Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5053 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5053 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27730/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Suprema Corte di C assazione e all’indirizzo pec , rappresentata e difesa dall ‘AVV_NOTAIO, giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE –
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del l.r.p.t., e NOME, entrambi domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Suprema Corte di Cassazione e agli indirizzi pec EMAIL e EMAIL,
Oggetto:
RAGIONE_SOCIALE trasferimento quote
AC – 20/02/2024
rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, come da procure in atti;
-controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste n. 286/21 del 28 luglio 2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La società RAGIONE_SOCIALE (in prosieguo, breviter , RAGIONE_SOCIALE) ha proposto ricorso in cassazione, affidato a un motivo, avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste che ha confermato la sentenza con cui il locale Tribunale aveva respinto la domanda proposta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e del socio accomandatario NOME COGNOME, con cui si era chiesto, in via principale, la riduzione del prezzo corrisposto per l’acquisto del 100% delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE, finalizzato all’ottenimento della proprietà, quale oggetto mediato dell’acquisto, di un terreno adibito a parcheggio pertinenziale di un hotel e, in via subordinata, la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni e alla ripetizione dell’indebito.
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione – (in prosieguo, breviter , la RAGIONE_SOCIALE) e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha condiviso integralmente le ragioni del rigetto esplicitate dalla sentenza di primo grado, secondo cui oggetto immediato della
vendita di azioni è la partecipazione sociale e si estende alla consistenza o al valore del patrimonio solo per effetto di specifiche pattuizioni, frutto di autonomia contrattuale, sicché tutte le domande proposte, siccome aventi ad oggetto le qualità del bene compreso nel patrimonio societario, nell’ambito di una cessione del capitale sociale sprovvista di clausole di garanzia specifiche, siano precluse, più che infondate, non essendo dirette all’oggetto della vendita, ma ad una sua componente autonoma .
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso lamenta: «Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.: applicabilità dell’art. 1497 c.c. e della disciplina della vendita di aliud pro alio al contratto di cessione di quote sociali anche in assenza di specifica garanzia.», deducendo che i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all’oggetto del contratto di cessione di azioni o di quote di una società di capitali, non solo nell’ipotesi in cui le parti abbiano fatto specifico riferimento, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, ma anche quando l’affidamento del cessionario circa la ricorrenza di tali requisiti debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede.
Il ricorso non è fondato.
Osserva la Corte che un proprio primo indirizzo, prevalente (Cass. n. 26690/06; id. 16031/07; 17948/12, 16963/14 e, da ultimo, 7183/19), afferma che la cessione delle azioni di una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale e,
di conseguenza, alla consistenza economica della partecipazione possono giustificare la sua risoluzione o la riduzione del prezzo pattuito solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali.
Tale interpretazione si fonda sull ‘individuazione dell’oggetto del negozio di modificazione della partecipazione sociale. Un bene, la partecipazione sociale, che attribuisce al titolare diritti amministrativi e diritti patrimoniali da esercitare nella società per effetto dell’acquisizione della qualità di socio. Un bene, la partecipazione sociale, che non si limita, quindi, ad attribuire al socio diritti patrimoniali parametrati al valore del patrimonio della società, ma che, in relazione a ciascun tipo societario prescelto, attribuisce anche diritti amministrativi, che consentono al socio di partecipare alla vita della società, esercitando tutte le facoltà concesse dalla legge e dallo statuto , rispetto alle quali l’ aspettativa di redditività connessa all’ esercizio dei diritti patrimoniali costituisce non più che un aspetto del complessivo status di socio. rilevato che l’assetto patrimoniale del valore della partecipazione, in quanto corrispondente all’esercizio dei diritti patrimoniali spettanti al socio, è solo una parte dell’utilità che l’acquirente della partecipazione riceve per effetto del suo acquisto.
Lo status di socio attribuisce, quindi, diritti più ampi e ulteriori rispetto a quelli legati al concorso alla distribuzione degli utili, ipotesi nella quale potrebbe sussistere un interesse ad attribuire sempre e comunque rilevanza all’effettivo valore dei beni che costituiscono il patrimonio della società, in dipendenza di vizi che ne diminuiscano il valore, con conseguente ammissibilità delle azioni contrattuali a difesa dell’effettivo valore del bene mediato, in assenza di specifiche garanzie.
La Corte è a conoscenza dell’esistenza di un proprio diverso orientamento, minoritario (Sez. 1, Sentenza n. 18181 del 09/09/2004; conforme la più recente Sez. 6-2, Ordinanza n. 22790 del 12/09/2019), secondo cui le azioni (e le quote) delle società di capitali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività sociale.
Tale orientamento evidenzia che le azioni esperibili a tutela dell’effettivo valore della partecipazione discendono da un’applicazione del generale canone di buona fede , ma che esse sono limitate alle ipotesi in cui la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incida sulla solidità economica e sulla produttività della società, e quindi sul valore delle azioni o delle quote, potendo per tale via integrare una mancanza delle qualità essenziali della cosa, ovvero essere indizio del fatto che i beni confluiti nel patrimonio siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti.
Ipotesi che, come ognun vede, sono da qualificarsi come radicali e riconducibili all’effettiva insussistenza del valore indicato nella quota di partecipazione compravenduta.
Ipotesi, tuttavia, che nella presente controversia potrebbero trovare applicazione solo se la ricorrente avesse specificamente indicato a questa Corte le circostanze allegate e dimostrate in giudizio idonee a far ritenere sussistente un rapporto di diretta causalità tra il valore della quota stimato nell’atto di cessione e la mancanza di determinati beni, o di determinate utilizzazioni dei ridetti beni facenti parte del
patrimonio societario, tali da far venire meno la correttezza del valore attribuito alla partecipazione. Il ricorso, invece, si limita (alle pagine da 10 a 12) a dare ‘per scontato’ che tali circostanze identificative del danno e della sua incidenza causale sulla valutazione della quota siano state fornite, senza osservare però i requisiti minimi per garantire l’autosufficienza della censura.
Da tanto consegue che, non risultando ammissibile il ricorso nella parte in cui sarebbe invocabile la giurisprudenza minoritaria di questa Corte, la questione di diritto non può essere affrontata e risolta in questa sede.
La soccombenza regola le spese di fase, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE a rifondere a RAGIONE_SOCIALE e ad COGNOME NOME le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 10.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
A i sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 febbraio