Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32805 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32805 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4968/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO presso il suo studio;
-ricorrenti-
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso il suo studio;
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME
-intimata- sul ricorso incidentale proposto da
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso il suo studio;
-ricorrente incidentale-
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO presso il suo studio;
-controricorrenti incidentali-
nonché contro
COGNOME SandroCOGNOME NOMECOGNOME
-intimati- per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n. 4749/2018, depositata il 4 luglio 2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e dell’ incidentale.
Uditi gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con contratto preliminare del 25 luglio 1996, NOME COGNOME in qualità di usufruttuaria, NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di nudi proprietari, promettevano in vendita
il terreno di metri quadri 2057, sito in Grottaferrata, alla INDIRIZZO con destinazione agricola, a NOME COGNOME che ne prometteva l’acquisto per il prezzo di lire 140.000.000; il prezzo si assumeva come pagato a rate e incassato dalla COGNOME, tranne la rimanenza di euro 11.362,05, dovuto a saldo al momento del rogito. Mancata la stipula del definitivo, il COGNOME citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Frascati, i promittenti venditori per conseguire la sentenza ex art. 2932 cod. civ., nonché la condanna in solido delle parti convenute al risarcimento dei danni subiti.
Si costituiva il solo NOME COGNOME.
Con sentenza n. 401/2011 del 13 dicembre 2011, il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Frascati, accertata la nullità del contratto preliminare nella parte relativa alla promessa di vendita, e la conseguente ineseguibilità del definitivo, rigettava la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ., ordinandone la cancellazione presso la Conservatoria dei RR.II; condannava l’attore alla restituzione dell’immobile e NOME COGNOME alla restituzione dell’importo di euro 60.941,91; rigettava le domande risarcitorie; disponeva la compensazione per un terzo, tra le parti costituite, delle spese di lite e condannava l’attore alla rifusione della restante parte in favore del convenuto NOME COGNOME.
-Ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado il COGNOME.
Si è costituito NOME COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello.
L’altra appellata, NOME COGNOME costituendosi, ha concluso per l’inammissibilità e il rigetto dell’appello del COGNOME; in via incidentale ha chiesto la dichiarazione di nullità della sentenza
appellata nella parte in cui ha deciso sulla domanda restitutoria della parte di prezzo che avrebbe incassato, siccome innovativa rispetto a quella formulata in prime cure; il tutto eliminando dal dispositivo la condanna restitutoria e dichiarando comunque la pretesa prescritta perché formulata a oltre dieci anni dal momento in cui poteva essere azionata, cioè dai singoli versamenti.
NOME COGNOME è intervenuta nel processo assumendosi cessionaria del diritto controverso a lei venduto dall’appellante principale; nel costituirsi, ha fatto sua la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto ex art. 2932 cod. civ. soltanto nei confronti di NOME COGNOME come nudo proprietario al 50%, e NOME COGNOME come usufruttuaria, con obbligo della COGNOME, cessionaria, al versamento dell’importo di euro 11.362,05, quale prezzo residuo; ha chiesto la condanna in solido delle parti convenute al risarcimento dei danni; in subordine, in riforma della sentenza, l’inammissibilità della condanna di NOME COGNOME alla restituzione dell’immobile; ancora in subordine, la condanna in solido dei convenuti alla restituzione del prezzo percepito, oltre interessi.
È rimasta contumace la promittente venditrice NOME COGNOME titolare dell’ulteriore 50% sulla nuda proprietà del fondo promesso in vendita.
La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 4749, depositata il 4 luglio 2018, in accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME ha dichiarato, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., il trasferimento del terreno oggetto di causa a NOME COGNOME subordinatamente al pagamento del saldo del prezzo da parte di quest’ultimo e ha condannato NOME COGNOME al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
–NOME e NOME COGNOME hanno impugnato la sentenza con sei motivi.
NOME COGNOME si è costituito con controricorso mentre NOME COGNOME ha proposto ricorso incidentale.
NOME COGNOME non ha svolto attività difensiva.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
In prossimità della pubblica udienza le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.) in relazione all’art. 100 cod. proc. civ., per aver la Corte d’appello omesso di considerare e valutare un fatto oggetto di discussione delle parti costituito dalla perdita di ogni diritto al trasferimento a seguito della cessione a favore della Montalto: violazione art. 81 cod. proc. civ. (sostituzione processuale). I ricorrenti censurano la pronuncia impugnata nella parte in cui afferma che per la cessione del contratto, ivi compreso quello preliminare, occorre, ai sensi dell’art. 1406 cod. civ., il consenso del contraente ceduto, ritenendo che, non essendo intervenuto, non è opponibile agli appellati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME il subentro di NOME COGNOME nella posizione contrattuale del promittente acquirente del terreno. L’inammissibiltà dell’intervento di NOME COGNOME nel grado di appello, ai sensi dell’art. 344 cod. proc. civ., rappresenterebbe un vulnus argomentativo della corte di merito, siccome nello stesso contesto, dato atto che l’originario promissario acquirente aveva ceduto, subito dopo l’introduzione del primo grado, ogni diritto sostanziale e processuale alla Montalto, non si sofferma sulla verifica
della sussistenza in capo al COGNOME del diritto di far valere il preliminare oggetto di lite e l’impugnazione della sentenza di prime cure. Sul punto si richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite (16 febbraio 2016 n. 2951) che, fissando alcune preliminari indicazioni, chiarisce che la parte che promuove un giudizio deve prospettare di esser parte attiva del giudizio (ai fini della legittimazione ad agire) e deve, poi, provare di essere titolare della posizione giuridica soggettiva che la rende parte. L’appellante, costituendosi, fornisce egli stesso la prova di non essere più titolare del diritto azionato, poiché lo stesso è stato ceduto con prestazioni corrispettive eseguite. Tale questione, in quanto appalesatasi soltanto in grado di appello con l’intervento, peraltro tardivo, della subentrante NOME COGNOME nella posizione processuale e sostanziale dell’appellante COGNOME COGNOME, era stata eccepita dal ricorrente NOME COGNOME in sede di conclusioni, mentre la Corte di merito non avrebbe dato alcun rilievo all’eccezione. I ricorrenti evidenziano altresì che il disposto dell’art. 111 cod. proc. civ. risulta inapplicabile in quanto non eccepito dalla parte che poteva avvalersene e anzi rinunciato dalla cessionaria COGNOME che ha concluso nell’intervento per il trasferimento a proprio nome del fondo oggetto del preliminare, così revocando la delega data al COGNOME di proseguire il giudizio in corso, all’epoca dinanzi al Tribunale. La corte territoriale non si è dunque avveduta che l’intervento, ancorché inammissibile perché tardivo e comunque infondato, avrebbe determinato l’esplicita decadenza di NOME COGNOME, originario promissario acquirente, di agire o proseguire in appello, a proprio nome ma per conto della COGNOME, a mente di quanto disposto nel contratto di cessione.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360
n. 5 cod. proc. civ. e conseguente violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 1406 e 1407 cod. civ. La ricorrente contesta la pronuncia della Corte d’appello nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il suo intervento. Il fatto decisivo che la Corte avrebbe omesso di considerare è che, benché non sia stato espresso dai promittenti venditori un successivo consenso alla cessione del contratto preliminare, esso era stato espresso in via anticipata nel preliminare. Il preliminare tra COGNOME e COGNOME, infatti, prevede esplicitamente la facoltà del promittente acquirente di sostituire altri a sé nella stipula del definitivo. All’omesso esame del fatto dell’esistenza del consenso anticipato alla cessione da parte dei promissari venditori consegue, dunque, la violazione degli artt. 1406 e 1407 cod. civ., che consentono l’opponibilità della cessione del contratto in caso di consenso anticipato dei ceduti.
1.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
Ai sensi dell’art. 1406 cod. civ. la cessione del contratto, che realizza un negozio plurilaterale, si perfeziona con l’accordo di tutti gli interessati, cedente, cessionario e ceduto (Cass., Sez. II, 16 marzo 2007, n. 6157).
La Corte di appello ha accertato il mancato perfezionamento della cessione del contratto preliminare, difettando il consenso dei contraenti ceduti. Peraltro, neppure l’eventuale validità della cessione del contratto preliminare avrebbe sottratto a NOME COGNOME la legittimazione, posto che l’art. 111, comma 1, cod. proc. civ. prevede, nel caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, la prosecuzione del processo fra le parti originarie e, con il comma 3, eventualmente, l’estromissione del cedente, nel
caso di intervento del cessionario, con il consenso delle altre parti. In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il processo prosegue fra le parti originarie, mantenendo il successore interventore tale veste processuale, salvo che nel caso di espressa estromissione dell’alienante (Cass., Sez. V, 11 febbraio 2021, n. 3454; Cass., Sez. II, 24 aprile 2012, n. 6471), che nella specie non risulta concordata.
Difetta, inoltre, di specificità il motivo del ricorso incidentale che non richiama integralmente la clausola invocata, impedendo la disamina della volontà delle parti espressa ne ll’atto negoziale .
2. -Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.), per non avere la Corte d’appello tenuto conto della omessa richiesta di esecuzione del preliminare anche nei confronti di NOME COGNOME con sostanziale modifica e integrazione della domanda in violazione dell’art . 112 cod. proc. civ. (corrispondenza tra chiesto e pronunciato), nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4. Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME nuda proprietaria della quota indivisa pari al 50% del terreno oggetto del contendere, i ricorrenti evidenziano che NOME COGNOME sia nella articolazione delle proprie difese, che nella specifica indicazione delle conclusioni rassegnate nell’atto di appello, non ha esplicitato alcun tipo di domanda nei confronti della odierna ricorrente. Medesima limitazione si riscontrerebbe nelle conclusioni dell’interveniente NOME COGNOME. Da ciò discenderebbe la legittima non costituzione in appello della ricorrente NOME COGNOME e per conseguenza il diritto di essere riammessa in termini per eccepire la maturata prescrizione, considerato che dal momento del preliminare (25 luglio 1996) sono decorsi 23 anni. Si deduce, inoltre, che alcun atto
interruttivo sarebbe stato legittimamente e validamente interposto dal COGNOME a decorrere dalla pronuncia di primo grado.
2.1. -Il motivo è infondato.
La domanda è stata proposta nei confronti di tutti i promittenti venditori e in appello gli stessi sono stati convenuti al fine della pronuncia di cui all’art. 2932 cod. civ. La parte promissaria acquirente si è impegnata a corrispondere il prezzo pattuito per tutte le quote, compresa quella di NOME COGNOME. Non sussiste pertanto alcuna ultrapetizione ma l’accoglimento della domanda così come formulata.
3. -Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) in riferimento all’art. 1346 cod. civ. che prescrive la possibilità, la liceità, la determinatezza o determinabilità dell’oggetto. I ricorrenti evidenziano che dalla visura catastale del 4.10.2006 risulta l’attuale identificativo catastale della particella n. 1031, particella ottenuta a seguito del frazionamento del 13.03.2006; quindi in data successiva alla sottoscrizione del preliminare di compravendita del 25.07.1996; alla data della sottoscrizione del preliminare, la particella oggetto della compravendita non era ancora esistente; da ciò la violazione della prescrizione di determinatezza e determinabilità contenuta nell’art. 1346 cod. civ. Nell’analizzare l’art. 1 del preliminare, si deduce che al momento della stipula si era fatto riferimento a una particella catastale diversa e più estesa dell’area promessa in vendita (la 1003/p), in assenza dell’indicazione di confinanti e di altri dati identificativi. Quindi, il principio della determinatezza o determinabilità dell’oggetto, costituito da bene immobile del genere di terreno agricolo, sarebbe stato rispettato solo allorquando avesse soddisfatto i requisiti indispensabili costituiti da
certificazione di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche e catastali riguardanti l’area interessata (Cass. Civ. 7079/95; Cass. Civ. 6201/95); inoltre, nella fattispecie, la determinazione del bene immobile, costituito da porzione di terreno, non potrebbe ritenersi soddisfatta dal mero richiamo di una piantina allegata al preliminare, anche in considerazione di vincoli ben definiti (atto d’obbligo nei confronti del Comune di Grottaferrata e prescrizione normativa di divieto di lottizzazione abusiva ex art. 30, comma 2, legge 380/2001). Pur indicando nella citazione l’oggetto del contratto nel terreno sito in Grottaferrata al fg. 3, p.lla 1031, nel preliminare si parla unicamente di “terreno agricolo della superficie reale misurata di mq 2.057” senza identificarne i confini; nell’allegata planimetria, vengono esposte particelle del tutto diverse dalla enunciata 1031; nella citazione si richiamerebbe un frazionamento mai depositato.
3.1. -Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha puntualmente motivato in relazione all’identificazione del bene sulla base delle risultanze istruttorie, per cui alcuna censura in punto di diritto può essere formulata in tal senso (indeterminatezza dell’oggetto del contratto di cu all’art. 1346 cod. civ.). I ricorrenti, invero, censurano la valutazione di merito, di cui chiedono un nuovo apprezzamento, non ammissibile in sede di legittimità. In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del
complesso istruttorio nel suo insieme (Cass., Sez. II, 23 aprile 2024, n. 10927).
4. -Con il quarto motivo di ricorso si deduce la nullità (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) in riferimento all’art. 1418 cod. civ. e all’art. 30 D.P.R. 380/2001 che sanziona la lottizzazione abusiva. A differenza di quanto esposto dal giudice di secondo grado, non sarebbe indispensabile la realizzazione di un fabbricato per l’ individuazione dello scopo edificatorio, essendo sufficiente la sola abusività della trasformazione urbanistica di un terreno, che per la sua estensione, la destinazione urbanistica e in rapporto ad elementi riferiti ai suoi acquirenti, denunci l’intento della destinazione a scopo edificatorio anche futura; nel caso in oggetto ci sarebbero tutti gli elementi per suffragare tale tesi (a) l’effettuazione di una vendita con il successivo frazionamento della particella interessata, eseguito a nome degli originari proprietari; b) il frazionamento da altra unità più estesa, di mq 36.028, con destinazione agricola e vincolata da atto d’obbligo; c) l’assenza in capo all’acquirente di qualifica agricola; d) l’insistenza in un contesto residenziale fornito di opere di urbanizzazione, anche per essere confinante con fabbricato oggetto di condono edilizio in sanatoria (proprietà NOME COGNOME); e) prezzo di vendita di molto superiore a quello di un terreno agricolo).
4.1. -Il motivo è infondato.
Ai fini del divieto di cui all’art. 30 del Testo unico in materia edilizia, la lottizzazione “negoziale” o “indiziaria” si connota per la necessità di ricercare la volontà di eludere le prescrizioni degli strumenti urbanistici e si configura solo quando il negozio sia accompagnato da un’ulteriore attività diretta all’inveramento dello scopo elusivo; pertanto, in caso di vendita di più lotti, con
caratteristiche e misure che ne consentano l’edificabilità in un lasso di tempo ragionevolmente compatibile con il progetto di lottizzazione negoziale, in presenza di previsioni contrattuali dirette a sopperire all’assenza di opere di urbanizzazione (quale, ad esempio, la costituzione di servitù), il giudice è tenuto a verificare se sussista l’ipotesi della lottizzazione negoziale sulla base del complessivo compendio indiziario (disvelato dagli elementi sintomatici individuati dettagliatamente dal cit. art. 30 e consistenti nella dimensione dello stacco alienato, in speciale relazione con la natura del terreno e con la sua destinazione urbanistica, nonché la previsione di opere di urbanizzazione), letto nella sua coesione interattiva, al fine di eventualmente coglierne il carattere univoco (Cass., Sez. II, 22 ottobre 2021, n. 29586).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha compiuto l’accertamento di fatto richiesto, giungendo ad escludere, sulla base delle risultanze istruttorie e alla luce della giurisprudenza di legittimità, l’univocità dell’ intento delle parti di trasformare urbanisticamente a scopo edificatorio il terreno in questione, sottolineando come lo stesso sia ubicato in un contesto non interessato da un fenomeno di vasta edificazione residenziale abusiva. Si tratta, dunque, di una valutazione di merito sottratta al sindacato di legittimità.
5. -Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.), in riferimento all’art. 1189 cod. civ. per malafede del promittente acquirente in ordine al pagamento dell’acconto prezzo a persona non delegata validamente; ovvero in relazione all’art. 1199 cod. civ. per difetto di prova certa sulla dazione delle somme a mezzo di apposita quietanza data certa. Si censura, al riguardo, la sentenza
nel punto in cui ha reputato idonei a costituire quietanza di pagamento i depositati assegni ed estratti bancari, poiché gli assegni intestati a NOME COGNOME, per lo più senza la prova di negoziazione, tratti da un c/c intestato a tale NOME COGNOME soggetto estraneo alla vicenda, sarebbero palesemente inidonei a costituire una valida quietanza di pagamento; pertanto, ferma la contestazione dell’avvenuto pagamento della parte di prezzo di cui si discute, ne discenderebbe l’incongruenza dell’offerta a saldo. I ricorrenti richiamano le norme sul mandato per affermare, nello specifico, che il mero conferimento del mandato all’incasso, privo di una procura o di delegazione, risulta sostanzialmente privo delle caratteristiche sufficienti affinché il mandatario possa assolvere l’incarico affidatogli di quietanzare e assolvere il debitore dall’obbligo della prestazione; conseguentemente, il COGNOME sarebbe ricaduto direttamente nella fattispecie prevista dall’art. 1189 cod. civ., avendo pagato alla COGNOME, la quale riscuoteva in forza di una delega non idonea, sia dal punto di vista attivo che dal punto di vista passivo, a sollevare dall’obbligo di pagamento, NOME COGNOME; posto peraltro che i promittenti creditori avevano separate e diverse ragioni di credito. Infine, il presunto mandato sarebbe stato ampiamente revocato per fatti concludenti, come eccepito, avendo i promittenti assunto posizioni diverse rispetto alla delega alla riscossione.
5.1. -Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha puntualmente evidenziato le ragioni in base alle quali ha ritenuto non condivisibile l’eccezione secondo cui non sarebbe stata fornita la prova della negoziazione degli assegni prodotti in giudizio (idoneità della prova del pagamento sulla base delle fotocopie gli assegni emessi dal COGNOME in favore di NOME COGNOME; riconoscimento dell’avvenuto pagamento degli acconti
alla luce delle comunicazioni provenienti da NOME COGNOME e NOME COGNOME; mancata eccezione in ordine all’avvenuto pagamento da parte di NOME COGNOME degli acconti convenuti). Anche con tale motivo i ricorrenti mirano a conseguire una inammissibile rivalutazione di quanto accertato in sede di merito.
6. -Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’ art. 91 cod. proc. civ. in riferimento al successivo art. 360, comma 1, n. 3, per aver liquidato a carico del ricorrente NOME COGNOME l’onere delle spese, per il I° ed il II° grado senza alcun riferimento alla tabella applicata in ordine alle prestazioni difensive di controparte; per aver omesso di considerare la disputabilità del principio di diritto accolto in primo grado e riformato in appello, in assenza di specifica notula e nonostante il rigetto della domanda risarcitoria: violazione del n. 5 del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. I ricorrenti deducono che la liquidazione delle spese effettuata sulla base del D.M. 55/2014 non sia conferente alle tabelle di calcolo riportate nello stesso decreto; quelle di primo grado sarebbero del tutto incomprensibili visto che l’importo liquidato non è corrispondente al calcolo tabellare per nessuna delle voci indicate nel dispositivo; mentre in merito alle spese del secondo grado di giudizio, le richieste istruttorie avanzate vengono rigettate in toto, di conseguenza le spese liquidate si dovrebbero ottenere dalla somma completa di tutte le fasi di giudizio esclusa quella istruttoria, ovvero fase di studio della controversia euro 2.430,00, fase introduttiva del giudizio euro 1.550,00, fase decisionale euro 4.050,00, per un totale di euro 8.030,00, come da tabella D.M. 55/14 tabella n. 12, scaglione 5°, valori medi; da ultimo, i ricorrenti ritengono opinabile il valore reale del giudicato che, date le numerose opposizioni e controversie sui dettagli dell’incasso, ovvero
del pagamento delle somme, incassate effettivamente da NOME COGNOME, riporterebbero il giudizio di secondo grado alla disposizione della sola rimanenza, che per dichiarazione dello stesso NOME COGNOME, sono da imputare al saldo prezzo corrispondente alla prestazione a favore dei promittenti, ovvero euro 11.362,05. La sentenza non avrebbe neppure valutato, pur avendone fatto espressa premessa, laddove ha riportato le conclusioni dell’appellante COGNOME, che in appello quest’ultimo con la riforma della sentenza del Tribunale aveva testualmente chiesto nelle conclusioni di “condannare in solido le parti convenute per le ragioni di cui in premessa al risarcimento dei danni subiti e subendi dall’istante per mancata disponibilità nella misura che sarà equitativamente determinata”. Tale domanda, però, è stata rigettata come si evince dalla motivazione resa. I ricorrenti, pur consapevoli dell’impossibilità di intervenire in sede di legittimità sulla non disposta compensazione almeno in parte delle spese di lite tra il ricorrente NOME COGNOME e l’appellante principale COGNOME COGNOME invocano la violazione del n. 5 del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ.
6.1. -Il motivo è inammissibile.
In materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e ciò vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo delle spese alla stregua del principio della cosiddetta
soccombenza virtuale (Cass., Sez. II, 24 aprile 2024, n. 11098; Cass., Sez. II, 31 agosto 2020, n. 18128).
Il motivo prospetta cumulativamente censure tra loro del tutto eterogenee, mescolandole e sovrapponendole in maniera inammissibile (Cass., Sez. IV, 6 febbraio 2024, n. 3397; Cass., Sez. I, 23 ottobre 2018, n. 26874), mentre nella sentenza non risulta violato il principio della soccombenza e i valori liquidati rientrano nei parametri della tabella.
Inoltre, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass., Sez. VI-3, 26 aprile 2019, n. 11329).
7. -Il ricorso principale va dunque rigettato, così come quello incidentale.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore di NOME COGNOME a carico dei ricorrenti principali.
Tra le altre parti le spese vengono integralmente compensate, stante la posizione marginale della ricorrente incidentale e della pronuncia in rito.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, di un importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; condanna i ricorrenti principali al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di NOME COGNOME che liquida in € 8.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Compensa tra le altre parti le spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione