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Cessione contratto di lavoro: quando è legittima?

Un lavoratore impugna il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sostenendo che facesse parte di un licenziamento collettivo mascherato dalla cessione del contratto di lavoro dei suoi colleghi. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, chiarendo che la cessione del contratto di lavoro, se accettata dal dipendente, non costituisce un licenziamento e quindi non concorre a raggiungere la soglia numerica per la procedura collettiva. La decisione sottolinea la validità di tale strumento in caso di esternalizzazione di attività aziendali.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Cessione del Contratto di Lavoro: Legittima Alternativa al Licenziamento?

La cessione del contratto di lavoro rappresenta uno strumento cruciale nelle riorganizzazioni aziendali, ma solleva spesso interrogativi sulla sua legittimità, specialmente quando si intreccia con i licenziamenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti fondamentali, distinguendo nettamente tra un trasferimento consensuale del rapporto e un recesso unilaterale. Il caso analizzato riguarda un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo dopo aver rifiutato il passaggio a una nuova azienda appaltatrice, a differenza dei suoi colleghi che avevano accettato. Esaminiamo i fatti e la decisione della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore della moda decideva di esternalizzare le proprie attività di logistica e magazzino. A tal fine, proponeva a tutti i dipendenti del reparto, incluso un magazziniere/autista, una cessione del contratto di lavoro verso la nuova società appaltatrice. L’offerta prevedeva il mantenimento dell’anzianità di servizio e delle condizioni economiche, con l’unica variazione relativa al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicato.

Tutti i lavoratori accettarono la proposta, tranne uno. Quest’ultimo, rifiutando il trasferimento, veniva licenziato per giustificato motivo oggettivo, a causa della soppressione della sua posizione lavorativa in seguito all’esternalizzazione. Il lavoratore impugnava il licenziamento, sostenendo che si trattasse di un licenziamento collettivo mascherato, poiché, a suo dire, le cessioni dei contratti dei colleghi dovevano essere conteggiate come recessi per raggiungere la soglia numerica prevista dalla legge.

La Decisione nei Gradi di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano le richieste del lavoratore. I giudici di merito stabilivano che non vi era stata alcuna violazione della normativa sui licenziamenti collettivi (Legge n. 223/91). La Corte territoriale, in particolare, evidenziava che si era in presenza di un licenziamento individuale, poiché i rapporti di lavoro degli altri dipendenti non erano cessati, ma erano proseguiti senza soluzione di continuità con la società appaltatrice tramite una cessione volontaria e consapevole dei loro contratti.

Le Motivazioni della Cassazione sulla cessione del contratto di lavoro

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito. Le motivazioni della Suprema Corte sono cruciali per comprendere la distinzione tra diverse forme di trasferimento del rapporto di lavoro.

1. Validità della Cessione del Contratto: La Corte ha ribadito che la cessione del contratto di lavoro ai sensi dell’art. 1406 del codice civile è pienamente configurabile, a condizione che vi sia il consenso del lavoratore. Questo meccanismo si differenzia nettamente dal trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c.), dove il passaggio dei rapporti di lavoro è automatico e non richiede il consenso dei dipendenti.

2. La Cessione non è un Licenziamento: Punto centrale della decisione è che la cessione consensuale del contratto non costituisce una cessazione del rapporto di lavoro. Al contrario, ne assicura la continuità, sebbene con un datore di lavoro diverso. Di conseguenza, i contratti trasferiti dei colleghi del ricorrente non potevano essere conteggiati come licenziamenti ai fini del raggiungimento della soglia di 5 dipendenti richiesta per attivare la procedura di licenziamento collettivo.

3. Inammissibilità per Genericità: La Corte ha inoltre bacchettato il ricorrente per la genericità e la mancanza di specificità del suo ricorso. L’appello non indicava chiaramente le norme violate né argomentava in modo puntuale perché la decisione della Corte d’Appello fosse errata in diritto. Tentava, invece, di ottenere un riesame dei fatti (come la presunta mancanza di un consenso libero e informato dei colleghi), operazione preclusa in sede di legittimità.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione consolida un principio di fondamentale importanza pratica: in un contesto di esternalizzazione di servizi, la proposta di cessione del contratto di lavoro ai dipendenti è una via legittima per garantire la continuità occupazionale. Se l’offerta è valida e il lavoratore la accetta liberamente, il rapporto prosegue con il nuovo soggetto. Il rifiuto di una tale offerta, tuttavia, può esporre il lavoratore al rischio di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora la sua posizione lavorativa venga effettivamente soppressa a seguito della riorganizzazione. La decisione funge anche da monito sull’importanza di redigere ricorsi per cassazione tecnicamente precisi e focalizzati esclusivamente su questioni di diritto, pena l’inammissibilità.

La cessione del contratto di un lavoratore a un’altra azienda è considerata un licenziamento?
No, secondo la Corte di Cassazione, se il lavoratore fornisce il proprio consenso, la cessione del contratto di lavoro non è un licenziamento ma una continuazione del rapporto di lavoro con un nuovo datore. Pertanto, non viene conteggiata ai fini della procedura di licenziamento collettivo.

Cosa succede se un lavoratore rifiuta la proposta di cessione del contratto durante un’esternalizzazione?
Se un lavoratore rifiuta una legittima offerta di cessione del contratto e la sua posizione lavorativa viene soppressa a causa della riorganizzazione aziendale, può essere legittimamente licenziato per giustificato motivo oggettivo.

Perché il ricorso del lavoratore è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile principalmente per la sua genericità. Non specificava in modo chiaro e puntuale quali norme di legge fossero state violate dalla sentenza impugnata e tentava di ottenere un riesame dei fatti, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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