Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17691 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17691 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23716-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 46/2021 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 16/03/2021 R.G.N. 420/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 23716/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 07/05/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 16 marzo 2021 , la Corte d’Appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE – di NOME e NOME COGNOME ha rigettato la domanda proposta nei confronti della società da NOME COGNOME con riguardo alle differenze retributive richieste, confermando la decisione esclusivamente con riguardo al trattamento di fine rapporto.
In particolare, la Corte , andando di contrario avviso rispetto all’ iter decisorio del primo giudice, ha ritenuto adeguatamente dimostrato un accordo di cessione del debito in favore della moglie del lavoratore, con riguardo alla trattenuta stipendiale oggetto della richiesta di differenze retributive oggetto della domanda del ricorrente.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi.
Resiste, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso si censura la decisione impugnata per violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., con riferimento alla prova per presunzioni dell’accordo di cessione del credito tra i coniugi, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ( art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ.) ed infine la violazione dell’art. 2697 cod. civ., in materia di onere della prova quanto al contenuto dell’accordo di cessione ai sensi dell’art. 360 , co. 1, n. 3, cod. proc. civ.
1.1. Con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 2697 cod. civ. quanto ai pretesi versamenti mensili in favore di NOME COGNOME
1.2. Con il terzo motivo di ricorso si deduce ancora la violazione dell’art. 2697 cod. civ., in ordine alla causale delle trattenute operate mensilmente nella busta paga di NOME COGNOME e della ‘differenziata’ liquidazione della retribuzione mensile.
1.3. Con il quarto motivo si denunzia la violazione dell’art. 132 n. 4, cod. proc. civ., e 111 Cost. con riferimento al ritenuto comportamento concludente circa l’accettazione dell’accordo dedotto dalla società come posto a base della decurtazione riferito al Bauce, nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio con riferimento alla mancata consegna delle buste – paga nel corso del rapporto di lavoro e agli importi variabili delle retribuzioni percepite prima del matrimonio, nonché dell’art. 132 cod. proc. civ. per omessa esposizione delle ragioni atte a far reputare il silenzio del COGNOME quale comportamento concludente.
I quattro motivi, da esaminarsi congiuntamente per reciproca connessione, oltre ad essere inammissibilmente formulati in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta sussistenza di un accordo di cessione del debito della società datrice in favore della moglie del ricorrente, criticando sotto vari profili la valutazione dalla stessa compiuta con doglianze intrise di circostanze fattuali.
2.1. Va rilevato, al riguardo, che è da ritenersi inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e
contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 3397 del 2024).
Nella specie, tutte le censure, veicolate promiscuamente mediante il ricorso alla violazione di legge ed all’omesso esame di fatti decisivi mirano, nella sostanza, ad una rivalutazione in fatto delle conclusioni raggiunte dalla Corte d’appello che deve ritenersi inammissibile in sede di legittimità.
3.1. Con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., va evidenziato, in via preliminare, come spetti al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cfr., sul punto, Cass. n. 2366 del 2021).
3.2. Qu anto alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., occorre evidenziare che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, ( ex plurimis, Sez. III, n. 15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, avendo la Corte fatto corretta applicazione del disposto normativo considerato.
3.3. Questa Corte ha poi affermato che, in caso di censura per motivazione mancante, apparente o perplessa, spetta al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n.
13578 del 02/02/2020) e, d’altra parte, per aversi motivazione apparente occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020).
Va, inoltre, rilevato, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto, totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, c omma 1, n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017).
Nella specie, non solo la motivazione è presente e ben chiara nel suo svolgimento ma parte ricorrente non deduce l’omessa valutazione di un fatto storico ma appunta le proprie censure su aspetti valutativi dell’ iter motivazionale, concernenti la asseritamente erronea valutazione di materiale istruttorio.
Invero, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l’ ” omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate ( cfr., in questi termini, fra le più recenti, Cass. n. 2268 del 2022).
4. Va rilevato, quanto all’ iter argomentativo del giudice di secondo grado, come lo stesso abbia preliminarmente evidenziato la rilevanza, nella specie, del disposto di cui agli artt. 1260 e 1264 cod. civ., a mente dei quali risulta sufficiente, per integrare la fattispecie della cessione del credito, la mera
accettazione del debitore ceduto, che la Corte ha ritenuto di individuare – e tale valutazione deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità – nel comportamento concludente documentato con le buste paga in cui la società ha operato la trattenuta stipendiale in favore della coniuge del ricorrente, avendo quest’ultima affermato che la somma de qua era destinata ai bisogni del proprio nucleo familiare, costituito, oltre che da lei, dal coniuge NOME COGNOME e dalla figlia NOME.
La Corte ha, poi, correttamente ritenuto irrilevante la circostanza che il terzo debitore ceduto fosse la società in nome collettivo in cui partecipava per la quota del 50% la stessa persona del cessionario (la ex moglie del COGNOME), non determinandosi alcuna inefficacia, per il solo fatto di restare obbligato illimitatamente ciascuno dei soci per le obbligazioni sociali, trattandosi, comunque di soggettività distinta dalla persona fisica del cessionario.
Con una valutazione di merito, sottratta, quindi, al sindacato di legittimità, il giudice di secondo grado ha ritenuto di rinvenire elementi circostanziali sufficienti per integrare la prova indiziaria ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., valorizzando la circostanza dell’essere quella considerata l’unica provvista positivamente emersa in ordine all’obbligo di contribuzione civilisticamente incombente sul coniuge, nonché la circostanza che prima del matrimonio le somme in questione non erano state detratte da quanto corrisposto al lavoratore. L’uso di immobili ed autoveicoli aziendali hanno, poi, ulteriormente corroborato, secondo la Corte, l’insussistenza di altra modalità di contribuzione del Bauce al menage familiare, non essendo egli tenuto al pagamento di ratei, mutui, utenze e vivendo nell’abitazione di proprietà della moglie.
Deve, quindi, concludersi che parte ricorrente non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e cioè che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021);
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
PQM
La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 4.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, da distrarsi. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello pr evisto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 7 maggio 2025.