, portatrice di interessi essenzialmente pubblici (Cass. 2742/2012; 14283/2007;24572/2006; 10459 e 9524/2001).
13.3. A tale schema procedimentale è riconducibile la cessione gratuita del resede della propria abitazione da parte degli attori, avvenuta con atto per notar Orlando del 19.12.1991 per il conseguimento della concessione edilizia per la ristrutturazione e la sopraelevazione dell’edificio di loro proprietà.
Il ricorrente erra nel propone una ricostruzione della vicenda in chiave privatistica ed una lettura della disciplina urbanistica secondo le norme codicistiche.
Non coglie nel segno la qualifica dell’atto di cessione come proposta di donazione cui dovesse seguire l’accettazione del Comune con atto avente forma scritta ad substantiam, secondo lo schema strettamente privatistico, né la cessione costituiva un atto di esproprio, per il quale era dovuta un’indennità.
Una volta acquisito il terreno al patrimonio comunale ed inserito nel Piano delle alienazioni, si era determinato l’effetto traslativo della proprietà in favore del Comune, sicché era irrilevante la revoca della proposta di cessione gratuita del 21.10.2019, avvenuta con atto per notar COGNOME, indipendentemente dalla tempestività della produzione in giudizio.
13.4.Una volta realizzatosi l’effetto traslativo della proprietà in capo al Comune, la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che la circostanza che i cedenti continuassero ad averne la disponibilità del resede, pagando gli oneri tributari e l’IMU, non fosse idonea a superare la presunzione di possesso in favore del proprietario.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora l’alienante abbia trattenuto la cosa presso di sé, non è ravvisabile un costituto possessorio implicito ma occorre accertare caso per caso, in base al comportamento delle parti ed alle clausole contrattuali che non siano di mero stile, se la continuazione, da parte dell’alienante dell’esercizio del potere di fatto sulla cosa sia accompagnata dall’ animus rem sibi habendi ovvero configuri una detenzione nomine alieno (Cass. Civ. Sez.II, 24.3.2014, n.6893).
Il trasferimento del possesso della cosa all’acquirente non segue, infatti, automaticamente ma rappresenta, ai sensi dell’art.1476 c.c.,
l’oggetto di una specifica obbligazione del venditore, con la conseguenza che nell’ipotesi in cui l’alienante trattenga la cosa presso di sé, occorre accertare caso per caso se l’esercizio del potere di fatto sulla cosa sia accompagnata dall’animus rem sibi habendi (Sez. 2 -, Ordinanza n. 31434 del 13/11/2023, Rv. 669407 – 01)
Nel caso di specie, la mera disponibilità del bene da parte dei ricorrenti si era estrinsecata nel pagamento degli oneri tributari, atti che non costituiscono interversione del possesso.
L’interversione nel possesso non può aver luogo mediante il semplice godimento del bene o attraverso un atto di volizione interna , ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua (Sez. 2, Sentenza n. 11403 del 16/05/2006 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4701 del 12/05/1999).
Nel caso di specie, la Corte di merito, non solo non ha ravvisato l’esistenza di un atto di interversione del possesso da parte dei ricorrenti, ma ha accertato, in modo positivo che essi avevano riconosciuto la proprietà del Comune tanto che, con atti del 3.3.2008 e 27.10.2009, avevano fatto istanza di riacquisizione dell’immobile.
14. Con il quattordicesimo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 384 c.p.c., ai sensi dell’art.360, comma 1, n.4 c.p.c., per omessa statuizione sulla domanda di rideterminazione delle spese processuali di primo grado, che avrebbero dovuto tener conto dell’attività effettivamente svolta sulla base del valore catastale anziché del valore edificabile.
14.1. Il motivo è inammissibile per genericità in quanto la ricorrente si limita a dolersi della regolamentazione e della determinazione delle spese di lite, senza confrontarsi con la decisione e senza indicare i fatti ed i documenti su cui il ricorso si fonda.
15. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, si censura la violazione degli artt.10, 91 e 96 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte d’appello errato nella determinazione del valore della causa, ai fini della liquidazione delle spese di lite e per aver escluso la condanna per lite temeraria.
15.1.Il motivo è infondato.
Il ricorrente assume che le spese siano state liquidate sulla base del valore determinato nell’atto d’appello, ma non allega né quale sia il valore della causa, sulla base dell’art.15 c.p.c., né, conseguentemente, che la liquidazione delle spese in suo favore sia inferiore ai minimi tariffari.
Anche la doglianza relativa al rigetto della domanda degli appellanti per lite temeraria è inammissibile. La Corte d’appello non ha ravvisato i presupposti dell’art.96 c.p.c., avendo ritenuto, nell’ambito della propria discrezionalità, che la domanda, benché infondata, non era stata proposta con mala fede o colpa grave (Sez. 3 – Ordinanza n. 26545 del 30/09/2021; Sez. 6 – 2, ordinanza n.20018 del 24/09/2020).
In conclusione, devono essere rigettati sia il ricorso principale che il ricorso incidentale.
16.1. Attesa la reciproca soccombenza, le spese di lite devono essere integralmente compensate.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione