Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30807 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30807 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21647-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore,elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 21647/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 17/10/2024
CC
avverso la sentenza n. 5215/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/01/2019 R.G.N. 7444/2012; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 10.1.19 la corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del 10.5.12 del tribunale di Avellino che aveva rigettato l’opposizione a cartella per euro 125.235 per ripetizione di contributi ex articolo 8 comma 4 legge 223 del 91 (contributo mobilità per assunzione di lavoratori iscritti nelle liste).
In particolare, la corte territoriale ha accertato che i lavoratori erano stati collocati mobilità da società coincidente con l’ impresa che aveva poi assunto, ritenendo la cessazione della prima impresa sostanzialmente inesistente per essere continuata l’attività aziendale , come desumibile dalle stesse mansioni dei lavoratori, negli stessi locali e con gli stessi responsabili.
Avverso tale sentenza ricorre la società per quattro motivi, illustrati da memoria, cui resiste l’Inps con controricorso.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo deduce ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., perché la richiesta restitutoria era stata fatta per una pretesa identità societaria, mentre la pronuncia ha ravvisato una cessione di azienda.
Il motivo è infondato. Invero, la sentenza ha pronunciato in
relazione ai fatti dedotti dalle parti e provvedendo solo a dare un inquadramento giuridico della fattispecie, attività questa che compete al giudice.
Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. per violazione degli articoli 2359 c.c. e legge 223 del 91 per omessa pronuncia relativa alla violazione della normativa sui collegamenti di imprese.
Il motivo è inammissibile perché non si parametra alla sentenza che ha parlato di cessione di azienda, individuata attraverso una pluralità di elementi fattuali, e non solo di collegamenti societari.
Il terzo motivo deduce violazione degli articoli 115 c.p.c. e della legge 192 del 98, per avere rivenuto la cessione sulla base di elementi sintomatici asseritamente non contestati, laddove vi era invece contestazione.
Il motivo è infondato. Invero, la corte territoriale ha opportunamente rilevato che lo svolgimento dell’attività aziendale negli stessi locali dalle stesse maestranze e sotto il controllo degli stessi responsabili era un profilo non contestato, laddove la ricorrente aveva contestato solo che la proprietà della nuova azienda fosse la medesima, con conseguente non identità delle società.
Il quarto motivo lamenta, ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., la mancata valutazione della prova ammessa ed espletata e la conseguente nullità della sentenza.
Il motivo è privo di pregio. Prima ancora della considerazione che la prova non riguardava la cessione d’azienda e non incideva sulla soluzione adottata dalla corte, va rilevato che la parte in sostanza deduce un vizio motivazionale della sentenza, vizio che resta censurabile in sede di legittimità solo nel ristretto ambito di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., i cui estremi nel caso non ricorrono in alcun modo essendo restati
indimostrati.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
p.q.m.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro 5.000 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre