Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31540 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 31540 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/12/2024
trattazione in pubblica udienza.
Con istanza congiunta depositata il 18.7.2024 le parti hanno chiesto che sia dichiarata cessata la materia del contendere per intervenuto accordo transattivo, con compensazione integrale delle spese di lite.
Il Procuratore Generale ha concluso in conformità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 2043, degli artt. 156 e segg. l.d.a., dell’art. 14 Direttiva 2000/31 CE e dell’art. 16 d.lgs. 70/2003 per avere la Corte d’Appello riconosciuto, ai fini di dichiararne la responsabilità, la veste di hosting provider attivo in capo alla ricorrente, quantunque ciò postuli un’attività manipolativa dei contenuti che nella specie, come già in altra occasione accertato in sede di merito in relazione ad elementi di fatto molto simili, non avrebbe dovuto essere ravvisata, non alterando le attività dispiegate nell’occasione dalla ricorrente il ruolo di mera ricettrice passiva dei contenuti ospitati.
Con il secondo, il terzo ed il sesto motivo di ricorso si lamentano rispettivamente la violazione dell’art. 2043 cod. civ., degli artt. 156 e segg. l.d.a., dell’art. 14 Direttiva 2000/31 CE e dell’art. 16 d.lgs. 70/2003, degli artt. 156 e segg. l.d.a., degli artt. 14 e 15 Direttiva 2000/31 CE e degli artt. 16 e 17 d.lgs. 70/2003 ed ancora dell’art. 158 l.d.a. e 2043 cod. civ. per aver la Corte d’Appello dichiarato la responsabilità di essa ricorrente in relazione agli eventi di causa sul presupposto della mancata adozione delle misure idonee ad evitare che nella pubblicazione di video ad opera dei destinatari del servizio fosse violato il diritto di autore, quantunque in tal senso nessun obbligo di tal fatta fosse previsto dalle norme richiamate, non si potesse ritenere operante a carico della ricorrente un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti oggetto di pubblicazione e non fosse riscontrabile alcuna colpa in capo alla stessa.
Con il quarto motivo ed il settimo motivo di ricorso si lamentano rispettivamente la violazione dell’art. 2043, degli artt. 158 e segg. l.d.a., degli artt. 14 e 15 Direttiva 2000/31 CE e degli artt. 16 e 17 d.lgs. 70/2003 e la violazione dell’art. 158 l.d.a. e degli artt. 1127 e
2056 cod. civ. per aver la Corte d’Appello ritenuto, nell’ordine, sussistente l’obbligo della ricorrente di procedere alla rimozione dei contenuti non autorizzati a seguito della comunicazione in tal senso fattale pervenire da RAGIONE_SOCIALE, quantunque questa non fosse corredata degli elementi idonei a consentirne l’identificazione ed, in particolare, non fosse accompagnata dall’indicazione dell’URL, profilo in relazione al quale la ricorrente chiede che, a mezzo di rinvio pregiudiziale, si sottoponga alla Corte di Giustizia UE la questione se ai fini della sussistenza dell’obbligo in parola sia consentito di interpretare la Direttiva 2000/31 CE nel senso che una segnalazione contenente i soli titoli commerciali relativi ad una molteplicità di opere protette sia idonea a determinarne la conoscenza in capo al prestatore del servizio e l’insorgenza del conseguente obbligo di rimozione; ed ancora, confermando anche in parte qua le determinazioni del primo giudice, sussistente il danno risarcibile nella misura decretata appunto dal primo giudice senza valutare previamente il concorso di colpa del preteso danneggiato che, se avesse fornito tutti gli URL relativi ai contenuti non autorizzati, non avrebbe sofferto i danni oggetto di liquidazione.
5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 156 e segg. l.d.a., degli artt. 14 e 15 Direttiva 2000/31 CE e degli artt. 16 e 17 d.lgs. 70/2003 per aver la Corte d’Appello, confermando la determinazione adottata in primo grado circa il pagamento da parte di essa ricorrente di una penale in caso di rinnovata pubblicazione non autorizzata di contenuti mediatici di provenienza RTI, imposto al prestatore del servizio un obbligo di vigilanza generalizzato estraneo al quadro di diritto e più volte stigmatizzato dalla giurisprudenza unionale.
Lo scrutinio dei motivi di ricorso è precluso dalla definizione bonaria della controversia, di cui i difensori hanno concordemente dato atto.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. U, 11/04/2018, n. 8980) hanno chiarito che, ove nel corso del giudizio di legittimità le parti dichiarino che è intervenuta una definizione della controversia con un accordo convenzionale e che la materia del contendere è stata da esso regolata, la Corte deve dichiarare cessata la materia del contendere, con conseguente venire meno dell’efficacia della sentenza impugnata, non essendo la situazione inquadrabile in una delle tipologie di decisione indicate dagli artt. 382, comma 3, 383 e 384 cod. proc. civ.
Si è spiegato che la situazione non si presta ad essere incasellata nella tipologia della cassazione senza rinvio di cui all’art. 382, comma 3, cod. proc. civ. in quanto, se è vero che la cessazione della materia del contendere ha l’effetto di rendere non necessaria la prosecuzione del processo ed impone la sua definizione, quella norma allude alla constatazione di una causa che impediva la prosecuzione del processo, di natura anteriore ad essa, verificatasi nei gradi di merito, e non ad un evento sopravvenuto rispetto alla pronuncia della sentenza assoggettata a ricorso per cassazione; né nella formula decisoria dell’art. 384 cod. proc. civ., che presuppone che la sentenza venga cassata e, dunque previo scrutinio del ricorso, che invece la cessazione della materia del contendere preclude.
Le Sezioni Unite hanno, inoltre, rilevato che la definizione della lite in esito all’accordo negoziale e, quindi, la conseguente cessazione della materia del contendere, non può neppure considerarsi «come situazione che evidenzia un disinteresse sopravvenuto delle parti per la decisione sul ricorso e, quindi, una inammissibilità sopravvenuta del ricorso», posto che le parti non chiedono un esame dei motivi del
ricorso, ma danno atto che sulla controversia devoluta alla Corte è intervenuto un accordo negoziale. Conseguentemente la pronuncia che la Corte è sollecitata ad adottare non può essere una pronuncia di inammissibilità sopravvenuta del ricorso, perché essa lascerebbe in essere la sentenza impugnata, ma piuttosto una pronuncia di cessazione della materia del contendere per intervenuto accordo negoziale. Tale dichiarazione implica «la constatazione dell’automatica perdita di efficacia della sentenza impugnata, atteso che le parti, regolando con l’accordo negoziale la vicenda, hanno inteso affidare esclusivamente ad esso la sua disciplina, così rinunciando a valersi di detta efficacia» e «il fenomeno che si verifica non è una “cassazione” della sentenza impugnata, bensì l’accertamento che la sua efficacia è venuta meno per effetto dell’accordo negoziale delle parti, perché con esso le parti ne hanno disposto».
Nel caso in esame, i difensori delle parti hanno dichiarato alla Corte che è intervenuta una definizione della controversia con un accordo negoziale e che la materia del contendere è stata da esso regolata e su di esso è cessata la lite e non vi è, pertanto, bisogno di una decisione sul contenuto del ricorso e sulle difese svolte nel controricorso, ma di una decisione che dia atto della definizione in tal senso intervenuta.
Conclusivamente, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
Le spese del presente giudizio di legittimità, in considerazione dell’intervenuto accordo e in conformità a quanto richiesto dalle parti, devono essere integralmente compensate.
10, Come chiarito dalle Sezioni Unite, il giudice dell’impugnazione deve rendere l’attestazione della sussistenza del presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato di cui all’art. 13,
comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 quando la pronuncia adottata è inquadrabile nei tipi previsti dalla norma (integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione), mentre non è tenuto a dare atto dell’insussistenza di tale presupposto quando la pronuncia non rientra in alcuna di suddette fattispecie (Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315)
P.Q.M.
La Corte dichiara cessata la materia del contendere per intervenuto accordo negoziale fra le parti determinativo del venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il 30.10.2024.
Il Relatore Il Presidente Dott. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME