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Cessazione materia del contendere: l’accordo che estingue

Una società e il suo legale rappresentante hanno citato in giudizio un istituto di credito per la presunta nullità di clausole su interessi e commissioni. Dopo aver perso in primo e secondo grado per mancata produzione dei contratti, le parti hanno raggiunto un accordo durante il ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, rendendo inefficace la sentenza d’appello e stabilendo che, in questi casi, non si applica il raddoppio del contributo unificato.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Cessazione Materia del Contendere: Cosa Succede se le Parti si Accordano in Cassazione?

Un accordo tra le parti può porre fine a una causa anche quando questa è giunta all’ultimo grado di giudizio. In questi casi, si parla di cessazione della materia del contendere, un istituto processuale che ha importanti conseguenze sulle sentenze già emesse e sugli obblighi delle parti. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce gli effetti di un accordo transattivo raggiunto durante il giudizio di legittimità, offrendo spunti fondamentali sulla sorte della sentenza impugnata e sul pagamento del contributo unificato.

I Fatti del Caso: Una Controversia Bancaria

La vicenda nasce dalla richiesta di una cliente (una società e la sua legale rappresentante) nei confronti di un istituto di credito. La cliente chiedeva la restituzione di somme che riteneva indebitamente versate su due conti correnti, a causa della presunta nullità di clausole relative a interessi ultralegali, usura, commissioni e spese non dovute.

Il Tribunale, in primo grado, aveva rigettato la domanda. Successivamente, la Corte d’Appello aveva confermato la decisione, sottolineando una carenza fondamentale: la parte attrice non aveva prodotto in giudizio i contratti bancari contenenti le clausole di cui lamentava la nullità. Secondo i giudici di merito, questa mancanza non poteva essere colmata né tramite una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) né con un ordine di esibizione dei documenti, poiché l’onere della prova gravava interamente sulla parte che aveva iniziato la causa.

Di fronte a questa doppia sconfitta, la cliente ha proposto ricorso per Cassazione, mentre la banca ha risposto con un controricorso e un ricorso incidentale. Tuttavia, prima che la Suprema Corte potesse pronunciarsi, le parti hanno raggiunto un accordo stragiudiziale, risolvendo la controversia e chiedendo la compensazione delle spese legali.

La Decisione della Cassazione e la Cessazione Materia del Contendere

Preso atto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, la Corte di Cassazione ha dichiarato la cessazione della materia del contendere. Questa dichiarazione non è una semplice archiviazione del caso, ma una pronuncia con effetti giuridici precisi. La Corte ha stabilito che l’accordo tra le parti fa venir meno l’interesse a una decisione sul merito del ricorso, portando all’estinzione del giudizio.

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato inefficace la sentenza della Corte d’Appello che era stata impugnata e ha compensato integralmente le spese del giudizio di Cassazione, come richiesto congiuntamente dalle parti nel loro accordo.

La questione del raddoppio del contributo unificato

Un punto cruciale affrontato dall’ordinanza riguarda il cosiddetto ‘raddoppio del contributo unificato’, una sanzione prevista quando un ricorso viene respinto, dichiarato inammissibile o improcedibile. La Corte ha chiarito che, nel caso di cessazione della materia del contendere, questa sanzione non si applica. La ragione è logica e giuridicamente fondata: la cessazione del contendere non equivale a una conferma della sentenza impugnata, ma, al contrario, ne determina la ‘caducazione’, ovvero la perdita di efficacia. Poiché la sentenza precedente viene di fatto annullata dall’accordo tra le parti, mancano i presupposti per applicare la sanzione del raddoppio.

Le Motivazioni della Corte

La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale, richiamato esplicitamente nell’ordinanza (in particolare Sez. U, n. 8980 del 11.4.2018). Secondo la Suprema Corte, quando le parti definiscono la lite con un accordo, la situazione non rientra in nessuna delle tipiche decisioni di rigetto o inammissibilità. Si verifica invece un venir meno dell’oggetto stesso del giudizio. La Corte non deve più stabilire chi ha torto o ragione, ma solo prendere atto che la controversia è stata risolta privatamente.

Questa presa d’atto comporta la perdita di efficacia di tutte le precedenti pronunce giudiziarie, perché l’accordo negoziale tra le parti si sostituisce ad esse nel regolare i loro rapporti. Pertanto, dichiarare la cessazione del contendere è l’unico esito processuale corretto. La motivazione relativa al mancato raddoppio del contributo unificato discende direttamente da questo principio: se la sentenza impugnata perde efficacia, non può esserci alcuna ‘sanzione’ per un’impugnazione che, di fatto, non viene giudicata nel merito.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche dell’Accordo in Corso di Causa

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, conferma che un accordo transattivo è sempre possibile, anche nelle fasi più avanzate di un contenzioso, e rappresenta uno strumento efficace per chiudere definitivamente una lite. In secondo luogo, chiarisce un aspetto economico non trascurabile: la parte che ha impugnato una sentenza non rischia la sanzione del raddoppio del contributo unificato se la causa si estingue per un accordo. Questo può incentivare le parti a cercare soluzioni conciliative, sapendo che l’esito non comporterà ulteriori oneri processuali. La decisione riafferma la prevalenza della volontà delle parti nel risolvere le proprie controversie, riconoscendo all’accordo transattivo la forza di superare e rendere inefficaci le pronunce dei giudici.

Cosa succede a una causa se le parti raggiungono un accordo mentre è pendente in Cassazione?
La Corte di Cassazione dichiara la ‘cessazione della materia del contendere’. Questo significa che il processo si estingue perché è venuto meno l’interesse delle parti a ottenere una decisione dal giudice.

La dichiarazione di cessazione della materia del contendere che effetto ha sulla sentenza precedente, ad esempio quella della Corte d’Appello?
La sentenza impugnata diventa inefficace. L’accordo transattivo tra le parti la ‘svuota’ di ogni effetto, poiché sono le parti stesse a regolare i loro rapporti in modo nuovo e definitivo, sostituendosi alla decisione del giudice.

In caso di cessazione della materia del contendere, la parte che ha presentato il ricorso deve pagare il ‘raddoppio del contributo unificato’?
No. La Corte ha chiarito che il raddoppio del contributo unificato si applica solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso. Poiché la cessazione del contendere non conferma ma, anzi, rende inefficace la sentenza precedente, non sussistono i presupposti per applicare questa sanzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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