Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31213 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31213 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 6698/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE p.i. P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. COGNOME nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
COMUNE DI GENOVA, c.f. 00856930102, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL controricorrente avverso la sentenza n. 1416/2019 della Corte d’Appello di Genova, depositata il 17-10-2019,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1311-2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Impresa RAGIONE_SOCIALE ha convenuto avanti il Tribunale di Genova il Comune di Genova, esponendo che con contratto di data 1-6-2007 aveva acquistato dal Comune per il corrispettivo di Euro
OGGETTO:
compravendita di diritti edificatori
RG. 6698/2020
C.C. 13-11-2024
116.888,60 un indice edificatorio pari a mq. 150 di superficie agibile, secondo le regole vigenti al momento della conclusione del contratto; tali diritti edificatori, derivanti in favore del Comune di Genova dalla demolizione di edifici per l’esecuzione di opere pubbliche, al momento della vendita consentivano nuove costruzioni nella zona B di Piano, secondo regime che era stato radicalmente modificato dal Comune con una variante adottata con delibera 85/2009 e con altre successive; di conseguenza ha chiesto la risoluzione del contratto per presupposizione e per inadempimento, con condanna del Comune alla restituzione del prezzo e al risarcimento dei danni.
Si è costituito il Comune di Genova chiedendo il rigetto delle domande e con sentenza n. 2506/2016 depositata il 25-7-2016 il Tribunale ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto per presupposizione e ha accolto la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del Comune di Genova, condannandolo alla restituzione del prezzo ricevuto con gli interessi dal pagamento delle singole rate, rigettando la domanda di risarcimento del danno.
2.Avverso la sentenza il Comune di Genova ha proposto appello, lamentando , tra l’altro, la violazione dell’art. 1489 cod. civ.; a sua volta RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello incidentale deducendo la sussistenza della presupposizione e lamentando l’omessa pronuncia sulla nullità del contratto per difetto di causa concreta.
Con sentenza n. 1416/2019 depositata il 17-10-2019 la Corte d’appello di Genova ha accolto l’appello del Comune , escludendo che alla fattispecie si applicasse l’art. 1489 cod. civ.; ha rilevato che non si controverteva di oneri non apparenti, ma dell’oggetto stesso del contratto, relativo a ‘indice edificatorio pari a 150 mq. di superficie agibile, come definito dal l’art. 17 delle norme di attuazione del vigente P.U.C.’; ha evidenziato che, nel momento in cui il contratto era stato stipulato, sulla base della normativa urbanistica comunale vigente
all’epoca, la superficie sarebbe stata utilizzabile se l’acquirente avesse diligentemente presentato un progetto conforme ai vincoli paesistici esistenti nella zona e invece risultava dalla Determinazione dirigenziale del Comune di Genova n. 719/2009 che l’istanza di approvazione del progetto di costruzione dell’immobile residenziale in INDIRIZZO era stata negata perché priva dell’autorizzazione paesaggistica; la società non si era attivata sollecitamente per ottener e l’autorizzazione paesaggistica, per cui era stata riconducibile a suo comportamento negligente la successiva ridotta possibilità di sfruttare la superficie compravenduta, perché la variante ostativa alla completa realizzazione dell’opera era stata approvata con delibera del Consiglio Co munale n. 73/2010 e perciò tre anni dopo la compravendita. Ha dichiarato che era fuorviante anche il richiamo della società alla causa concreta, in quanto l’indice edificatorio costituiva l’oggetto stesso del contratto ed era stato fruibile; per l’effetto ha rigettato integralmente l’appello incidentale.
3.Impresa RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Il Comune di Genova ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 1 3-11-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso di RAGIONE_SOCIALE è intitolato ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 commi 3 e 5 c.p.c. in violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 1489 c.c. da un lato e degli artt. 1453 e 1455, nonché degli artt. 1480, 1483 e 1484 c.c. dall’altro’; la società ricorrente evidenzia che la questione di causa non
riguardava la rilevanza delle sopravvenienze nell’ambito di un contratto di compravendita immobiliare, ma la sopravvenienza della modificazione dell’oggetto del contratto successiva alla sua stipula per scelta del venditore, il quale aveva l’obbligo di assicurare la certezza del diritto alienato e di astenersi dall’incidere sul suo contenuto. P er questo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere il giudicante compreso il contenuto della domanda di risoluzione per inadempimento proposta dalla società, la violazione dell’art. 1489 cod. civ. , per avere la sentenza impugnata richiamato principi non pertinenti alla fattispecie e la violazione delle disposizioni sulla vendita e sulla risoluzione, per avere la sentenza negato l’inadempimento del Comune in una fattispecie nella quale lo stesso Comune aveva determinato lo svuotamento del diritto trasferito.
1.1.Il motivo è infondato.
Secondo i principi posti da Cass. Sez. U 9-6-2021 n. 16080 (Rv. 661408-01), che ha superato le precedenti ricostruzioni, il negozio di cessione di cubatura tra privati, con il quale il proprietario di un fondo distacca, in tutto o in parte, la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolare e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo, è atto immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale (nello stesso senso Cass. Sez. 2 10-5-2024 n. 12881, Cass. Sez. 2 6-6-2022 n. 18044, Cass. Sez. 2 18-1-2022 n. 1476, non massimate). Come già evidenziato da Cass. 12881/2024, sulla base della ricostruzione delle Sezioni Unite, si tratta di diritto intrinsecamente caratterizzato dal totale distacco dal fondo di origine e dalla conseguente perfetta e autonoma ambulatorietà, sulla base della netta rivalutazione del sostrato privatistico della cessione di cubatura, per cui l’effetto traslativo della cessione si colloca nell’ambito dell’autonom ia negoziale
delle parti e non nell’ambito di procedimento amministrativo. Nel momento in cui alla cessione di cubatura consegua la presentazione da parte del cessionario di un progetto su di essa basato, resta il ruolo autorizzativo e regolatorio del permesso a costruire, per il cui rilascio il cedente è tenuto a operare secondo il dovere generale di solidarietà, cooperazione, correttezza e buona fede; si tratta di elemento che concorre non al trasferimento in sé tra i privati della cubatura, ma alla sua fruibilità in conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, alle quali il cessionario dovrà ispirarsi mediante la presentazione di un progetto edificatorio suscettibile di assenso perché a esse rispondente. Questi principi valgono anche nella fattispecie, nella quale il soggetto cedente la cubatura era il Comune di Genova, in quanto il Comune ha agito iure privatorum, trasferendo la facoltà inerente a diritto dominicale a costruire di cui era titolare alla stregua di soggetto privato.
Posti questi dati, bisogna considerare che la sentenza impugnata ha accertato in fatto che, nel momento in cui il contratto di cessione della cubatura è stato concluso, sulla base della normativa comunale esistente all’epoca, la superficie agibile venduta sarebbe stata utilizzabile, se l’acquirente av esse presentato progetto conforme ai vincoli paesaggistici, in quanto il progetto presentato non era stato poi approvato perché privo della necessaria autorizzazione paesaggistica. Sulla base di questo accertamento in fatto, esattamente la sentenza ha escluso qualsiasi inadempimento in capo al Comune cedente, il quale aveva trasferito un diritto edificatorio esistente e utilizzabile e che non aveva potuto essere esercitato esclusivamente per la condotta dell’acquirente , che aveva presentato progetto non rispettoso dei vincoli paesaggistici.
La sentenza impugnata ha altresì accertato che la variante urbanistica sopravvenuta tre anni dopo la conclusione del contratto
aveva comportato la ridotta possibilità di sfruttare la superficie agibile oggetto della cessione ed esattamente ha escluso che questo dato incidesse in qualche modo sul contratto già concluso. In primo luogo, i rilievi del ricorrente in ordine al fatto che il Comune non avrebbe rispettato i principi di buona fede nell’esecuzione del contratto non sono fondati, in quanto confondono il ruolo di venditore -assunto dal Comune esercitando la sua capacità di diritto privato nella stipulazione del contratto di cessione della cubatura- con le funzioni di ente pubblico pianificatore dell’assetto urbanistico ed edilizio del territorio. Nella qualità di venditore il Comune non aveva il potere di garantire il mantenimento dell’assetto urbanistico esistente al momento della conclusione del contratto di cessione della cubatura; quindi, per il dato che venditore fosse il Comune, l’acquirente non aveva alcuna legittima ragione di confidare sul mantenimento nel tempo di quell’assetto urbanistico più di quanto avrebbe fatto se avesse acquistato da altro soggetto. Per di più, secondo l’accertamento in fatto svolto dalla sentenza impugnata, la successiva variante urbanistica non aveva comportato il totale venire meno della facoltà di sfruttamento della superficie agibile oggetto di cessione, ma aveva inciso, riducendola, sulla possibilità di sfruttare la superficie agibile; quindi, non sono pertinenti neppure le deduzioni della ricorrente in ordine al venire meno dell’oggetto del contratto.
2.Il secondo motivo è intitolato ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 commi 3 e 5 c.p.c. Violazione dell’art. 1467 c.c. e dei principi in materia di risoluzione per presupposizione’ e con esso la ricorrente deduce che la sentenza impugnata, rigettando il motivo di appello con il quale la società aveva riproposto la domanda di risoluzione del contratto per presupposizione limitandosi a richiamare la sentenza di primo grado, si sia posta in contraddizione con il principio enunciato da Cass. 12235/2007, secondo il quale la mancanza
originaria o sopravvenuta di un elemento essenziale nel consenso delle parti non può rimanere priva di effetti.
2.1.Il motivo è infondato.
La presupposizione è definita, proprio nel precedente di Cass. Sez. 3 25-5-2007 n. 12235 (Rv. 599209-01) richiamato dalla ricorrente (cfr. da pag.15 di quella sentenza) come una obiettiva situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) tenuta in considerazione -pur in mancanza di un espresso riferimento nelle clausole contrattuali- dai contraenti nella formazione del loro consenso come presupposto condizio nante la validità e l’efficacia del negozio (c.d. condizione non sviluppata o inespressa), il cui venire meno o verificarsi è del tutto indipendente dall’attività e volontà dei contraenti e non corrisponde -integrandoloall’oggetto di una specifica obbligazione dell’uno o dell’altro (nello stesso senso Cass. Sez. U 20-4-2018 n. 9909 Rv. 648129-01, che richiama proprio Cass. 12235/2007). Come pure si legge in Cass. 12235/2007, non possono ricondursi alla presupposizione né fatti e circostanze ascrivibili alla causa, perché i presupposti causali assumono rilievo già sul piano dell’interesse che giustifica l’impegno contrattuale né i risultati dovuti, che rientrano nel contenuto del contratto e il cui difetto rileva sul piano dell’inadempime nto, né le condizioni di efficacia, che si esplicitano in una clausola, né i motivi, che rimangono nella sfera volitiva interna della parte.
Risulta dalle ragioni già svolte al punto 1.2 che nella fattispecie non sussistono le condizioni per applicare la disciplina della presupposizione, per la ragione che è stato oggetto della cessione il diritto di edificare, il diritto è stato trasferito e ha potuto essere esercitato, sia secondo le disposizioni edilizie vigenti al momento della cessione (non essendo stato il permesso a costruire rilasciato in ragione del mancato rispetto dei vincoli ambientali e non perché la superficie
ceduta non potesse essere oggetto di permesso), sia secondo le disposizioni edilizie successive (che erano ostative alla completa realizzazione dell’opera ma non la impedivano , secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata). Ciò, senza che nessuno degli argomenti della ricorrente sia utile a ritenere che il contratto sia stato erroneamente interpretato dal giudice di merito, per il fatto che la volontà delle parti fosse nel senso che il diritto a costruire fosse stato ceduto sulla base del l’accordo del suo effettivo e integrale esercizio senza limiti di tempo o comunque entro il termine di prescrizione.
3.Il terzo motivo è intitolato ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 commi 3 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 1325 comma 2 c.c. e ai principi di cui alla sentenza n. 12235/2007′ e con esso la ricorrente lamenta che sia stato rigettato il suo secondo motivo di appello incidentale, escludendo la nullità del contratto per mancanza di causa concreta. Sostiene che la sentenza sia viziata in primo luogo per avere rinviato alla motivazione del Tribunale sul punto, senza considerare che il Tribunale aveva accolto la domanda di risoluzione per inadempimento; aggiunge che la sentenza è viziata per le stesse ragioni svolte per sostenere la risoluzione del contratto per presupposizione e anche per avere applicato alla causa concreta del contratto i principi propri della causa astratta, evidenziando come la nullità del contratto si configuri anche nel caso in cui la causa concreta venga meno in un momento successivo alla stipula.
3.1.Dalle ragioni già esposte consegue l’ infondatezza anche di questo motivo.
Il trasferimento a titolo oneroso a favore della società cessionaria della facoltà di costruire nei limiti della superficie assentita dal piano regolatore vigente al momento della conclusione del contratto è avvenuto, essendo il contratto concluso immediatamente traslativo di diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale. La
circostanza che le disposizioni sopravvenute abbiano limitato la possibilità di sfruttamento della superficie non incide sulla causa del negozio in quanto il rilievo della causa, la cui mancanza produce la nullità del negozio ex art. 1418 co. 2 cod. civ., si manifesta esclusivamente nella fase genetica del contratto e non nel suo successivo svolgimento, perché la causa va ricollegata allo scambio delle obbligazioni, mentre il successivo inadempimento o la sopravvenuta impossibilità delle prestazioni incidono sul rapporto obbligatorio, già sorto e vigente tra parti, alla stregua di principi diversi da quelli che disciplinano l’elemento causale, quali la risoluzione per inadempimento o per impossibilità sopravvenuta (cfr. Cass. 12881/2024 in motivazione punto 3.1).
4.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la società ricorrente deve essere condannata alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore del Comune controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi, oltre accessori ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di
ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione