Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12881 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12881 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore del 26 febbraio 2024, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 288/2019, pubblicata il 14 febbraio 2019, notificata a mezzo PEC il 19 febbraio 2019;
R.G.N. 8750NUMERO_DOCUMENTO19
C.C. 24/4/2024
Vendita – Cessione di cubatura – Risoluzione per inadempimento
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del controricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 29 dicembre 2011, la RAGIONE_SOCIALE conveniva, davanti al Tribunale di Brescia, NOME al fine di sentire pronunciare la risoluzione del contratto di vendita per atto pubblico del 26 marzo 2007, avente ad oggetto il terreno sito in Toscolano Maderno, della superficie di mq. 2.300, dei quali mq. 1.925 inseriti in zona B2, con indice edificatorio pari allo 0,40 mq./mq., corrispondente ad una capacità edificatoria di mc. 2.310, con l’acquisto di un’ulteriore capacità edificatoria volumetrica di mc. 2.304, il tutto per il corrispettivo di euro 1.500.000,00, per inadempimento del venditore con riguardo alla specificata cessione di cubatura, in quanto l’istanza di rilascio di permesso di costruire per totali mc. 4.610,40, presentata al Comune il 10 febbraio 2011, era stata respinta con provvedimento comunale del 16 settembre 2011, per l’impossibilità di operare l’asservimento volumetrico mediante trasferimento della volumetria, in difetto di apposita variante allo strumento regolatore.
Chiedeva, altresì, che -in conseguenza della risoluzione -il convenuto fosse condannato alla restituzione del prezzo, al rimborso dell’imposta di registrazione del contratto per euro 165.230,00, delle competenze del notaio per euro 3.590,97, delle
competenze corrisposte per la redazione del progetto per euro 36.000,00, delle spese tecniche non quantificate, delle spese sostenute per l’apertura di credito ipotecario per euro 5.400,00, delle spese sostenute per l’apertura di un conto corrente per euro 3.600,00 nonché al risarcimento del danno per il mancato utile che sarebbe stato conseguito a seguito dell’edificazione del terreno nella misura di euro 1.250.189,00.
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME, il quale concludeva per il rigetto delle domande di parte attrice, in quanto infondate in fatto e in diritto.
Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
All’esito del decesso di COGNOME NOME, si costituiva COGNOME NOME, quale unico suo erede.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 2799/2016, depositata il 27 settembre 2016, rigettava le domande spiegate per carenza di alcun inadempimento imputabile a colpa del venditore, in quanto la consulenza tecnica d’ufficio aveva accertato che il bene venduto aveva le caratteristiche giuridiche e materiali descritte nel contratto, sicché il terreno alienato poteva essere utilizzato a fini edificatori al tempo della conclusione del contratto, con la conseguenza che, una volta trasferito il bene, qualunque rischio di perimento gravava sull’acquirente.
2. -Con atto di citazione notificato il 17 novembre 2016, proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), la quale lamentava: 1) la mancata identificazione dell’oggetto dell’atto di cessione di volumetria, che avrebbe compreso il conseguimento del titolo
edilizio abilitativo alla edificazione; 2) la nullità del contratto e la violazione dell’obbligo di rilevare detta nullità, quale conseguenza del diniego del permesso di costruire; 3) l’erronea affermazione circa l’esistenza e utilizzabilità della cubatura di mc. 2.304 alla data di stipulazione del contratto; 4) l’erronea rilevazione dell’esistenza della capacità edificatoria alla data di sottoscrizione del contratto; 5) l’erroneo rigetto delle domande di condanna.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME, il quale chiedeva che l’appello fosse dichiarato inammissibile o rigettato.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Brescia, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, seppure dovesse essere accolta la diversa ricostruzione dell’appellante sulla qualificazione giuridica della disposizione della cessione di cubatura, quale atto avente efficacia obbligatoria, e non già quale atto costitutivo di servitù perpetua passiva di inedificabilità, nondimeno il contratto non difettava di causa tipica, in quanto l’ordinamento giuridico riconosceva il contratto di cessione di cubatura ad effetti obbligatori, né era carente in ordine al suo oggetto, che si identificava con la volumetria connessa ad immobili che rimanevano in proprietà del venditore; b ) che l’espletata consulenza tecnica d’ufficio aveva accertato che, in ordine al lotto venduto, individuato come mappale n. 34, subalterno n. 10, la volumetria realizzabile era pari a mc. 2.310, mentre l’ulteriore volumetria ceduta dal COGNOME era inferiore al
volume realizzabile sul mappale n. 34, subalterno n. 9, rimasto di proprietà del venditore, sicché la cubatura pari a mc. 2.304 era cedibile, in quanto rientrava nella disponibilità dell’alienante; c ) che tale conclusione non era stata smentita neanche dal parere negativo dell’Ufficio tecnico edilizia del 16 settembre 2011, prot. n. 14.288, secondo cui, proprio in ragione della realizzazione di una volumetria totale di mc. 4.610,40, il lotto avrebbe presentato un indice di utilizzazione fondiaria pari a 0,79 mq./mq. contro un valore di 0,40 mq./mq. riportato dall’art. 18 delle vigenti N.T.A., sicché il progetto costituiva, a tutti gli effetti, una variante urbanistica; d ) che, in conseguenza, il diniego era dipeso non già dalla mancanza di volumetria utilizzabile, ma dalla rilevata mancata rispondenza del progetto all’indice di utilizzazione fondiaria; e ) che, inoltre, ad avviso dello stesso consulente tecnico d’ufficio, la volumetria era utilizzabile all’epoca della stipulazione della vendita e, secondo le norme vigenti (legislazione e strumento urbanistico locale), nulla ostava al passaggio di volumetria da un lotto all’altro, in quanto vi erano tutti i presupposti richiesti (confinazione dei lotti, appartenenza a zona omogenea avente la stessa classificazione in base al P.R.G.), mentre, solo a seguito dell’approvazione del P.G.T., la possibilità di traslare la volumetria era stata consentita con alcune limitazioni; f ) che, pertanto, l’utilizzazione nel progetto della volumetria di mc. 2.304 era risultata impossibile a causa dell’assenza, nello strumento urbanistico, della previsione di concentrazioni planivolumetriche, dipendendo, dunque, il mancato rilascio del provvedimento edilizio da una scelta del Comune nella regolamentazione e gestione della materia urbanistica e non già
da un inadempimento del venditore; g ) che erano inammissibili, in quanto tardive, le prospettazioni articolate nell’atto di citazione introduttivo del gravame sulla impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione del contratto e sull’integrazione di un’implicita condizione sospensiva o risolutiva, avendo invece la domanda giudiziale proposta in prime cure dedotto il solo inadempimento imputabile all’alienante, ai sensi degli artt. 1453 o 1489 c.c.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito, con controricorso, l’intimato NOME .
-Il controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione degli artt. 1470 e 1453 c.c. nell’individuazione dell’oggetto del contratto di compravendita del 26 marzo 2007, avente ad oggetto anche la cessione di volumetria di mc. 2.304, con la corrispondente costituzione di servitus non aedificandi a carico del fondo rimasto in proprietà del venditore, quanto alla stessa nozione di contratto di compravendita e alla integrazione dell’inadempimento del venditore nella cessione della volumetria.
Obietta l’istante che, all’esito della qualificazione della cessione di cubatura quale contratto ad efficacia meramente obbligatoria, e non già traslativo o costitutivo di un diritto reale opponibile ai terzi, la mancata approvazione, da parte del Comune, del progetto di costruzione, nonostante il passaggio della volumetria del fondo rimasto in proprietà del COGNOME in
favore del fondo trasferito alla RAGIONE_SOCIALE, avrebbe dovuto indurre ad accogliere la domanda di risoluzione per inadempimento del venditore.
E tanto perché avrebbe dovuto farsi riferimento non già all’effettiva sussistenza della volumetria di mc. 2.304 nel fondo dell’alienante, bensì alla trasferibilità di detta volumetria dal venditore all’acquirente.
1.1. -Il motivo è infondato.
E ciò, a monte, perché non può aderirsi alla ricostruzione della ricorrente, secondo cui il trasferimento di cubatura -non soltanto nei confronti dei terzi, ma anche tra le stesse parti -sarebbe determinato esclusivamente dal provvedimento concessorio rilasciato dall’amministrazione comunale a favore del cessionario e sulla base del programma edificatorio da questi proposto.
Peraltro, già secondo questa ormai superata ricostruzione, il mancato rilascio del permesso di costruire, nonostante la conforme attivazione del cedente presso la P.A., avrebbe determinato l’inefficacia del negozio e non già la sua risoluzione per inadempimento del venditore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20623 del 24/09/2009).
Per contro, il negozio di cessione di cubatura tra privati, con cui il proprietario di un fondo distacca, in tutto o in parte, la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto
patrimoniale, non richiedente la forma scritta ad substantiam e trascrivibile ex art. 2643, n. 2bis , c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18044 del 06/06/2022; Sez. 2, Sentenza n. 1476 del 18/01/2022; Sez. U, Sentenza n. 16080 del 09/06/2021).
Detti diritti, proprio in ragione della loro origine, non hanno alcuna inerenza con il fondo, sicché la realità fa certamente difetto, trattandosi di diritti edificatori di origine compensativa, intrinsecamente caratterizzati dal loro totale distacco dal fondo di origine e dalla conseguente perfetta ed autonoma ambulatorietà.
Il che comporta la netta rivalutazione del sostrato privatistico della cessione di cubatura, ricollocando l’effetto traslativo suo proprio nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti, non già del procedimento amministrativo.
Resta naturalmente, una volta che alla cessione di cubatura consegua la presentazione da parte del cessionario di un progetto edificatorio su di essa basato, il ruolo autorizzativo e regolatorio del permesso di costruire, per il cui rilascio il cedente è tenuto ad operare secondo il dovere generale di solidarietà, cooperazione, correttezza e buona fede. Si tratta appunto di un elemento che concorre non al trasferimento in s é tra i privati della cubatura, quanto alla sua fruibilità in conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, alle quali il cessionario dovrà ispirarsi mediante la presentazione di un progetto edificatorio suscettibile di assenso perché ad esse rispondente.
Ne discende che, in quanto elemento esterno di regolazione pubblicistica di un diritto di origine privatistica, il permesso di costruire -seppure per certi versi anomalo perché chiesto e rilasciato per una volumetria aumentata -continua ad operare su
un piano non dissimile da quello ‘normale’ dei provvedimenti genericamente ampliativi della sfera giuridica del privato e, segnatamente, da quello che regola ordinariamente l’esercizio diretto dello jus aedificandi da parte del proprietario.
1.2. -Nella fattispecie, la sentenza impugnata ha escluso che il diniego del permesso di costruire fosse dipeso dalla mancanza di volumetria utilizzabile e, quindi, da un inadempimento imputabile al cedente, individuando, per contro, la causa di tale diniego nella rilevata sopravvenuta mancata rispondenza del progetto all’indice di utilizzazione fondiaria.
E ciò non già rispetto al momento in cui il contratto di vendita è stato concluso ( recte il 26 marzo 2007), bensì al momento in cui l’istanza di rilascio del permesso è stata presentata ( recte il 10 febbraio 2011, con diniego del 16 settembre 2011).
Senza che questa sopravvenienza fosse in alcun modo ascrivibile al venditore.
Orbene, il factum principis , idoneo ad escludere l’imputabilità dell’inadempimento, può individuarsi appunto in un provvedimento legislativo od amministrativo, dettato da interessi generali, che renda in via sopravvenuta impossibile la prestazione, indipendentemente dal comportamento dell’obbligato (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 10683 del 20/04/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 32539 del 04/11/2022; Sez. 3, Sentenza n. 14915 del 08/06/2018; Sez. 3, Sentenza n. 13142 del 25/05/2017; Sez. 2, Sentenza n. 6594 del 30/04/2012; Sez. 2, Sentenza n. 119 del 11/01/1982; Sez. 3, Sentenza n. 2688 del 22/10/1973), come acclarato nel caso di specie.
2. -Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, in via subordinata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione di norme di diritto, per avere la Corte territoriale affermato la libera disponibilità della cessione della volumetria da un fondo all’altro, così da configurare il rifiuto del rilascio del permesso di costruire, da parte del Comune, come una sua libera scelta nella regolamentazione e gestione della materia urbanistica, tale da escludere ogni addebito di responsabilità al cedente.
Osserva l’istante che la circostanza dedotta dal consulente tecnico d’ufficio secondo cui la volumetria sarebbe stata utilizzabile all’epoca della stipula del contratto e, per le norme allora vigenti (legislazione e strumento urbanistico locale), nulla avrebbe ostacolato il passaggio di volumetria da un lotto all’altro -non avrebbe considerato che sarebbe stato onere del venditore assicurare che, in base agli strumenti di pianificazione territoriale, fosse stato rilasciato il permesso di costruire e, dunque, il cedente avrebbe dovuto rispondere della limitazione dell’indice di densità fondiaria di cui all’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
Infatti, a fronte della ricostruzione della vicenda (e delle correlate argomentazioni esposte sulla carenza di alcun inadempimento imputabile al cedente), la censura, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge (peraltro, con riferimento a norme non meglio precisate), mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, rivalutazione preclusa in questa sede (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8773 del 03/04/2024; Sez. 5,
Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
La sentenza impugnata ha adeguatamente argomentato in ordine alla non imputabilità dell’inadempimento, sostenendo che, pur ricorrendo tutti i presupposti richiesti per il passaggio di cubatura da un lotto all’altro, per effetto dell’approvazione del P.G.T. (adottato il 21 ottobre 2011 e approvato l’11 aprile 2012), l’utilizzazione nel progetto della volumetria ceduta era risultata impossibile, a causa dell’assenza nello strumento urbanistico della previsione di concentrazioni planivolumetriche, sicché il mancato rilascio del permesso di costruire era dipeso dalla scelta del Comune nella regolamentazione e gestione della materia urbanistica.
3. -Con il terzo motivo -formulato in via ulteriormente subordinata -la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, secondo comma, e 1325 c.c., per avere la Corte distrettuale escluso la nullità del contratto di cessione di cubatura per mancanza della sua causa tipica o dell’oggetto, in ragione del mancato trasferimento del diritto all’edificazione e del mancato conseguimento dell’ utilitas .
3.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, il distacco, in parte, della facoltà inerente al diritto dominicale del cedente di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore è debitamente avvenuto con il trasferimento a titolo oneroso al cessionario, in forza di un atto
immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale.
Sicché il contratto ha determinato l’effettivo trasferimento della volumetria secondo le prescrizioni ivi stabilite.
Solo in esito ad una previsione delle N.T.A. sopravvenuta l’asservimento volumetrico è stato limitato e non già per ragioni intrinseche al programma negoziale.
Orbene, nell’ordinamento giuridico positivo, il rilievo della causa, la cui mancanza produce la nullità dell’atto di autonomia privata, a norma dell’art. 1418, secondo comma, c.c., si manifesta esclusivamente nel momento della nascita del negozio e non accompagna il suo successivo svolgimento. La causa va infatti ricollegata allo scambio delle obbligazioni e non anche a quello delle prestazioni che ne derivano.
Pertanto, l’esigenza causale deve ritenersi soddisfatta con lo scambio delle obbligazioni. Il successivo inadempimento o la sopravvenuta impossibilità di una delle prestazioni determinano l’estinzione del rapporto obbligatorio alla stregua di principi diversi da quelli che disciplinano l’elemento causale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 53 del 10/01/1964).
Al sinallagma genetico, che si ricollega all’elemento della causa, si contrappone un sinallagma funzionale, con riguardo al legame di reciproca dipendenza esistente tra le prestazioni del rapporto giuridico creato con il contratto, il quale trova fondamento nel generale principio della commutatività, inteso ad evitare un arricchimento senza contropartita.
Le due situazioni solo apparentemente si presentano simili, giacché mentre la mancanza della causa concerne la creazione
del vinculum iuris , le successive vicende relative alla prestazione riguardano invece l’esecuzione dell’obbligo, già sorto e operativo inter partes , con la conseguente applicazione dei mezzi giuridici che l’ordinamento appresta per assicurare obbedienza ai propri comandi, quali, ad esempio, la risoluzione per inadempimento (art. 1453 c.c.) o per impossibilità sopravvenuta (artt. 1256 e 1463 c.c.).
In entrambe le ipotesi presenta decisiva importanza l’indagine sulla imputabilità della mancata esecuzione del rapporto, in quanto, da un lato, la risoluzione, per il suo carattere sanzionatorio, presuppone la colpa dell’inadempimento e, dall’altro, l’impossibilità sopravvenuta deve rispondere ai requisiti della obiettività e della assolutezza.
4. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in
complessivi euro 13.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda