Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9779 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9779 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 949/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente del Consiglio di gestione p.t., rappresentata e difesa dal Prof. Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente p.t., in qualità di ente incorporante il RAGIONE_SOCIALE Avezzano, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del Prof. Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
ENTE D’AMBITO TERRITORIALE OTTIMALE MARSICANO -A.T.O. 2 -AUTO-
RITA’ D’AMBITO TERRITORIALE N. 2 MARSICANO;
-intimato – avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 1453/18, depositata il 25 luglio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio il RAGIONE_SOCIALE Avezzano, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 778/08, emesso il 19 novembre 2008, con cui il Tribunale di Avezzano le aveva intimato il pagamento della somma di Euro 419.763,23, oltre interessi, a titolo di ratei insoluti del corrispettivo dovuto per l’anno 2007 in virtù della convenzione stipulata il 7 dicembre 2001, con cui il Consorzio le aveva affidato in comodato d’uso oneroso il servizio idrico, di fognatura e depurazione e la gestione dell’acquedotto di Balzone.
A sostegno dell’opposizione, la CAM eccepì a) la perdita da parte del CSI della qualità di proprietario delle opere idriche e titolare del servizio idrico, per effetto della legge della Regione Abruzzo 13 gennaio 1997, n. 2 e dell’art. 141 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, b) la nullità sopravvenuta della convenzione, per effetto dell’entrata in vigore del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, c) la cessazione automatica della convenzione al 31 dicembre 2006, ai sensi dell’art. 113, comma 15bis , del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, d) in subordine, l’inapplicabilità del tasso d’interessi di cui al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231. Chiamò inoltre in causa l’A.T.O. n. 2 Marsicano, in qualità di titolare delle funzioni di gestione del servizio idrico e proprietario delle relative opere, chiedendone, in caso di accoglimento della domanda proposta dal CSI, la condanna al risarcimento dei danni subìti per il tardivo affidamento della gestione gratuita del servizio idrico integrato, ai sensi dell’art. 153 del d.lgs. n. 267 del 2000.
Si costituì il CSI, e resistette all’opposizione, chiedendone il rigetto. Si costituì inoltre l’ATO n. 2, ed eccepì la spettanza della controversia alla
giurisdizione del Giudice amministrativo o del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, nonché l’inammissibilità e infondatezza della domanda.
1.1. Con sentenza del 3 luglio 2013, il Tribunale di Avezzano accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo, ritenendo che l’efficacia del contratto fosse automaticamente cessata il 31 dicembre 2006, ai sensi dell’art. 113, comma 15bis , del d.lgs. n. 267 del 2000.
L’impugnazione proposta dal CSI è stata accolta dalla Corte d’appello di L’Aquila, che con sentenza del 25 luglio 2018 ha condannato la CAM al pagamento della somma di Euro 419.916,64, oltre interessi legali, dichiarando inammissibile la domanda proposta dal CSI nei confronti dell’ATO n. 2 ed assorbito l’appello incidentale da quest’ultimo proposto.
A fondamento della decisione, la Corte ha escluso che la convenzione fosse divenuta inefficace ai sensi dell’art. 113, comma 15bis , del d.lgs. n. 267 del 2000, non applicabile al CSI, in quanto esercente un’attività di rilevanza economica e qualificabile come ente pubblico economico, aperto anche alla partecipazione di soggetti privati; ha precisato comunque che l’inefficacia sarebbe sopravvenuta soltanto il 31 dicembre 2007, per effetto della modificazione dell’art. 113, comma 15bis cit. disposta dal d.l. n. 223 del 2006, con la conseguenza che la convenzione era rimasta efficace per tutto l’anno 2007.
Ha ritenuto invece tardiva, in quanto qualificabile come eccezione d’incompetenza e sollevata dal CSI soltanto nella memoria successiva alla costituzione in giudizio dell’ATO n. 2, la deduzione della spettanza della controversia alla cognizione del TRAP.
Premesso inoltre che erano rimasti incontestati sia l’esistenza della convenzione che l’attinenza della domanda ai ratei dovuti per l’anno 2007, la Corte ha escluso che la convenzione fosse venuta meno per effetto dell’entrata in vigore della legge regionale n. 2 del 1997 e del d.lgs. n. 152 del 2006, subordinata all’emanazione di un piano attuativo, all’epoca dei fatti non ancora approvato, e comunque inidoneo ad incidere sul rapporto privatistico intercorrente tra le parti. Ha ritenuto altresì inapplicabile il d.l. n. 223 del 2006, riguardante i soggetti pubblici o partecipati da enti pubblici che stipulano contratti con soggetti terzi per lo svolgimento di attività di supporto alle funzioni amministrative interne dell’ente.
Quanto poi alla misura degl’interessi, ha escluso l’applicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002, in quanto non riferibile ai contratti conclusi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, ed ha ritenuto pertanto applicabile il tasso legale.
Ha ritenuto infine inammissibile la chiamata in causa dell’ATO n. 2, in quanto effettuata direttamente dall’opponente, avente la posizione di convenuto in senso sostanziale, senza l’autorizzazione del Giudice, la cui mancanza non poteva ritenersi sanata dalla costituzione in giudizio del terzo.
Avverso la predetta sentenza la CAM ha proposto ricorso per cassazione, articolato in nove motivi, illustrati anche con memoria. Ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, l’A.R.A.P. -Agenzia Regionale delle Attività Produttive, in qualità di avente causa del CSI, da essa incorporato. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia in ordine alla questione, da essa sollevata in comparsa conclusionale ma fondata su elementi già acquisiti al giudizio, riguardante la nullità della convenzione allegata a sostegno della domanda, per illiceità della causa e contrarietà alla norma imperativa di cui all’art. 17 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1418, primo e secondo comma, e 1421 cod. civ., osservando che la contrarietà della convenzione all’art. 17 del r.d. n. 1775 del 1933 trovava conferma nella sentenza n. 39/15, emessa il 23 gennaio 2015, con cui il Tribunale di Avezzano aveva accertato che il prelievo di acque dai pozzi situati in località INDIRIZZO di Trasacco era stato effettuato dal CSI e dalla CAM in assenza di un provvedimento autorizzativo, ed aveva confermato le sanzioni irrogate dal competente ufficio della Regione. Sostiene che la pattuizione di un comodato d’uso oneroso si poneva a sua volta in contrasto con gli artt. 143 e 153 del d.lgs. n. 152 del 2006, che, nel prevedere la natura demaniale delle fognature, degl’impianti di depurazione e delle infrastrutture idriche di proprietà pubblica, stabiliscono espressamente la gratuità della relativa concessione,
escludendo quindi il pagamento di un canone da parte del concessionario, il quale s’impegna ad erogare il servizio ed a riscuotere la tariffa, a copertura dei propri costi. Aggiunge che la gratuità della concessione emergeva anche dalla normativa regionale, la quale, nel recepire quella nazionale, ribadisce la natura demaniale delle infrastrutture idriche, prevedendo uno schema tipo di concessione d’uso gratuito e la stipulazione di nuove convenzioni con l’autorità d’ambito territoriale. Precisato infine che, proprio in virtù della predetta disciplina, l’8 gennaio 2007 è stata stipulata una nuova convenzione tra essa ricorrente e l’ATO n. 2, afferma che il Comitato di Vigilanza sull’uso delle Risorse Idriche costituito presso il Ministero dell’ambiente, nel pronunciarsi in ordine alla sorte delle convenzioni stipulate in data anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, ha ritenuto che la previsione di un canone di concessione fosse illegittima anche sotto la vigenza della legge 5 gennaio 1994, n. 36.
Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 113, comma 15bis , del d.lgs. n. 267 del 2000, sostenendo che, nell’escludere l’applicabilità di tale disposizione al CSI, la sentenza impugnata non ha considerato che lo stesso si estende a tutti i servizi locali, indipendentemente dal soggetto che li eroga. Premesso che tale estensione trova conferma nel d.l. n. 223 del 2006, che nel prorogare al 31 dicembre 2007 la validità delle precedenti convenzioni, si riferisce espressamente al servizio idrico integrato, osserva che il CSI, pur essendo un ente pubblico economico costituito in forma di consorzio con la partecipazione di enti pubblici locali e potendo svolgere un’attività di rilevanza economica, è stato delegato alla gestione del servizio idrico integrato.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 113, comma 15bis , del d.lgs. n. 267 del 2000, rilevando che, nel dare atto della proroga della convenzione al 31 dicembre 2007, la sentenza impugnata non ha considerato che, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, l’ATO n. 2, delegato alla gestione delle infrastrutture e delle reti idriche, aveva scelto, con delibera n. 8 del 12 maggio 2006, di affidare la gestione del servizio idrico integrato ad una società a capitale interamente pubblico, con la formula dell’ in house providing , stipulando la
nuova convenzione con essa ricorrente.
Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1372 cod. civ., sostenendo che, nell’escludere l’incidenza della normativa sopravvenuta sulla convenzione precedentemente stipulata, in quanto avente natura negoziale, la sentenza impugnata non ha considerato che, pur avendo ad oggetto un comodato d’uso, la stessa era annoverabile tra i contratti pubblici, riguardando beni del demanio pubblico, essendo stata stipulata da consorzi costituiti da enti pubblici, e disciplinando la gestione del servizio idrico integrato, con la conseguenza che la sua stipulazione doveva ritenersi assoggettata alle regole dell’evidenza pubblica.
Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1322 cod. civ. e degli artt. 143 e 153 del d.lgs. n. 152 del 2006, rilevando che, anche a volerla inquadrare tra i contratti privati, la convenzione doveva considerarsi soggetta agli effetti della normativa sopravvenuta, che, in quanto espressione di interessi generali, ben poteva incidere sui rapporti contrattuali in atto, assoggettandoli al rispetto della normativa in materia di contratti pubblici.
Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, osservando che, nell’escludere l’applicabilità di tale disposizione, in quanto riguardante soggetti pubblici o partecipati da enti pubblici che stipulano contratti con soggetti terzi per lo svolgimento di attività di supporto alle funzioni amministrative interne allo ente, la sentenza impugnata non ha considerato che tra gli stessi sono compresi anche quei soggetti che svolgono, direttamente o indirettamente, attività amministrative per loro natura rivolte al pubblico, in modo tale da evitare che tali soggetti si intromettano nel gioco della concorrenza, alterandolo.
Con l’ottavo motivo, la ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 1256, 1372, 1803 e 1899 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che il trasferimento all’ATO n. 2 della titolarità dei beni concessi in comodato d’uso potesse incidere sulla validità e l’efficacia della convenzione, senza tenere conto della stipulazione della nuova convenzione con l’ATO n. 2. Premesso che il predetto trasferimento, privando il CSI del potere di fatto sui
beni, aveva reso impossibile l’adempimento della prestazione prevista dalla precedente convenzione, incidendo quindi sul sinallagma del comodato, sostiene che quest’ultimo è stato sostituito dal rapporto derivante dalla nuova convenzione, con la conseguente estinzione dell’obbligazione gravante su essa ricorrente. Afferma l’irrilevanza, a tal fine, della successione di essa ricorrente in tutti i rapporti interessanti il servizio idrico integrato, prevista dalla originaria convenzione, giacché, come accertato in altri giudizi dal TRAP e dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, la stessa non costituiva un titolo idoneo a legittimare la derivazione delle acque dalle infrastrutture in questione.
9. Con il nono motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 106, 269 e 645 cod. proc. civ., riconoscendo che, nel dichiarare inammissibile la chiamata in causa dell’ATO n. 2, per difetto di autorizzazione del Giudice, la Corte territoriale ha fatto applicazione di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ma sollecitandone la rimeditazione. Sostiene infatti che, in quanto ispirato ad una concezione impugnatoria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, tale orientamento non tiene conto dell’avvenuto superamento di tale concezione in favore del riconoscimento della natura ordinaria del predetto giudizio e della posizione sostanziale di convenuto spettante all’opponente, nonché dell’allungamento dei tempi d’introduzione del giudizio conseguente all’applicazione dell’art. 269 cod. proc. civ. e della ratio di tale disposizione, che, in quanto consistente nel consentire il differimento della prima udienza, al fine di garantire il rispetto dei termini di comparizione, non è riferibile al giudizio in questione.
10. Così riassunte le censure proposte dalla ricorrente, è inammissibile il primo motivo, avente ad oggetto l’omessa pronuncia in ordine all’eccezione di nullità della convenzione stipulata tra le parti.
Il vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ. è infatti configurabile soltanto nel caso in cui la sentenza di appello abbia omesso di pronunciare in ordine a un motivo di gravame, una domanda o un’eccezione rimessi all’iniziativa della parte e la cui proposizione o riproposizione abbia avuto luogo ritualmente, e non anche nel caso in cui sia stato omesso l’esame di una questione rilevabile
d’ufficio (cfr. Cass., Sez. Un., 11/01/2008, n. 578; Cass., Sez. III, 6/06/2002, n. 8220). Esso non ricorre pertanto nel caso in cui, come nella specie, il giudice di appello abbia omesso di rilevare d’ufficio la nullità di un contratto, tardivamente eccepita dalla parte in comparsa conclusionale, essendo tale vizio deducibile in sede di legittimità non già come error in procedendo , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 112 cod. proc. civ., bensì come error in judicando , ai sensi del n. 3 dell’art. 360 cit., per violazione delle norme che prevedono la rilevabilità d’ufficio della questione (cfr. Cass., Sez. III, 11/11/ 2020, n. 25298; 9/05/2019, n. 12259).
11. Il secondo motivo, con cui la questione di nullità viene riproposta in riferimento agli artt. 1418 e 1421 cod. civ., è anch’esso inammissibile, per difetto di specificità, nella parte concernente la contrarietà della convenzione all’art. 17 del r.d. n. 1775 del 1933.
A sostegno di tale censura, la ricorrente invoca una sentenza del Tribunale di Avezzano che, nel pronunciare in ordine all’opposizione proposta congiuntamente dal CSI e dalla CAM avverso una sanzione amministrativa irrogata dal competente ufficio regionale per derivazione di acqua pubblica senza concessione, ha rigettato la domanda, accertando la mancanza del provvedimento autorizzatorio e confermando quindi la responsabilità solidale della società e del Consorzio, nelle qualità rispettivamente di gestore dell’impianto e di titolare dell’acquedotto: non è stato tuttavia precisato in quale grado ed in quale fase del giudizio di merito tale sentenza sia stata prodotta, essendosi la ricorrente limitata ad affermare di aver sollevato l’eccezione di nullità nella comparsa conclusionale depositata in sede di gravame, con la conseguenza che non vi è alcuna certezza in ordine alla rituale introduzione nel giudizio del documento da cui emergeva il vizio lamentato.
Com’è noto, infatti, la nullità del contratto per violazione di norme imperative, costituendo oggetto di un’eccezione in senso lato, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, a condizione però che i relativi presupposti di fatto, anche se non specificamente dedotti della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie (cfr. Cass., Sez. III, 23/02/2024, n. 4867; Cass., Sez. lav., 23/11/ 2021, n. 36353). Nella specie, pertanto, la nullità della convenzione, pur es-
sendo deducibile anche nella comparsa conclusionale depositata in grado di appello, avrebbe potuto essere rilevata e dichiarata soltanto a condizione che la sentenza recante l’accertamento del mancato rilascio della concessione di derivazione di acqua pubblica fosse stata prodotta entro i termini di cui all’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.
11.1. Nella parte concernente la contrarietà della convenzione all’art. 153, comma primo, del d.lgs. n. 152 del 2006, il motivo è invece infondato.
In proposito, la ricorrente richiama due pareri emessi dal Comitato per la Vigilanza sull’uso delle Risorse Idriche il 3 giugno 2008 e il 27 aprile 2011, secondo cui il principio della gratuità della concessione d’uso delle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali in favore dei gestori del servizio idrico integrato, previsto dalla predetta disposizione, trova applicazione non solo alle concessioni rilasciate o rinnovate dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, ma anche a quelle anteriori, risultando già dalla disciplina dettata dalla legge n. 36 del 1994. Tale opinione (ritenuta condivisibile anche dal Giudice amministrativo, sia pure senza una specifica motivazione: cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17/01/2019, n. 423; 16/05/2017, n. 2320), muove dalla considerazione che l’art. 12, comma primo, della legge n. 36 cit., nel disporre che «le opere, gli impianti e le canalizzazioni relativi ai servizi di cui all’art. 4, comma 1, lett. f) , di proprietà degli enti locali o affidati in dotazione o in esercizio ad aziende speciali e a consorzi, salvo diverse disposizioni della convenzione, sono affidati in concessione al soggetto gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare», non faceva alcun cenno alla necessità di un corrispettivo, per affermare che tale omissione costituiva indice della volontà del legislatore di escludere il canone per l’utilizzazione dei beni dalla lista dei costi che potevano essere posti a carico del concessionario.
In senso contrario si è peraltro pronunciato il Giudice delle leggi, il quale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 153, comma primo, del d.lgs. n. 152 del 2006, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., ha escluso che tale disposizione possa essere interpretata nel senso di estendere la gratuità della convenzione anche agli affidamenti già in essere alla data della sua entrata in vigore, osservando che il riferimento al conte-
nuto della convenzione e del disciplinare di affidamento al gestore del servizio idrico integrato, contenuto nel medesimo articolo, rende evidente la volontà del legislatore di limitarne l’applicabilità alle sole concessioni nuove o rinnovate, ovverosia ai nuovi affidamenti regolati dall’art. 172, comma secondo (cfr. Corte cost., sent. n. 246 del 2009; ord. n. 144 del 2010). Tale affermazione non trova smentita, per quanto riguarda la Regione Abruzzo, nella disciplina dettata dalla legge regionale n. 2 del 1997, la quale, nel demandare alla Giunta regionale l’approvazione di una convenzione-tipo per la gestione del servizio idrico integrato e del relativo disciplinare, si limitava a richiamare l’art. 11 della legge n. 36 del 1994 ed il d.P.C.m. 4 marzo 1996, n. 47, che non prevedevano affatto la gratuità delle concessioni rilasciate ai gestori, in linea di principio non incompatibile con la natura demaniale delle infrastrutture, prevedendo a sua volta solo la gratuità dell’assegnazione in uso o in comodato agli enti d’ambito delle opere, degl’impianti e delle canalizzazioni di proprietà degli enti locali o di enti pubblici o affidati in dotazione o in esercizio ad aziende speciali ed ai consorzi (art. 8, comma quarto). Inconferente appare infine il richiamo della difesa della ricorrente alla delibera della Giunta regionale n. 979 del 28 agosto 2006, con cui sono stati approvati lo schema della nuova convenzione-tipo e il relativo disciplinare per la gestione del servizio idrico integrato, nonché alla nuova convenzione stipulata dalla CAM con l’ATO n. 2, trattandosi di atti posti in essere in attuazione della nuova disciplina introdotta dal d.lgs. n. 152 del 2006, e quindi non riferibili alla fattispecie in esame, riconducibile alla convenzione stipulata con il CSI sotto la vigenza della precedente normativa.
12. Il terzo motivo, riguardante la cessazione dell’efficacia della convenzione al 31 dicembre 2006, per effetto dell’art. 113, comma 15bis , del d.lgs. n. 267 del 2000, è inammissibile, mentre il quarto, da esaminarsi congiuntamente, in quanto avente il medesimo oggetto, è infondato.
La predetta disposizione (nel testo introdotto dall’art. 14, comma primo, lett. h) , del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e modificato dall’art. 4, comma 234, lett. b) , della legge 24 dicembre 2003, n. 350), la quale prevedeva che le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessassero entro
e non oltre la data del 31 dicembre 2006, è stata ritenuta inapplicabile dalla Corte territoriale sulla base di due diversi ordini di considerazioni, costituiti rispettivamente dalla qualificazione del CSI come ente pubblico economico aperto alla partecipazione di soggetti privati ed esercente un’attività di rilevanza economica, e dall’avvenuta modificazione del comma 15bis cit. ad opera del d.l. n. 223 del 2006, che limitatamente al servizio idrico integrato aveva differito la cessazione delle concessioni al 31 dicembre 2007.
La seconda affermazione, configurabile come una distinta ratio decidendi , in quanto idonea a sorreggere autonomamente la decisione adottata, non è inficiata dalle argomentazioni svolte dalla ricorrente, la quale, nel lamentare l’omessa valutazione dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, con cui si provvide tra l’altro al riordino del servizio idrico integrato, non tiene conto della successiva osservazione della Corte territoriale, secondo cui l’efficacia della disciplina dallo stesso dettata in materia era subordinata all’adozione di un piano attuativo da emanarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non ancora emanato all’epoca dei fatti. Tale rilievo, rimasto incensurato nell’ultima parte, trova conforto nell’art. 172, comma sesto, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, nel disporre che gl’impianti di acquedotto, fognatura e depurazione gestiti dai consorzi per le aree ed i nuclei di sviluppo industriale e da altri consorzi o enti pubblici fossero trasferiti, entro il 31 dicembre 2006, in concessione d’uso al gestore del servizio idrico integrato dell’Ambito territoriale ottimale nel quale ricadevano in tutto o per la maggior parte i territori serviti, richiedeva comunque l’adozione di un apposito piano da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sentite le regioni, le province e gli enti interessati. Tale disposizione, entrata in vigore il 29 aprile 2006, doveva ritenersi idonea ad escludere l’applicabilità del comma 15bis dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, il quale, nel prevedere la cessazione al 31 dicembre 2006 delle concessioni rilasciate con procedura diversa dall’evidenza pubblica, faceva espressamente salvo il caso in cui le disposizioni previste per i singoli settori stabilissero un congruo periodo di transizione al nuovo sistema: non a caso, d’altronde, il comma 15bis fu successivamente modificato dall’art. 15 del d.l. n. 223 del 2006 (introdotto dalla legge di conversione n. 248 del 2006, en-
trata in vigore il 12 agosto 2006), che, come si è detto, differì al 31 dicembre 2007 il predetto termine, relativamente al settore del servizio idrico integrato.
12.1. L’infondatezza delle censure mosse al ritenuto differimento della cessazione delle concessioni al 31 dicembre 2007, ai sensi dell’art. 172, comma sesto, del d.lgs. n. 152 del 2006, consentendo di escludere l’applicabilità al servizio idrico integrato del termine previsto dall’art. 113, comma 15bis , del d.lgs. n. 267 del 2000, indipendentemente dalla riferibilità di tale disposizione a tutti i servizi locali, comporta l’inammissibilità delle critiche rivolte alla sentenza impugnata, nella parte in cui ne ha escluso l’applicabilità al CSI, in virtù della qualificazione dello stesso come ente pubblico economico esercente un’attività di rilevanza economica.
Trova infatti applicazione, al riguardo, il principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ove la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una di esse rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre, il cui accoglimento non potrebbe comunque condurre alla cassazione della decisione, stante l’intervenuta definitività della prima (cfr. Cass., Sez. III, 26/02/2024, n. 5102; 14/02/2012, n. 2108; Cass., Sez. V, 11/05/2018, n. 11493).
L’infondatezza delle censure mosse al ritenuto differimento della cessazione delle concessioni al 31 dicembre 2007, ai sensi dell’art. 172, comma sesto, del d.lgs. n. 152 del 2006, consentendo di escludere l’applicabilità al servizio idrico integrato del termine originariamente previsto dall’art. 113, comma 15bis , del d.lgs. n. 267 del 2000, indipendentemente dalla procedura seguita ai fini dell’affidamento della gestione, comporta anche il rigetto delle censure proposte con il quinto ed il sesto motivo, concernenti l’applicabilità della nuova disciplina alla convenzione stipulata tra le parti, in ragione della configurabilità della stessa come contratto pubblico, ovvero del carattere generale degl’interessi perseguiti dalla normativa sopravvenuta.
E’ parimenti infondato il settimo motivo, avente ad oggetto la cessazione dell’efficacia della convenzione, ai sensi dell’art. 13, comma primo, del d.l. n. 223 del 2006.
Tale disposizione, volta ad evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e ad assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, nel vietare alle «società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali», lo svolgimento di «prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara», si riferisce infatti (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anteriore alle modificazioni introdotte dall’art. 18, comma 4septies , del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2) esclusivamente alle società «costituite per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza». Essa non è pertanto applicabile alla società ricorrente, la quale, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, non ha ad oggetto lo svolgimento di un’attività di supporto alle funzioni amministrative interne del Consorzio, ma un’attività rivolta all’esterno dello stesso, consistente nell’erogazione al pubblico del servizio idrico.
Il divieto in questione colpisce infatti le società pubbliche strumentali alle Amministrazioni regionali o locali che esercitano attività amministrativa in forma privatistica, e non anche le società costituite o partecipate per la gestione di servizi pubblici locali esercenti attività d’impresa per conto di enti pubblici: in quanto introdotto al fine di separare le due sfere di attività, in modo tale da evitare che un soggetto che svolge attività amministrativa possa esercitare allo stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali può godere come Pubblica Amministrazione, esso costituisce una norma a carattere eccezionale, che dev’essere interpretata in stretta aderenza al suo dato letterale, senza possibilità alcuna di applicazione oltre i casi in essa previsti (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 4/08/2011, n. 17; Cons. Stato, Sez. V, 25/ 07/2014, n. 3963; 13/04/2012, n. 2119; 29/12/2011, n. 6974).
15. E’ altresì infondato l’ottavo motivo, riguardante la cessazione dell’efficacia della convenzione per effetto del trasferimento all’ATO n. 2 della titolarità dei beni concessi in comodato d’uso e della stipulazione di un’altra convenzione con il nuovo titolare.
E’ pur vero, infatti, che, ai sensi dell’art. 14 della legge regionale n. 2 del 1997, la costituzione e l’insediamento dell’ente di ambito avrebbero dovuto comportare la cessazione dell’esercizio, da parte degli enti locali associati, delle funzioni individuali attinenti ai propri servizi idrici, e l’avvio dell’esercizio delle stesse in forma associata, attraverso l’ente di ambito, in favore del quale l’art. 8, comma quarto, prevedeva l’assegnazione in uso o in comodato gratuito delle opere, degl’impianti e delle canalizzazioni. Tale disciplina è stata peraltro innovata parzialmente dal d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, pur ribadendo che «gli enti locali, attraverso l’ente di governo dell’ambito di cui all’art. 148, comma prima, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo» (art. 142, comma primo), e precisando che «l’Autorità d’ambito è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche» (art. 148, comma primo), ha previsto che «gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio, ai sensi degli artt. 822 e ss. cod. civ. e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge» (art. 143, comma primo), disponendo che «le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’art. 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare» (art. 153, comma primo).
L’art. 18 della legge regionale, nel dettare la disciplina transitoria, prevedeva inoltre, al comma quarto, che i consorzi acquedottistici di cui alla legge regionale 16 settembre 1987, n. 66 e ss. avrebbero continuato a gestire i servizi loro affidati fino all’organizzazione del servizio idrico integrato, aggiungendo che gli organi esecutivi sarebbero rimasti in carica fino all’affidamento del servizio al nuovo soggetto gestore. Nell’applicazione di tale disposizione, occorre inoltre tenere conto della sopravvenienza del già citato art. 172,
comma sesto, del d.lgs. n. 152 del 2006, che subordinò all’adozione di un apposito piano da parte del Presidente del Consiglio dei ministri il trasferimento al gestore del servizio idrico integrato degl’impianti di acquedotto, fognatura e depurazione gestiti dai consorzi per le aree ed i nuclei di sviluppo industriale e da altri consorzi o enti pubblici, nonché dell’art. 15 del d.l. n. 223 del 2006, anch’esso citato, che, limitatamente al servizio idrico integrato, differì al 31 dicembre 2007 il termine del 31 dicembre 2006, previsto dall’art. 113, comma 15bis , del d.lgs. n. 267 del 2000 per la cessazione delle concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica.
Avuto riguardo alla complessità delle vicende inerenti al trasferimento degl’impianti acquedottistici, determinata dalla successione e dalla giustapposizione delle predette disposizioni, non può ritenersi meritevole di censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso che l’eventuale mutamento della titolarità dei beni affidati in comodato d’uso alla società ricorrente per la gestione dell’acquedotto di Balzone potesse interferire sulla validità e l’efficacia della convenzione stipulata tra le parti, non essendo stato dimostrato che a seguito del trasferimento dei beni all’ATO n. 2 il CSI non avesse più adempiuto l’obbligo di metterli a disposizione della CAM ai fini della gestione dell’impianto. Considerato infatti che alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 gl’impianti gestiti dai consorzi di sviluppo industriale, dei quali l’art. 8 della legge regionale n. 2 del 1997 aveva previsto l’assegnazione in uso o in comodato in favore degli enti d’ambito, non erano stati ancora trasferiti a questi ultimi, tanto da rendersi necessaria a tal fine la predisposizione di un apposito piano, non ancora approvato all’epoca dei fatti, non può ritenersi che al mutamento della titolarità previsto dalla legge avesse fatto riscontro automaticamente la perdita della disponibilità degl’impianti da parte del Consorzio, il quale ne aveva conservato la gestione ai sensi dell’art. 18, quarto comma, della legge regionale, con la conseguenza che da un lato non poteva considerarsi cessata l’efficacia della convenzione stipulata con la CAM, e dall’altro non poteva ritenersi provata la legittimazione dell’ATO n. 2 a concedere in comodato gl’impianti.
Nel lamentare la mancata valutazione dell’avvenuta stipulazione di una nuova convenzione con l’ATO, la ricorrente si è d’altronde limitata ad eviden-
ziare il proprio obbligo di relazionarsi con l’ente d’ambito, in qualità di nuovo titolare delle infrastrutture idriche, insistendo sul trasferimento previsto dalla normativa sopravvenuta alla stipulazione della precedente convenzione e negando la successione dell’ATO nella posizione contrattuale del CSI, ma omettendo di considerare che la legittimazione a concedere un bene in comodato non spetta esclusivamente al proprietario, bensì a chiunque ne abbia la disponibilità di fatto in base ad un titolo non contrario a norme di ordine pubblico (cfr. Cass., Sez. II, 9/10/2020, n. 21853; Cass., Sez. VI, 20/12/ 2017, n. 30550; 10/07/2014, n. 15788), ed astenendosi inoltre dal riportare nel ricorso il contenuto della nuova convenzione, almeno nelle parti salienti, con la conseguenza che le censure risultano, sotto tale profilo, prive di specificità.
16. Non merita infine accoglimento neppure il nono motivo, avente ad oggetto l’ammissibilità della chiamata in causa dell’ATO n. 2.
Come riconosce la stessa difesa della ricorrente, nel dichiarare inammissibile la chiamata in causa, per difetto della necessaria autorizzazione del giudice, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dell’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, secondo cui, non verificandosi, nel giudizio di opposizione, alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l’opponente quella di convenuto, l’opponente che intenda chiamare in causa un terzo non può provvedere direttamente alla sua citazione in giudizio, ma deve chiedere al giudice, nell’atto di opposizione, la relativa autorizzazione; la mancanza della stessa determina la nullità della chiamata in causa, che non può ritenersi sanata dalla costituzione in giudizio del terzo, giacché la regola della sanatoria per il raggiungimento dello scopo presuppone che un atto che si poteva o si doveva compiere sia stato compiuto in difformità rispetto allo schema legale, mentre la chiamata del terzo senza autorizzazione del giudice è proprio l’atto da non compiere, con la conseguenza che il raggiungimento dello scopo, costituendo il risultato vietato, non può allo stesso tempo produrre un effetto sanante (cfr. Cass., Sez. III, 12/03/2024, n. 6503; Cass., Sez. VI, 30/07/2020, n. 16336; Cass., Sez. I, 29/10/2015, n. 22113).
Nel sollecitare una rimeditazione di tale orientamento, la difesa della ri-
corrente non è in grado di addurre ragioni convincenti, insistendo in particolare sulla natura ordinaria del giudizio di opposizione e sull’identità della posizione sostanziale delle parti, che costituiscono proprio la premessa logicogiuridica del principio contestato, nonché sull’allungamento dei tempi di introduzione del giudizio conseguente all’applicazione dell’art. 269 cod. proc. civ., senza considerare che la prescrizione dell’autorizzazione non trova giustificazione nella mera finalità di consentire il differimento della prima udienza, che ne costituisce piuttosto la conseguenza, ma nell’esigenza di consentire al giudice di valutare l’effettiva necessità dell’estensione del contraddittorio al terzo, in relazione alle difese svolte dall’opponente.
17. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 18/12/2024