Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18811 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18811 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2222-2021 proposto da:
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata –
avverso la sentenza n. 556/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 02/11/2020 R.G.N. 1394/2019;
Oggetto
CESSIONE DI AZIENDA
R.G.N. 2222/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 25/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Milano, confermando la sentenza del giudice di primo grado, ha accertato la legittimità della cessione automatica dei rapporti di lavoro di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, giornaliste professioniste, con decorrenza dal 31.10.2018, da RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale, per quel che ancora interessa, ha rilevato che ricorrevano i requisiti di identità e di autonomia funzionale del ramo ceduto in quanto, accanto ad una quota significativa -per quantità e competenze -di personale, erano stati ceduti beni materiali e immateriali (tra cui i marchi, i domini internet, gli archivi, i rapporti di collaborazione con giornalisti esterni) essenziali sotto il profilo della capacità produttiva dell’entità economica trasferita, che avevano consentito di proseguire, senza alcuna interruzione, senza alterazioni della struttura organizzativa originaria e senza apporti da parte della cessionaria, la pubblicazione del settimanale Panorama; i giudici del merito hanno, pertanto, concluso che -alla luce della nozione di ramo di azienda delineato dalla direttiva 2001/23/CE, dall’art. 2112 c.c., dalla giurisprudenza di fonte comunitaria e nazionale -dovevano ritenersi integrati i requisiti necessari per configurare una struttura organizzativa capace, con i propri mezzi, di svolgere un’attività dal contenuto economicamente apprezzabile, nel caso di specie l’elaborazione di articoli e contenuti editoriali destinati alla pubblicazione.
Avverso tale sentenza la giornalista NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. La società
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso; la società RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1406, 2112 c.c., 6 e 50 del CNLG, 3 e 8 della legge n. 47 del 1948, 7 della legge n. 633 del 1941, 57 c.p. per avere, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto che il direttore responsabile di una testata non costituisca elemento necessario per individuare l’autonomia funzionale del ramo ceduto, nonostante sia normativamente previsto che ogni giornale o periodico debba avere un direttore responsabile, figura necessaria per realizzare lo scopo produttivo (avendo competenza specifica ed esclusiva in ordine all’organizzazione del lavoro) e garantire il corpo redazionale rispetto all’editore.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1406, 2112 c.c. 6 del CNLG, 112, 115, 132 c.p.c., 118 disp.att.c.p.c. nonché nullità della sentenza avendo, la Corte trascurato che la linea politico editoriale è fissata in appositi accordi tra direttore ed editore e, conseguentemente, si tratta di figura infungibile nell’ambito dell’organizzazione del lavoro.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1406, 2103, 2112, 2697 c.c., 11 del CNLG, 112, 115, 132 c.p.c., 118 disp.att.c.p.c. avendo, la Corte territoriale, errato nel ritenere che la sottoscrizione di accordi conciliativi con
la maggior parte dei giornalisti passati alla cessionaria non abbia comportato l’attribuzione di diverse e inferiori qualifiche (ma unicamente una ridefinizione del trattamento economico), incidendo sugli assetti organizzativi (posto che l’organizzazione redazionale della testata è uscita fortemente rimaneggiata, senza più un direttore e un capo redattore dei quattro originariamente previsti, perdendo la propria identità organizzativa); inoltre, dinanzi alla oggettiva modifica peggiorativa degli inquadramenti contrattuali della maggior parte dei giornalisti ceduti, doveva essere onere della cedente allegare e dimostrare che le modifiche non avevano comportato alcuna variazione nelle mansioni e nell’organizzazione aziendale, onere non assolto dalla società.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1406, 2112 c.c., avendo, la Corte territoriale, errato nel ritenere conservata l’identità e l’autonomia del ramo di azienda dal fatto, pacifico, che il periodico Panorama ha continuato ad essere pubblicato senza alcuna interruzione, trattandosi di elemento neutro, che attiene alla vicenda successoria in sé (e compatibile anche con la cessione ex art. 1406 c.c.), in ass enza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c., consistenti, come già esposto nei precedenti motivi, nella identità organizzativa (palesemente insussistente) e negli apporti di rilievo da parte della cessionaria (consistenti nella nuova organizzazione conseguente alle nuove e diverse qualifiche attribuite ai giornalisti e all’apporto del nuovo direttore responsabile).
Va, preliminarmente rammentato che, secondo costante insegnamento di questa Corte la verifica dei presupposti fattuali che consentano l’applicazione o meno del regime previsto
dall’art. 2112 c.c. implica una valutazione di merito che, ove espressa con motivazione sufficiente e non contraddittoria, sfugge al sindacato di legittimità (v. Cass. n. 20422 del 2012; Cass. n. 5117 del 2012; Cass. n. 1821 del 2013; Cass. n. 2151 del 2013; Cass. n. 24262 del 2013; Cass. n. 10925 del 2014; Cass. n. 27238 del 2014; Cass. n. 22688 del 2014; Cass. n. 25382 del 2017; di recente, ancora, Cass. n. 2315 del 2020 e Cass. n. 6649 del 2020).
6. Da tale pregiudiziale rilievo deriva che – salvo i casi in cui si lamenti che la sentenza impugnata abbia errato nella ricognizione degli elementi legali identificativi del trasferimento del ramo d’azienda e, quindi, errato nell’ascrizione di significat o alla disposizione normativa astratta -nelle altre ipotesi l’alternativa praticabile è che: o si denuncia un errore di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c., sub specie di errore di sussunzione commesso dai giudici del merito (v. in proposito Cass. SS.UU. n. 5 del 2001 e, più di recente, Cass. n. 13747 del 2018); oppure si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5, c.p.c., ovvero, alternativamente, una motivazione che violi il cd. ‘minimo costituzionale’ (disamina preclusa in questa sede, trattandosi di pronuncia c.d. doppia conforme). Nella prima prospettiva è indispensabile, così come in ogni altro caso di dedotta falsa applicazione di legge, che si parta dalla ricostruzione della fattispecie concreta così come effettuata dai giudici di merito (cfr. tra le altre: Cass. n. 6035 del 2018; Cass. n. 8760 del 2019); diversamente si trasmoderebbe nella revisione di un accertamento che appartiene al dominio dei giudici ai quali esso compete. Infatti il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto (cfr. Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007) presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (tra molte: Cass. n.
4125 del 2017; Cass. n. 23851 del 2019); al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360, n. 3, c.p.c., e la censura è attratta inevitab ilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti e che, nella novellata formulazione (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite, v. sentenze n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici) presuppone l’omessa valutazione di un fatto storico connesso alla vicenda traslativa del trasfe rimento d’azienda che avrebbe condotto, per la sua sicura decisività, ad un opposto esito della lite. In entrambi i casi resta fermo quanto ancora di recente ribadito dalle Sezioni unite civili circa l’inammissibilità di censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti st orici da cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).
Ebbene, le pretese violazioni o false applicazioni di legge propongono, in realtà, un diverso apprezzamento del peso da attribuire ai vari elementi di fatto che hanno dato origine alla vicenda contenziosa, collocandosi al di fuori del paradigma del
n. 3 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. e sollecitando un nuovo apprezzamento di merito, non proponibile in sede di legittimità. 8. In punto di diritto, il Collegio reputa che il giudice d’appello abbia deciso le questioni in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea e di questa Corte in punto di elementi costitutivi del ramo di azienda come dettati dall’art . 2112 c.c. e l’esame dei motivi di ricorso non offre argomenti per mutare ormai condivisi orientamenti, celando un errore di metodo quanto all’apprezzamento di singoli fattori (nella specie il cambiamento del direttore di testata) nell’ambito del complesso delle numerose circostanze di fatto che hanno caratterizzato la cessione in esame.
9. Secondo un risalente principio di legittimità la cessione di ramo d’azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi (Cass. n. 17919 del 2002; Cass. n. 13068 del 2005; Cass. n. 22125 del 2006). Detta nozione di trasferimento di ramo d’azienda è coerente con la disciplina in materia dell’Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23).
10. La ratio della disciplina comunitaria è intesa ad assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell’ambito di un’attività economica indipendentemente dal cambiamento del
proprietario e, quindi, è finalizzata a proteggere i lavoratori nella situazione in cui siffatto cambiamento abbia luogo (Corte di Giustizia, 7 febbraio 1985, C-186/83, COGNOME e a., punto 6; Corte di Giustizia, 18 marzo 1986, C-24/85, COGNOME, punto 11). 11. La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto comunitario vivente ( ex plurimis : Cass. n. 19740 del 2008), ha ripetutamente individuato la nozione di entità economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obbiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C- 13/95, Süzen, punto 13; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C- 340/2001, Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C- 232/04 e C233/04, COGNOME e COGNOME, punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, NOME COGNOME e a., C-127/96, C 229/96, C-74/97, punti 26 e 27; Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, Jouini, C-458/05, punto 31; Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C-108/ 10, Scattolon, punto 60; Corte di Giustizia, 20 luglio 2017, C 416/16, COGNOME, punto 43; Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C 664/2017, NOME COGNOME AE, punto 60).
Anche nel testo modificato dall’art. 32 del d.lgs. n. 276 del 2003, questa Corte ha ribadito che, ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., rappresenta elemento costitutivo della cessione ‘l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui
risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione’ (sul tema v. diffusamente Cass. n. 11247 del 2016; Cass. n. 19034 del 2017; Cass. n. 28593 del 2018; Cass. n. 7364 del 2021; Cass. n. 10729 del 2023).
13. Si è, inoltre, puntualizzato che il presupposto relativo al mantenimento dell’identità di una entità economica ‘va interpretato non già nel senso che richiede il mantenimento dell’organizzazione specifica imposta dall’imprenditore ai diversi fattori di produzione trasferiti, ma nel senso che presuppone il mantenimento del nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà fa tali fattori’ (Corte di Giustizia, 12 febbraio 2009, C-466/07, COGNOME, punti 47 e 48; nello stesso senso, Corte di Giustizia, 9 settembre 2015, C-160/2014, COGNOME, punti 33 e 34).
14. La Corte di Giustizia europea ha costantemente ribadito che, per determinare se siano soddisfatte o meno le condizioni per l’applicabilità della direttiva in materia di trasferimento d’impresa, occorre ‘prendere in considerazione il complesso delle cir costanze di fatto che caratterizzano l’operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il tipo d’impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno degli elementi materiali, quali gli edifici ed i beni mobili, il valore degli elementi materiali al momento del trasferimento, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un’eventuale sospensione di tali attività’, ma ‘questi elementi, tuttavia, sono soltanto aspetti parziali di una valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere valutati isolatamente’ (v. Corte di Giustizia, 9 settembre 2015, C 160/14, NOME COGNOME
COGNOME e COGNOME e altri, punto 26; Corte di Giustizia, 18 marzo 1986, C-24/85, Spijkers, punto 13; Corte di Giustizia, 19 maggio 2002, C-29/91, NOME COGNOME, punto 24; Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C 13/95, Süzen, punto 14; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C 340/01, Abler e a., punto 33); si è altresì evidenziato che ‘l’importanza da attribuire rispettivamente ai singoli criteri varia necessariamente in funzione dell’attività esercitata, o addirittura in funzione dei metodi di produzione o di g estione utilizzati nell’impresa, nello stabilimento o nella parte di stabilimento di cui trattasi’ (v. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C 13/95, Süzen, punto 18; Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, C 127/96, C 229/96 e C 74/97, NOME COGNOME e a., punto 31; Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, , C 173/96 e C 247/96, COGNOME e a., punto 31). E’ quanto in questa sede intende ribadirsi avuto riguardo al presente giudizio di legittimità ed ai suoi limiti – al cospetto di doglianze di parte che invocano una rivalutazione atomistica degli eventi storici – alla luce del mai superato insegnamento (Cass. SS.UU. n. 379 del 1999) secondo cui, allorquando ai fini di una certa qualificazione giuridica di un rapporto controverso occorre avvalersi di una serie di elementi fattuali sintomatici ai quali i giudici del merito hanno affidato la propria valutazione, ciò che deve negarsi è soltanto l’autonoma idoneità di ciascuno di questi elementi, considerato singolarmente, a fondare la riconduzione ad una certa qualificazione, non anche la possibilità che, in una valutazione globale dei medesimi, essi vengano assunti, come concordanti, gravi e precisi indici rivelatori di ciò che si intende dimostrare. Sicché, quando gli elementi fattuali da valutare sono, in via sintomatica ed indiziaria, molteplici al fine di verificare l’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, trattandosi di una decisione che è il
frutto di selezione e valutazione di una pluralità di circostanze, che -per dirla con la Corte di Giustizia -‘sono soltanto aspetti parziali di una valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere valutati isolatamente’, chi ri corre, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non può invocare una diversa combinazione di tali elementi oppure un diverso apprezzamento rispetto a ciascuno di essi, sollecitando questa Corte ad un controllo estraneo al sindacato di legittimità (sui limiti di tale sindacato in materia di ragionamento presuntivo, per tutte, v. Cass. n. 29781 del 2017 e la giurisprudenza ivi richiamata).
15. Come già è stato sottolineato (Cass. n. 10729 del 2023), trattandosi della peculiarità del giudizio di legittimità, può configurarsi l’eventualità che l’arrestarsi sulla soglia del giudizio di merito possa consentire che analoghe vicende fattuali vengano diversamente valutate dai giudicanti cui compete il relativo giudizio. Tuttavia è noto che l’oggetto del sindacato di questa Corte non è (o non immediatamente) il rapporto sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso, di cui occorre verificare la legittimità negli stretti limiti delle critiche vincolate dall’art. 360 c.p.c., così come prospettate dalla parte ricorrente: ne deriva che contigue vicende possono dare luogo a diversi esiti processuali, ma si tratta di esiti non altrimenti evitabili, determinati dalla peculiare natura del controllo di legittimità (ad es., proprio in tema di trasferimento d’azienda, v. Cass. n. 10868, n. 10925 e n. 22688 del 2014, in motivazione), ancor più da quando il legislatore ha inequivocabilmente orientato il giudizio di cassazione nel senso della preminenza della funzione nomofilattica, anche riducendo
progressivamente gli spazi di ingerenza sulla ricostruzione dei fatti e sul loro apprezzamento.
16. Ebbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, procedendo ad una analitica valutazione del complesso delle circostanze di fatto che hanno caratterizzato la cessione del ramo di azienda, ha accertato che ricorrevano i requisiti di identità e di autonomia funzionale del ramo ceduto così come delineati dalla consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale in quanto ha verificato che, accanto ad una quota significativa -per quantità e competenze -di personale, erano stati ceduti beni materiali e immateriali (tra cui i marchi, i domini internet, gli archivi, i rapporti di collaborazione con giornalisti esterni) essenziali sotto il profilo della capacità produttiva dell’entità economica trasferita, che avevano consentito di proseguire, senza alcuna interruzione, senza alterazioni della struttura organizzativa originaria e senza apporti da parte della cessionaria, la pubblicazione del settimanale Panorama; la Corte territoriale ha, conseguentemente, rilevato che il cambio del Direttore (e della linea editoriale) non impediva di mantenere il nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà fra tutti i fattori materiali e immateriali ceduti.
17. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la lavoratrice al pagamento, al controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonchè in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 giugno 2025.
Il Presidente dott. NOME COGNOME