Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29807 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29807 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18338/2024 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’AVV_NOTAIO, presso il cui domicilio digitale (EMAIL) elettivamente domiciliano.
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del suo procuratore speciale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrente –
e
BANCA MONTE DEI PASCHI DI RAGIONE_SOCIALE
–
intimata –
avverso la sentenza, n. cron. 512/2024, della CORTE DI APPELLO DI SALERNO depositata in data 04/06/2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
06/11/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1741/2023, il Tribunale di Nocera Inferiore, decidendo il giudizio promosso, ex art. 645 cod. proc. civ., da RAGIONE_SOCIALE e dal garante NOME COGNOME contro RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a.: i ) rigettò l’opposizione proposta da lla prima avverso il decreto ingiuntivo n. 919/2017, emanato sul ricorso spiegato dalla banca predetta per ottenere il pagamento della somma di € 322.946,66, oltre interessi moratori dal 14 settembre 2016 al soddisfo, in forza del contratto di fina nziamento agrario n. 2261047.74 dell’11 novembre 2010 ; ii ) accolse, invece, l’opposizione proposta dal secondo e, per l’effetto, revoc ò, nei suoi confronti, il menzionato decreto, ritenendo che la clausola di cui all’art. 6 della fideiussione prestata il 9 ottobre 2009, con la quale era stata concordata la deroga al disposto dell’art. 1957, comma 1, cod. civ., fosse nulla, unitamente a quelle contenute negli artt. 2 e 8, pe r violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a) , legge n. 287/1990.
2. Pronunciando sul gravame interposto avverso la descritta sentenza da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, qualificatasi cessionaria del credito vantato da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. , l’ adita Corte di appello di Salerno, con sentenza del 4 giugno 2024, n. 512, resa nel contraddittorio con NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE e nella contumacia di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, così dispose: « Accoglie l’appello e, per l’ effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta l’opposizione proposta da NOME avverso il decreto ingiuntivo n. 919/2017 del Tribunale di Nocera Inferiore; ».
In estrema sintesi, quella corte, in via pregiudiziale, disattese l’eccezione sollevata dal COGNOME in ordine alla carenza della titolarità del credito controverso in capo alla RAGIONE_SOCIALE Quanto al merito del gravame, invece, ritenne che l’eccezione di nullità della fideiussione rilasciata dal COGNOME in favore di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. il 9 ottobre 2009, sebbene ammissibile, potendo essere sollevata o rilevata d’ufficio anche in sede di appello, era priva di fondamento, atteso che, « come correttamente sostenuto dalla ‘RAGIONE_SOCIALE‘, quale mandataria della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, l’opponente, sebbene ne fosse onerato al fine di paralizzare la pretesa creditoria azionata dall’opposta, non ha comprovato la sussistenza de ll’illecito concorrenziale e, dunque, della condizione integrante la violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a), legge n. 287/1990 . Ed infatti, il provvedimento n. 55/2005 della RAGIONE_SOCIALE d’Italia, peraltro non prodotto in giudizio dal RAGIONE_SOCIALE, al pari dello schem a predisposto dall’RAGIONE_SOCIALE nel 2003, del quale la predetta Autorità RAGIONE_SOCIALE Vigilanza aveva stigmatizzato le clausole contenute negli artt. 2, 6 e 8 per contrasto con l’art. 2, comma 2, lett. a), legge n. 287/1990 nella misura in cui fossero state applicate in maniera uniforme, può costituire prova dell’esistenza dell’intesa anticoncorrenziale e della nullità delle fideiussioni che le riproducevano solo per l’arco temporale compreso tra l’ottobre 2002 e il maggio 2005, vale a dire per gli anni per i quali era sta to accertato l’illecito, ma non anche per il periodo successivo. Ne deriva che, al fine di eccepire la nullità delle clausole riportate negli artt. 2, 6 e 8 della fideiussione prestata il 9 ottobre 2009 per violazione della normativa antitrust , il RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto allegare e dimostrare l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale sorta dopo il provvedimento n. 55/2005 della RAGIONE_SOCIALE d’Italia ed anteriore o coeva al rilascio della garanzia personale che ne costituiva concreta attuazione . . In ogni caso, il COGNOME, al fine di suffragare l’eccezione di nullità della fideiussione prestata il 9 ottobre 2009 in favore della ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE.’, avrebbe dovuto dimostrare non solo che le clausole ivi contenute erano identiche a quelle recepite negli artt. 2, 6 e 8 dello schema predisposto dall’A.B.I. e censurate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia, ma anche che gli istituti di credito applicavano queste ultime disposizioni negoziali in maniera
uniforme, in tal modo restringendo o falsando l’ordinaria concorrenza nel mercato. . In realtà, il RAGIONE_SOCIALE non ha in alcun modo prospettato, né, tanto meno, comprovato che le clausole riportate negli artt. 2, 6 e 8 dello schema A.B.I. costituivano oggetto di una generalizzata ed uniforme applicazione da parte degli istituti di credito quale effetto diretto ed immediato di una raggiunta intesa anticoncorrenziale, né, peraltro, che a tale intesa anticoncorrenziale avesse partecipato ed aderito la ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, sicché risultano carenti i presupposti per ritenere affe tta da invalidità la garanzia personale prestata il 9 ottobre 2009 per assicurare l’adempimento delle obbligazioni contratte da ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ».
Per la cassazione di questa sentenza NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso affidandosi ad un motivo. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE, tramite la rappresentante RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), mentre è rimasta solo intimata RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Il 13/16 dicembre 2024, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del 10 gennaio 2025, il RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno chiesto la decisione del loro ricorso. Sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico formulato motivo di ricorso denuncia, in sintesi:
« Violazione e falsa applicazione dell’art. 58 del d.lgs. n. 385/1993, dell’art 2697 c.c. e degli artt. 110, 111 e 115 c.p.c. , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. per aver la Corte territoriale ritenuta comprovata la titolarità attiva del credito in favore di RAGIONE_SOCIALE in assenza di deposito del necessario contratto di cessione» . Si sostiene, in particolare, che, « in violazione di quanto disposto da granitica giurisprudenza di questa Corte, che ha distinto l’ipotesi in cui oggetto di contestazione è l’esistenza del contratto di cessione in sé, da quella in cui è negata solo l’inclusione del credito controverso tra quelli ceduti in blocco,
stabilendo che, ove il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti di cessione (come nel caso di specie), ai fini della relativa prova occorre la produzione in atti dell’atto negoziale, non essendo sufficiente quella della notificazione della detta cessione, la Corte territoriale ha ritenuto provata la titolarità attiva del credito pur senza la prova dell’esistenza del relativo contratto, mai depositato ».
Va rilevato, in primis , che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« 1. L’unico formulato motivo di ricorso si rivela inammissibile, atteso che la statuizione in tema di prova della legittimazione attiva collegata all’istituto della cessione in blocco di crediti cartolarizzati, contenuta nella sentenza impugnata, risulta in linea con i principi ripetutamente affermati da questa Corte di legittimità,
1.2. Invero, la corte distrettuale ha sostenuto, tra l’altro, che: i) «RAGIONE_SOCIALE, nel proporre appello per il tramite della mandataria RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), ha prodotto in giudizio sia la dichiarazione del 18 settembre 2023, con la quale la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a., litisconsorte necessaria nella presente controversia, confermava che il credito vantato nei confronti de RAGIONE_SOCIALE in virtù del contratto di finanziamento agrario n. 2261 047.74 dell’11 novembre 2010 rientrava nella cessione dei crediti in blocco stipulata il 20 dicembre 2017, sia l’avviso di tale operazione traslativa, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, parte seconda, n. 151 del 23 dicembre 2017, e riproduttivo delle loro caratteristiche identificative, in tal modo comprovando pienamente la titolarità attiva dell’obbligazione di pagamento per la quale era stato emanato l’opposto decreto ingiuntivo n. 919/2017»; ii) «In particolare, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, con dichiarazione del 18 settembre 2023, attestava, con riferimento alla posizione de RAGIONE_SOCIALE, contraddistinta con il codice cliente NUMERO_DOCUMENTO e con il numero del servizio Fidi e Garanzie NUMERO_DOCUMENTO, che ‘il credito vantato nei c onfronti della società RAGIONE_SOCIALE -p. iva P_IVA -è rientrato nell’operazione di cessione pro soluto di crediti e rapporti giuridici individuabili
in blocco -ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 4 della legge del 30 aprile 1999 n. 130 e dell’art. 58 del d.lgs. del 1° settembre 1993 n. 385, conclusa in data 20.12.2017 tra la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE‘, precisando che ‘tale cessione concerne le seguenti linee di credito: – RAGIONE_SOCIALEO SPECIALE FIL. 09316 RAP. 002261047; – CONTO CORRENTE FIL. 09316 RAP. 000013320; – EFFETTO A GARANZIA EFFETTO 00226104701′ e che di ‘detta cessione, ai sensi dell’art. 58, secondo comma, del sopra citato decreto legislativo, è stata data notizia mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, seconda parte, n. 151 del 23.12.2017′, sicché avallava in maniera decisiva (cfr. Cass. ord. 16 aprile 2021, n. 10200) sia l’ esistenza del contratto di cessione del 20 dicembre 2017, sia l’inclusione nei crediti ceduti di quello derivante dal contratto di finanziamento n. 2261047.74 stipulato l’11 novembre 2010 presso la filiale n. 09316, AG. n. 1, di Pagani, e garantito dalla cambiale agraria n. 226104701»; iii) «La dichiarazione resa dalla RAGIONE_SOCIALE il 18 settembre 2023 e l’avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, parte seconda, n. 151 del 23 dicembre RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 58 d.lgs. n. 385/1993, singolarmente e congiuntamente valutati, costituiscono elementi documentali idonei a dimostrare, con ogni evidenza, l’intervenuto acquisto, da parte della RAGIONE_SOCIALE, del diritto controverso».
1.3. La giurisprudenza di questa Corte -cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 28790 del 2024; Cass. n. 3405 del 2024, Cass. n. 17944 del 2023 -ha chiarito che, in tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ove il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente quella della notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 58 del citato d.lgs., dovendo il giudice procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell’ambito del quale la citata notificazione può rivestire, peraltro, un valore indiziario, specialmente allorquando avvenuta su iniziativa della parte cedente.
1.3.1. Sul punto, infatti, giova ricordare che, in linea generale, ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 cod. civ., quanto meno nel caso in cui sul punto il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata; tale principio valendo, ovviamente, in qualunque forma sia avvenuta la cessione e in qualunque forma sia avvenuta la relativa notificazione da parte del cessionario al ceduto (così, espressamente, la già citata Cass. n. 17944 del 2023), e dunque, almeno di regola, anche se la cessione sia avvenuta nell’ambito di un’operazione di cessione di crediti individuabili in blocco da parte di istituti bancari a tanto autorizzati e la notizia della cessione sia eventualmente stata data dalla banca cessionaria mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B.
1.4. Le medesime pronunce hanno spiegato che risulta certamente condivisibile, in diritto, quanto già espressamente e ripetutamente affermato in vari precedenti di questa Corte in cui si era precisato che «una cosa è l’avviso della cessione necessario ai fini dell’efficacia della cessione un’altra la prova dell’esistenza di un contratto di cessione e del suo contenuto; di conseguenza la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma, se individua il contenuto del contratto di cessione, non prova l’esistenza di quest’ultima» (così espressamente Cass. n. 22151 del 2019; Cass. n. 5997 del 2006). Pertanto, occorre tenere presente, da un lato, che la prova della cessione di un credito non è, di regola, soggetta a particolari vincoli di forma e, dunque, la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 17944 del 2023); dall’altro, che opera, certamente, in proposito, il principio di non contestazione. È necessario, tuttavia, sempre tenere distinta la questione della prova dell’esistenza della cessione (e, più in gener ale, della
fattispecie traslativa della titolarità del credito) dalla questione della prova dell’inclusione di un determinato credito nel novero di quelli oggetto di una operazione di cessione di crediti individuabili in blocco, ai sensi dell’art. 58 T.U.B. Ne consegue che, in caso di cessione di crediti individuabili in blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B., quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessi one dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, pertanto, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristich e concrete (così ancora le già menzionate Cass. n. 28790 del 2024 e Cass., n. 17944 del 2023. In tal senso vedasi anche Cass. n. 9412 del 2023). Diverso è, invece, il caso in cui (come verificatosi anche nel caso di specie) sia oggetto di specifica contestazione da parte del debitore ceduto la stessa esistenza del contratto (ovvero dei vari contratti) di cessione: in tale ipotesi, detto contratto deve essere certamente oggetto di prova e, a tal fine, come sopra chiarito, di regola non può ritenersi sufficiente una mera dichiarazione della parte cessionaria e, dunque, come tale, neanche la mera ‘notificazione’ della cessione da questa effettuata al debitore ceduto, neanche se tale notificazione sia avvenuta mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B., dalla società cessionaria di rapporti giuridici individuabili in blocco. Ciò non esclude, tuttavia, che «tale avviso, unitamente ad altri elementi, possa eventualmente essere valutato come indizio dal giudice del merito, sulla base di adeguata motivazione, al fine di pervenire alla prova presuntiva della cessione: ciò potrebbe avvenire, ad esempio, nel caso in cui l’avviso risulti pubblicato su iniziativa della stessa banca cedente o di quest’ultima unitamente alla società ces sionaria, ovvero quando vi siano altre particolari ragioni che inducano a ritenerlo un elemento che faccia
effettivamente presumere l’effettiva esistenza della dedotta cessione» (così, sempre Cass., n. 17944 del 2023).
1.4.1. Sul punto, però, va puntualizzato che, in tali casi (ed anche nella vicenda qui in esame), la questione si risolve in un accertamento di fatto da effettuare in base alla valutazione delle prove da parte del giudice del merito (ricordandosi pure che, secondo Cass. n. 10200 del 2021, «la dichiarazione del cedente notiziata dal cessionario intimante al debitore ceduto con la produzione in giudizio, al pari della disponibilità del titolo esecutivo, era un elemento documentale rilevante»): e detto accertamento, se sostenuto da adeguata motivazione, non potrà essere più sindacabile in sede di legittimità, per lo meno nei termini qui avanzati dalla parte ricorrente, che ha declinato, invero, vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge e non già, nel modo appropriato, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
1.5. Tanto premesso, gli argomenti utilizzati dalla corte territoriale per argomentare sia l’affermata sussistenza della legittimazione attiva ( rectius: titolarità attiva del credito azionato) della società appellante, qualificatasi cessionaria del credito azionato, sia l’essere ricompreso nella cessione in favore di quest’ultima anche detto credito, risultano, allora, conformi ai principi sopra ricordati e qui convintamente riaffermati.
1.6. I ricorrenti insistono oggi nel sostenere l’inadeguatezza della documentazione legittimamente prodotta dall’appellante contestualmente all’impugnazione innanzi alla corte distrettuale (ivi essendosi costituita per la prima volta e lì essendo stata sollevata, peraltro solo dal RAGIONE_SOCIALE, la contestazione oggi ribadita) a dimostrare la legittimazione predetta: documentazione, ritenuta, invece, dalla medesima corte idonea «a dimostrare, con ogni evidenza, l’intervenuto acquisto, da parte della RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE, del diritto controverso». Essi mostrano, così, di mirare ad ottenere, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione, sul punto, di quanto sancito dal giudice di merito, totalmente dimenticando, però, che: i) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo
giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 27522, 16541, 13408, 11299, 10033 e 9014 del 2023; Cass. nn. 35041 e 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, «in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa»); ii) il compito di questa Corte non è quello di condividere, o meno, la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), anche se la parte ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (cfr. Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come
imposto dall’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, come reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 8353 del 2023; Cass. n. 11176 del 2017).
1.6.1. In altri termini, i ricorrenti incorrono nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, anche processuale, dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, – come ripetutamente chiarito da questa Corte, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 cod. proc. civ. può porsi solo allorché la parte ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 25376, 19371, 17201, 11069 e 5375 del 2024; Cass. nn. 35782, 16303, 11299 e 28385 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che «è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.»). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016).
1.6.2. In definitiva, la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda
fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr. Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 cod. proc. civ., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), peraltro, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020): il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (cfr. Cass. n. 11176 del 2017). Né potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 10712, 16118, 19423 e 27328 del 2024) ».
Il Collegio reputa affatto condivisibile tali conclusioni, che, pertanto, ribadisce interamente, in quanto conformi anche alla successiva giurisprudenza di questa Corte pronunciatasi sui medesimi profili sostanziali e processuali rimarcati nella descritta proposta.
Rileva, inoltre, che, nella propria memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. del 21 ottobre 2025 vengono invocate pronunce di questa Corte (Cass. nn. 23852, 23849, 17310 e 16666 del 2025) ritenute espressione di un indirizzo ermeneutico asseritamente contrario a quello richiamato nella menzionata proposta in tema di prova da fornirsi dal cessionario di crediti in blocco ex art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993.
In realtà, un’attenta lettura delle motivazioni di quegli arresti dimostra chiaramente come, diversamente da quanto opinato dal COGNOME, anche in quelle sedi, si siano ribaditi principi, affatto analoghi, a quelli richiamati dalla giurisprudenza citata dal consigliere delegato nella sua proposta ex art. 380bis cod. proc. civ.
Il tutto, peraltro, non senza dimenticare che, in ogni caso, quella proposta ha dato atto di un accertamento di fatto compiuto dalla corte distrettuale, evidentemente qui non ulteriormente sindacabile.
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE deve essere dichiarato inammissibile, restando a loro carico, in via solidale, le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.
4.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024). Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’ del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni p er discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), i ricorrenti suddetti, vanno condannati, in solido tra loro, nei confronti della costituitasi controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 7.000,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 –
che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, e li condanna al pagamento, in solido tra loro, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna i medesimi ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento della somma di € 7.000,00 in favore della costituitasi controricorrente e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 6 novembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME