SENTENZA TRIBUNALE DI ROMA N. 9141 2025 – N. R.G. 00013326 2025 DEPOSITO MINUTA 22 09 2025 PUBBLICAZIONE 22 09 2025
TRIBUNALE DI ROMA SEZIONE II LAVORO REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice, dott.ssa NOME COGNOME udita la discussione orale delle parti, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 13326/2025 R.G. controversie lavoro promossa
da
, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME per procura allegata al ricorso,
RICORRENTE
contro
in persona del legale rappresentante pro-tempore , rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura generale alle liti per atto Notaio dell’1/8/2024,
RESISTENTE
OGGETTO: malattia professionale.
CONCLUSIONI: per le parti, dichiarare cessata la materia del contendere.
FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di ricorso depositato in forma telematica il 9/4/2025 la ricorrente in epigrafe, premesso che l’ aveva riconosciuto l’origine professionale delle patologie da lei sofferte, riconoscendo il suo diritto ad una rendita vitalizia, in cumulo, nella misura del 95% e che, successivamente, sottopostala a visita di revisione il 6/2/2024, le aveva comunicato la diminuzione della percentuale di rendita riconosciuta in cumulo dal 95% al 62%, impugnava la nuova valutazione dell’ , domandando di accertare e dichiarare la maggiore percentuale di danni permanenti a lei residuati, in misura da accertarsi, comunque superiore al 62%.
Ritualmente instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio l’ contestando la fondatezza della domanda e, nel contempo, domandando disporsi congruo rinvio per consentire all’ di completare gli accertamenti medico -legali e concludere la fase amministrativa con la valutazione finale delle due malattie professionali.
Concesso il chiesto rinvio, l’ documentava che la visita collegiale del 3/9/2025 riconosceva nella ricorrente un danno biologico nella misura complessiva del 70%, con riconoscimento del danno psichico collegato alla condizione oncologica.
All’odierna udienza, le parti dichiaravano cessata la materia del contendere, parte ricorrente insistendo per il favore delle spese di lite.
Così ricostruito l’iter processuale, conformemente alla concorde richiesta delle parti, va dichiarata cessata la materia del contendere.
2.1 Com’è noto, la cessazione della materia del contendere, pur essendo una formula ormai entrata nel linguaggio comune e ripetutamente adoperata dalla giurisprudenza -tanto che in dottrina si è parlato di enucleazione di un vero e proprio istituto processuale di cui la giurisprudenza della Cassazione ha forgiato i contorni -non è in alcun modo prevista dal codice di procedura civile, essendo il suddetto istituto contemplato unicamente nel processo amministrativo dall’art. 23, ultimo comma, della legge n. 1034/1971 istitutiva dei T.A.R., a norma del quale se entro il termine previsto per la fissazione dell’udienza l’amministrazione annulla o riforma l’atto impugnato in modo conforme all’istanza del ricorrente, il T.A.R. deve dare atto della cessata materia del contendere e provvedere sulle spese.
Al fine di individuare i presupposti per la corretta ammissibilità dell’istituto anche nel processo civile, la Suprema Corte ha condivisibilmente ritenuto che ‘la cessazione della materia del contendere, che costituisce il riflesso processuale del venire meno della ragion d’essere sostanziale della lite, per la sopravvenienza di un fatto suscettibile di privare le parti di ogni interesse a proseguire il giudizio, in tanto può essere dichiarata, in quanto i contendenti si diano reciprocamente atto dell’intervenuto mutamento della situazione revocata in controversia e sottopongano al giudice conclusioni conformi, intese a sollecitare l’adozione di una declaratoria della cessazione cennata’ (cfr., da ultimo, Cass. 15 marzo 2005, n. 5607).
Invero, l’interesse ad agire, sancito dall’art. 100 c.p.c., consiste nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, la verifica della cui esistenza si risolve nel quesito se l’istante possa conseguire attraverso il processo il risultato che si è ripromesso, a prescindere dall’esame del merito della controversia e della stessa ammissibilità della domanda sotto altri e diversi profili (cfr. Cass. 20 gennaio 1998, n. 486).
Tale interesse deve sussistere al momento in cui il giudice pronuncia la
decisione ed il suo difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, in quanto esso costituisce, quale condizione o presupposto processuale dell’azione, un requisito per l’esame del merito della domanda (cfr. Cass. 7 giugno 1999, n. 5593).
Gli eventi idonei a determinare la cessazione della materia del contendere possono essere di natura variegata, tanto di tipo fattuale, quanto discendenti da atti posti in essere dalla volontà di una o di entrambe le parti.
In particolare, in materia di contenzioso ordinario, la cessazione della materia del contendere è stata riscontrata, di volta in volta, nell’integrale adempimento o, più in generale, nel completo soddisfacimento della pretesa dell’attore; nel riconoscimento dell’avversa pretesa; nella successione di leggi; nello scioglimento consensuale del contratto di cui è stata chiesta la risoluzione per inadempimento; nella morte di uno dei coniugi nel processo di separazione personale; nella transazione stipulata tra le parti dopo l’inizio del processo.
A ben guardare, le varie ipotesi enucleate nella prassi applicativa presentano un minimo comune denominatore, consistente nella circostanza che sia venuto meno l’interesse delle parti medesime ad una decisione sulla domanda giudiziale, come proposta o come venuta ad evolversi nel corso del giudizio, sulla base di attività dalle parti stesse poste in essere nelle varie fasi processuali per le più diverse ragioni, o di eventi incidenti sulle parti in conseguenza della natura personalissima ed intrasmissibile della posizione soggettiva dedotta, in ordine ai quali -anche se enunciati o risultanti dagli atti -non viene chiesto al giudice alcun accertamento, diverso da quello del venir meno dell’interesse alla pronuncia (cfr., ex plurimis, Cass.. S.U. 18/5/2000, n. 368, Cass., S.U., 28/9/2000, n. 1048, Cass. 25/7/2002, n. 10977).
2.2 È questo, esattamente, il caso verificatosi nel presente giudizio, nel quale l’ ha documentato che in esito alla visita collegiale del 3/9/2025 è stata rivalutata la percentuale di danno biologico riconosciuto alla ricorrente, in misura superiore al 62%, pari in effetti al 70%.
All’odierna udienza la parte ricorrente ha riconosciuto la cessazione della materia del contendere, non avendo interesse ad impugnare la valutazione collegiale dell’ .
In tal modo, è stata interamente soddisfatta la pretesa azionata nel presente giudizio, sicché è venuto meno l’interesse sostanziale alla decisione.
L’esito complessivo del giudizio giustifica la condanna dell’ alla refusione a parte ricorrente delle spese di lite, con distrazione in favore del procuratore, dichiaratosi antistatario.
Secondo l’insegnamento anche recentemente ribadito della Corte di legittimità, dal quale non sussistono ragioni per discostarsi, ‘ai fini del regolamento delle spese del processo civile, la ‘soccombenza’ costituisce un’applicazione del principio di causalità, che vuole non esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione
delle norme di diritto sostanziale) abbia provocato la necessità del processo’ (cfr., Cass. 26.06.2009, n. 15199, Cass. n. 9080 e 9081 del 16.04.2009).
Nel caso di specie, la valutazione collegiale del 3/9/2025, sopravvenuta nelle more del giudizio, ha confermato che il danno biologico residuato in capo alla ricorrente, per le patologie sofferte è, in effetti, superiore alla percentuale del 62%, oggetto di impugnazione con il presente ricorso.
Del tutto legittimamente, pertanto, la parte ricorrente aveva introdotto il presente giudizio, onde ottenere la tutela dei propri diritti.
3.1 Quanto alla misura delle spese, le stesse vanno liquidate in ossequio ai parametri indicati nelle tabelle allegate al D.M. n. 147/2022, con riguardo allo scaglione di valore della causa.
P.Q.M.
Uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando, dichiara cessata la materia del contendere.
Condanna l’ alla refusione delle spese di lite, che liquida in complessivi € 1.865, oltre rimborso forfettario spese generali, Iva e c.p.a., come per legge, da distrarsi nei confronti del procuratore antistatario.
Roma, 22/09/2025
Il Giudice NOME COGNOME