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Cessione del credito PA: rifiuto e conseguenze

Una società, cessionaria di crediti per oltre 1,8 milioni di euro nei confronti di un ente pubblico, ha visto la sua richiesta quasi interamente respinta dal Tribunale. La decisione si fonda sul legittimo rifiuto della cessione del credito opposto dall’ente debitore entro i termini di legge, rendendo la cessione inefficace nei suoi confronti. La causa si è conclusa con la condanna dell’ente al pagamento di una somma residua irrisoria di circa 100 euro, la compensazione delle spese legali e l’addebito di gran parte dei costi di consulenza tecnica alla società attrice, a dimostrazione dei rischi di una mancata verifica della validità delle cessioni.

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Cessione del Credito PA: Quando il Rifiuto dell’Ente Rende Nullo il Pagamento

La cessione del credito PA è un’operazione finanziaria comune ma irta di insidie, come dimostra una recente sentenza del Tribunale di Roma. Una società cessionaria, che aveva agito in giudizio per recuperare crediti per oltre 1,8 milioni di euro da un ente pubblico, ha visto la sua pretesa quasi interamente annullata. La chiave di volta della decisione risiede nel corretto esercizio, da parte dell’ente debitore, della facoltà di rifiutare la cessione, un meccanismo di tutela fondamentale per le Pubbliche Amministrazioni.

I Fatti di Causa: Una Maxirichiesta di Pagamento

Una società specializzata nell’acquisto di crediti commerciali aveva citato in giudizio un ente pubblico, chiedendone la condanna al pagamento di una somma ingente, pari a € 1.829.836,01, oltre a interessi moratori, anatocistici e spese. Tale credito derivava da una serie di contratti di cessione pro soluto stipulati con diverse società fornitrici di energia, luce, gas e altri servizi all’ente medesimo.

L’attrice sosteneva di essere diventata l’unica titolare di tali crediti e, di conseguenza, l’unica legittimata a riceverne il pagamento.

L’Opposizione dell’Ente e la Verifica della Cessione del Credito PA

L’ente pubblico convenuto si è difeso sollevando una serie di eccezioni decisive. In primo luogo, ha contestato la legittimazione attiva della società attrice, sostenendo che le cessioni di credito le fossero inopponibili. Il motivo principale era che l’ente aveva formalmente comunicato il proprio rifiuto alle cessioni entro il termine di 45 giorni dalla notifica, come previsto dalla normativa sui contratti pubblici.

Inoltre, l’ente ha dimostrato di aver già saldato alcune delle fatture direttamente ai creditori originari e ha contestato la validità e la prova di molti dei contratti sottostanti. Data la complessità della materia e la mole di documenti, il Tribunale ha nominato un Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) per ricostruire l’effettiva posizione creditoria e verificare la validità di ogni singola pretesa.

Le Motivazioni della Decisione

Il Tribunale ha basato la sua decisione quasi integralmente sulle risultanze della consulenza tecnica, che ha stabilito principi rigorosi per la validità di una cessione del credito PA.

Il punto centrale della sentenza è il meccanismo di rifiuto. La legge offre alla Pubblica Amministrazione la facoltà di rifiutare la cessione del credito entro 45 giorni dalla notifica. Se questo rifiuto viene comunicato tempestivamente sia al cedente (il fornitore originale) sia al cessionario (la società che ha acquistato il credito), la cessione diventa inefficace nei confronti dell’ente debitore. Di conseguenza, l’amministrazione è legittimata a pagare il proprio debito al fornitore originale, liberandosi da ogni obbligo verso il cessionario.

Nel caso di specie, il CTU ha accertato che la stragrande maggioranza delle cessioni azionate in giudizio era stata oggetto di un formale e tempestivo rifiuto da parte dell’ente pubblico. Per queste partite, la società attrice non aveva alcun titolo per pretendere il pagamento.

Per i pochi crediti residui, sono emerse ulteriori criticità: in un caso, la fattura, sebbene formalmente corretta, risultava già pagata; in altri, mancava la prova del contratto di fornitura sottostante, un requisito indispensabile per dimostrare l’esistenza stessa del credito. Alla fine della meticolosa analisi, il credito residuo effettivo e dovuto è stato quantificato nella cifra irrisoria di € 27,34.

Le Conclusioni

La sentenza offre una lezione fondamentale per gli operatori del settore. Per le società che acquistano crediti vantati verso le Pubbliche Amministrazioni, è imperativo svolgere una due diligence approfondita. Non è sufficiente acquisire il credito, ma è cruciale verificare che la cessione sia stata notificata correttamente e, soprattutto, che non sia stata rifiutata dall’ente debitore. Agire diversamente espone al rischio concreto di acquistare un credito inesigibile.

La drastica riduzione della pretesa (da oltre 1,8 milioni di euro a poco più di 100 euro, comprensivi di interessi e penale) e la decisione del giudice di compensare le spese legali e addebitare la maggior parte dei costi della CTU alla parte attrice, sottolineano le conseguenze negative di un’azione legale basata su presupposti documentali e giuridici fragili. Per le Pubbliche Amministrazioni, la sentenza riafferma l’importanza di utilizzare correttamente gli strumenti procedurali a propria difesa per gestire in modo efficace il proprio debito.

Può una Pubblica Amministrazione rifiutare una cessione del credito?
Sì. La sentenza conferma che una Pubblica Amministrazione può rifiutare una cessione di credito. Tale rifiuto deve essere comunicato sia al creditore originario (cedente) sia al nuovo creditore (cessionario) entro 45 giorni dalla notifica dell’avvenuta cessione.

Cosa succede se la PA rifiuta validamente la cessione del credito?
Se il rifiuto viene comunicato nei termini e modi corretti, la cessione del credito è considerata inefficace e inopponibile all’Amministrazione. Di conseguenza, l’ente pubblico è autorizzato a pagare il proprio debito al fornitore originale, e il cessionario non può più avanzare alcuna pretesa di pagamento nei confronti dell’ente.

Quali sono i requisiti per poter far valere una cessione di credito contro la PA?
Secondo la decisione, affinché una cessione di credito sia valida nei confronti di un ente pubblico, devono essere soddisfatti diversi requisiti: la cessione deve risultare da un atto pubblico o da una scrittura privata autenticata, deve essere formalmente notificata all’ente e, soprattutto, non deve essere stata rifiutata dall’ente entro il termine di 45 giorni. Inoltre, il credito stesso deve essere provato nella sua esistenza tramite il contratto di fornitura originario e le relative fatture, che devono rispettare le norme sulla fatturazione elettronica verso la PA.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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