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Cessione del ramo d’azienda: i requisiti essenziali

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 14840/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società tecnologica contro la sentenza che aveva giudicato inefficace la cessione del ramo d’azienda ad un’altra impresa. Al centro della decisione vi è il principio secondo cui, per una valida cessione del ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., il ramo trasferito deve possedere i requisiti di autonomia funzionale e preesistenza al momento della cessione, senza i quali è necessario il consenso del lavoratore.

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Cessione del ramo d’azienda: la Cassazione ribadisce i requisiti di autonomia e preesistenza

La cessione del ramo d’azienda è un’operazione strategica per le imprese, ma quali sono le tutele per i lavoratori coinvolti? Con la recente ordinanza n. 14840 del 28 maggio 2024, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema cruciale, confermando un orientamento consolidato che pone paletti ben precisi alla legittimità di tali trasferimenti, specialmente quando avvengono senza il consenso dei dipendenti. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla decisione di una grande società tecnologica di cedere un proprio ramo d’azienda a un’altra impresa. Un dipendente, il cui contratto di lavoro era stato trasferito nell’ambito di questa operazione, ha impugnato la cessione, sostenendone l’inefficacia. Secondo il lavoratore, il trasferimento era avvenuto in violazione dell’articolo 1406 del codice civile, che richiede il consenso del contraente ceduto, poiché non sussistevano i presupposti per l’applicazione della disciplina speciale dell’articolo 2112 c.c., che consente il trasferimento automatico dei rapporti di lavoro.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore, dichiarando l’inefficacia della cessione del suo contratto. I giudici di merito hanno ritenuto che il complesso di beni e personale trasferito non costituisse un vero e proprio ‘ramo d’azienda’ autonomo e preesistente. Di conseguenza, hanno ordinato alla società cedente di reintegrare il dipendente nel suo precedente posto di lavoro. La società ha quindi proposto ricorso per Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Cessione del Ramo d’Azienda

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso della società inammissibile, confermando di fatto la validità delle decisioni dei giudici di merito. La Corte ha ribadito che l’onere di dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti per una legittima cessione del ramo d’azienda grava sull’impresa cedente che intende avvalersi della disciplina derogatoria dell’art. 2112 c.c.

L’ordinanza si allinea a un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, sia a livello nazionale che europeo, che interpreta in modo rigoroso i presupposti per il trasferimento d’azienda, al fine di garantire un’effettiva tutela ai lavoratori.

Le Motivazioni

Il cuore della pronuncia risiede nella riaffermazione dei due elementi costitutivi essenziali per qualificare una parte di un’impresa come ‘ramo d’azienda’ ai fini del suo trasferimento:

1. La Preesistenza: Il ramo deve esistere come entità organica e funzionale all’interno dell’organizzazione del cedente prima della cessione. Non è possibile, quindi, ‘creare’ un ramo assemblando beni e personale al solo scopo di trasferirlo. Questo requisito mira a prevenire esternalizzazioni fittizie, volte unicamente a cedere personale.

2. L’Autonomia Funzionale: Il ramo ceduto deve essere in grado, già al momento dello scorporo, di svolgere autonomamente un’attività o una funzione produttiva con i propri mezzi. Deve trattarsi di un’entità economica che conserva la propria identità anche dopo il trasferimento. La giurisprudenza, anche della Corte di Giustizia Europea, ha chiarito che questa autonomia deve preesistere al trasferimento stesso.

La Cassazione ha respinto la tesi della società ricorrente, secondo cui la normativa europea richiederebbe solo la ‘continuità’ dell’attività, e non la preesistenza del complesso ceduto. Al contrario, i giudici hanno sottolineato come la stessa Corte di Giustizia UE abbia specificato che l’autonomia dell’entità ceduta deve ‘preesistere al trasferimento’.

Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibili anche gli altri motivi di ricorso, inclusi quelli relativi alla presunta violazione delle norme sulla valutazione delle prove (artt. 115 e 116 c.p.c.), ricordando che tale valutazione è di competenza del giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità se la motivazione è sufficiente e non contraddittoria. Infine, è stata respinta la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, poiché i motivi del ricorso erano già stati ritenuti inammissibili, rendendo irrilevante la questione.

Le Conclusioni

L’ordinanza 14840/2024 consolida un importante baluardo a tutela dei lavoratori. La decisione ribadisce che la cessione del ramo d’azienda non può essere utilizzata come uno strumento per eludere le garanzie previste dalla legge in materia di trasferimento del contratto di lavoro. Per le imprese, il messaggio è chiaro: qualsiasi operazione di riorganizzazione che comporti il trasferimento di personale deve basarsi sulla cessione di entità economiche realmente autonome e preesistenti. In assenza di tali requisiti, l’operazione si configura come una mera cessione di contratti, per la quale è indispensabile ottenere il consenso individuale di ciascun lavoratore coinvolto. In caso contrario, il trasferimento è inefficace e il lavoratore ha diritto a veder ripristinato il proprio rapporto di lavoro con il datore di lavoro originario.

Quali sono i requisiti fondamentali per una valida cessione del ramo d’azienda senza il consenso del lavoratore?
Per essere valida ai sensi dell’art. 2112 c.c., la cessione deve riguardare un’entità economica che possieda due requisiti essenziali: la preesistenza, cioè deve esistere come articolazione funzionalmente autonoma già prima della cessione, e l’autonomia funzionale, ovvero la capacità di operare come un’unità produttiva indipendente.

Su chi ricade l’onere di provare la legittimità della cessione di un ramo d’azienda?
L’onere della prova grava interamente sulla società cedente. È l’azienda che trasferisce il ramo a dover dimostrare in giudizio che l’entità ceduta possedeva tutti i requisiti di legge (preesistenza e autonomia funzionale) per l’applicazione della disciplina speciale dell’art. 2112 c.c.

Cosa succede se una cessione del ramo d’azienda viene dichiarata inefficace?
Se un giudice accerta che non sussistevano i requisiti per una valida cessione del ramo d’azienda, il trasferimento del contratto di lavoro del dipendente viene dichiarato inefficace. Di conseguenza, il rapporto di lavoro del dipendente continua con il datore di lavoro originario (il cedente), che può essere condannato a reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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