Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8151 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8151 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15578-2023 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1945/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/05/2023 R.G.N. 2607/2022;
Oggetto
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
R.G.N. 15578/2023
COGNOME
Rep.
Ud.07/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Napoli rigettava il reclamo proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale di Napoli Nord n. 4169/2022 che aveva respinto la sua opposizione all’ordinanza del medesimo Tribunale, che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, pure aveva rigettato la sua impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimatogli, in data 6.8.2019, dalla RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale riteneva privo di fondamento il motivo di reclamo, con il quale il lavoratore reiterava in primis l’assunto difensivo in ordine all’illegittimità/inefficacia del recesso datoriale per violazione della legge n. 223/91, già disatteso dal Tribunale sia nella fase sommaria che nella successiva fase di opposizione.
2.1. La Corte, infatti, considerava che, nella fattispecie concreta, non si ravvisava alcuna violazione della disciplina di cui alla citata legge, non venendo in rilievo una procedura di licenziamento collettivo, ma un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, a nulla rilevando il numero dei dipendenti addetti al magazzino di Caivano-Pascarola, a cui era addetto in qualità di magazziniere/autista anche l’impugnante, oggetto di soppressione in seguito all’esternalizzazione mediante contrat to di appalto dell’attività di logistica e stoccaggio merci.
Inoltre, la Corte osservava che non poteva che ritenersi che l’operazione di esternalizzazione dell’attività del magazzino risultasse del tutto legittima, in quanto la scelta della società di appaltare a terzi le attività in essere presso l’unità produt tiva di Caivano, cui era addetto lo COGNOME, costituiva espressione della libertà di iniziativa economica privata, rispondente ad una esigenza di riorganizzazione aziendale al fine di una più economica gestione dell’attività di stoccaggio.
3.1. Osservava, ancora, che nella proposta di passaggio, senza esclusione di continuità, dei dipendenti alla società appaltatrice, accettata dai lavoratori colleghi dello Strevella, gli stessi avevano operato una scelta, nella consapevolezza delle conseguenze proprie di ciascuna delle opzioni esistenti, e non si ravvisavano alcuna violazione di norme di legge o negozi in frode alla legge al fine di aggirare la normativa sui licenziamenti collettivi, né tanto meno un abuso di tutela di un diritto.
3.2. Rilevava la Corte d’appello che nel caso concreto vi era stata una cessione dei contratti di lavoro dei dipendenti addetti alla sede di stoccaggio e magazzino, la cui attività era stata esternalizzata, liberamente e consapevolmente accettata dagli stessi, che avrebbero potuto rifiutare, come aveva fatto l’impugnante, a condizioni che non risultavano affatto peggiorative atteso che l’unica modifica atteneva al CCNL applicato, e pertanto non vi era stata alcuna cessazione del loro rapporto di lavoro (neppure consensuale), che era invece continuato con l’appaltatrice, da considerare ai fini voluti dall’impugnante.
Riteneva la Corte che infondatamente il reclamante sosteneva che la sentenza non aveva offerto alcuna motivazione in ordine alla violazione dell’art. 2112 c.c., norma inderogabile,
mentre il giudice aveva osservato che, nella fattispecie concreta, si era trattato, come risultava dagli atti, di un appalto di servizi e non di un trasferimento di azienda; notando, peraltro, che il reclamante nulla obiettava a quanto considerato dal primo giudice circa il fatto che le conclusioni del ricorso di prime cure non facevano alcun riferimento a tale violazione.
Infine, la Corte territoriale respingeva anche l’ultima generica censura circa la dedotta violazione dell’obbligo di repechage.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimata ha resistito con controricorso e successiva memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 1406 codice civile (cessione del contratto individuale di lavoro)’. Denuncia ‘che dopo le due fasi del primo grado ed all’esito del secondo grado del giudizio, resta n on esaminato, né giudicato, innanzitutto, l’elemento fondamentale su cui si regge la fattispecie e l’intera vicenda processuale: l’applicabilità, rectius , l’inapplicabilità ai rapporti di lavoro, e segnatamente ai contratti individuali di lavoro subordinat o, dell’art. 1406 Cod. Civ. e sulle conseguenze della relativa pronuncia, laddove l’esclusione è assorbente di ogn’altra deduzione ed eccezione’. Deduce che: ‘L’omissione della Corte d’Appello, consistente nel non aver individuato, nella disamina della fattispecie concreta, la preclusione dirimente dell’intera materia del contendere in relazione alla dedotta non applicabilità dell’art. 1406 Cod. Civ. in materia di contratto di
lavoro, omissione che ha portato il Collegio a soffermandosi solo sulla seconda parte del ragionamento, vale a dire sull’insussistenza del dato numerico apparente (almeno 5 dipendenti), sulla non violazione della disciplina collettiva dei licenziamenti trattandosi di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo a nulla rilevando il numero dei dipendenti (oltre 20) addetti al magazzino della convenuta in Caivano/Pascarola a cui era addetto in qualità di magazziniere/autista anche il lavoratore, oggetto di soppressione in seguito all’esternalizzazione mediante contratto di appalto dell’attività di logistica e stoccaggio merci’.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione/errata interpretazione della normativa sui licenziamenti collettivi’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione dell’onere probatorio in relazione al ‘repechage’; erronea interpretazione/applicazione dell’abuso di diritto/posizione dominante’.
All’esposizione dei motivi di ricorso è premesso che essi sono ‘A) in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’ (cfr. pag. 12 del ricorso).
Ritiene il Collegio che i sopra riassunti motivi siano inammissibili.
Secondo questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui si intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella
sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (così, per tutte, Cass., sez. un., 28.10.2020, n. 23745).
11. Ebbene, scrutinando il primo motivo di ricorso rispetto a tali principi di diritto, osserva il Collegio che il ricorrente per cassazione addebita alla Corte distrettuale un’omissione (non di pronuncia su un motivo di reclamo, in ipotesi da far valere ex art. 112 c.p.c., denunciando la nullità della sentenza ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c., e neppure circa l’esame di un fatto decisivo e controverso ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c.); omissione, denunciata esclusivamente in chiave di violazione e falsa applicazione di norme di diritto art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. (come già evidenziato), ‘consistente nel non aver individuato, nella disamina della fattispecie concreta, la preclusione dirimente dell’intera materia del contendere in relaz ione alla dedotta non applicabilità dell’art. 1406 Cod. Civ. in materia di contratto di lavoro’.
11.1. Premette, allora, il Collegio che la Corte di merito ha subito rilevato, tra l’altro, che: ‘Il licenziamento collettivo richiede almeno cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni, mentre nel caso di specie vi sono stati solo due licenziamenti, quel lo dell’attuale reclamante e di un altro lavoratore (COGNOME), i rapporti di lavoro degli altri addetti al magazzino non sono cessati essendovi stata la cessione, ex art. 1406 c.c. (cfr. la documentazione in atti), del loro rapporto di lavoro alla RAGIONE_SOCIALE società consortile con il riconoscimento
dell’anzianità pregressa (è cambiato solo il CCNL applicato), la cessione del contratto di lavoro è stata offerta anche allo COGNOME che non ha inteso accettarla’ (così a pag. 2).
11.2. Come riportato in narrativa, in seguito la stessa Corte ha specificato che nel caso concreto vi era ‘stata una cessione dei contratti di lavoro dei dipendenti addetti alla sede di stoccaggio e magazzino -la cui attività è stata esternalizzata -liberamente e consapevolmente accettata dagli stessi, a condizioni che non risultano affatto peggiorative, perché effettuata con salvezza di anzianità e condizioni economiche raggiunte (come emerge dai contratti degli altri colleghi in atti), con l’unica modif ica del CCNL applicato, RAGIONE_SOCIALE invece che RAGIONE_SOCIALE, e sul punto sono generiche le deduzioni dello Strevella sulle condizioni più sfavorevoli del primo rispetto al secondo posseduto. Pertanto, non vi è stata alcuna cessazione del loro rapporto di lavoro che è invece continuato con l’appaltatrice’ (così a pag. 4).
Nota ora il Collegio che alla non perspicua censura del ricorrente è sottesa l’idea che la pretesa violazione della disciplina dei licenziamenti collettivi ex lege n. 223/1991 deriverebbe dal dato che nel novero dei recessi da considerare a tal fine dovrebbero essere conteggiati (non solo gli unici due licenziamenti individuali constatati dai giudici di merito, ma) anche i rapporti lavorativi rispetto ai quali vi erano state le cessioni dei contratti individuali perché l’art. 1406 c.c. non sarebbe stato nella specie applicabile; il che sarebbe da accertare incidenter tantum in questo giudizio rispetto a rapporti contrattuali cui è estraneo l’attuale ricorrente.
Tanto considerato, il primo motivo difetta dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione.
13.1. Il ricorrente, infatti, neppure specifica in quali precisi termini avesse posto alla Corte d’appello nell’atto di reclamo la questione della (così a pag. 9 del ricorso).
Contrariamente a quanto ora sembra asserire il ricorrente, è certamente configurabile la cessione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 1406 c.c. (cfr., a mero titolo esemplificativo, Cass., sez. lav., 24.2.2020, n. 4870); ed anzi questa Corte di legittimità più frequentemente ha evidenziato che la previsione della continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario ex art. 2112 c.c. in caso di trasferimento d’azienda costituisce una deroga a quello che è previsto in termini generali appunto dal l’art. 1406 c.c. che richiede, invece, il consenso del contraente ceduto (anche del lavoratore) (cfr., a mero titolo esemplificativo, Cass. n. 12442/2020).
14.1. Comunque, a prescindere da come la questione attualmente posta fosse stata devoluta alla Corte di merito, rileva il Collegio che lo stesso ricorrente descrive ondivagamente quanto genericamente ciò che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare sul terreno giuridico: in limine , come si è visto, parla di ‘inapplicabilità ai rapporti di lavoro, e segnatamente ai contratti individuali di lavoro subordinato’, dell’art. 1406 c.c.; successivamente, asserisce che (così a pag. 15 del ricorso); ancor dopo, più latamente discorre di illegittimità della ‘cessione’ (v. pag. 17 dell’atto).
14.2. Inoltre, tuttora non chiarisce il ricorrente come il ‘vizio’ che avrebbe attinto tutte le cessioni dei contratti individuali di lavoro che avevano riguardato i suoi colleghi potesse portare ad equiparare sul piano giuridico dette cessioni ad altrettanti recessi tali da raggiungere la soglia numerica rispetto alla quale doveva essere percorsa la strada del licenziamento collettivo ex lege n. 223/1991.
Rispetto, poi, all’art. 1406 c.c., ossia, l’unica norma di legge della quale il ricorrente assume la violazione e, nel contempo, la falsa applicazione nel primo motivo, evidenzia il Collegio che la Corte territoriale aveva constatato che i colleghi del l’attuale ricorrente avevano ‘liberamente e consapevolmente’ accettato la cessione che aveva riguardato ognuno di essi, così escludendo anche ipotetici vizi del consenso, vizi che peraltro solo quei diretti interessati avrebbero potuto far valere in chiave di annullamento (e non di nullità) di dette cessioni.
Infine, dev’essere osservato che l’incerta prospettazione giuridica del ricorrente si fonda anche su deduzioni che non trovano alcun riscontro nell’accertamento fattuale operato dalla Corte di merito, quando si assume che ‘è inesistente -e comunque non provata -la libera e consapevole determinazione della volontà dei lavoratori; è certa, per contro, l’inammissibile introduzione di variazioni al contratto individuale ceduto e la conseguente nullità’ (così a pag. 15 del ricorso); o quando si sostiene che la stessa Corte non avrebbe rilevato alcuno dei numerosi elementi indicati in ricorso (cfr. in extenso pagg. 16-17), senza peraltro -come già notato -fare ricorso in proposito giusta l’ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c.
Per analoghe ragioni, è inammissibile anche il secondo motivo, in cui si addebita alla Corte di merito ‘un’errata interpretazione della normativa sui licenziamenti collettivi’, essenzialmente riferendo una ‘prospettazione del ricorrente in ricorso intr oduttivo della prima fase’, che, a sua volta, si sarebbe fondata su una nutrita serie di disposizioni normative (cfr. pag. 18 del ricorso), ma senza specificare quale parte di motivazione o affermazioni della Corte d’appello s’intende così censurare e perché.
E lo stesso è a dirsi per il terzo motivo, il quale -in disparte la mancata specificazione delle norme in tema di onere della prova in relazione al repechage -si fonda in realtà, non già sull’assunto che la Corte di merito avrebbe posto a carico del lavoratore un onere probatorio incombente sulla controparte, ma sull’asserzione che una serie di circostanze sarebbero non vere o non provate (cfr. pag. 19 del ricorso).
Il ricorrente, per tal modo, propone una propria rilettura delle risultanze processuali a riguardo, diversa da quella senz’altro operata dalla Corte d’appello anche su questo aspetto della controversia (cfr. pagg. 45 dell’impugnata sentenza).
Il ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 7.11.2024.