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Certificazione Unica: prova per le differenze retributive

Un lavoratore ha richiesto il pagamento di differenze retributive basandosi sulla discrepanza tra le giornate indicate in busta paga e quelle, in numero maggiore, riportate nella Certificazione Unica (CU) emessa dal datore di lavoro. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito, stabilendo che la Certificazione Unica costituisce una prova documentale valida a sostegno della pretesa del lavoratore. Di conseguenza, spetta al datore di lavoro, che ha emesso tale certificazione, l’onere di dimostrare l’eventuale erroneità dei dati in essa contenuti, non potendo limitarne la valenza al solo ambito fiscale.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Certificazione Unica: Un’Arma Efficace per le Differenze Retributive

La Certificazione Unica (CU), spesso considerata un mero adempimento fiscale, può trasformarsi in un elemento di prova decisivo nelle cause per differenze retributive. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, chiarendo la sua valenza probatoria e le conseguenze sull’onere della prova a carico del datore di lavoro. Vediamo nel dettaglio come questo documento può fare la differenza per un lavoratore che rivendica i propri diritti.

Il Contesto del Caso: Giornate Lavorative Contestate

Un lavoratore del settore agricolo citava in giudizio la società datrice di lavoro per ottenere il pagamento di differenze retributive e TFR. La controversia si è concentrata su una discrepanza fondamentale: il numero di giornate lavorative retribuite tramite buste paga risultava inferiore a quello indicato nella Certificazione Unica rilasciata dalla stessa società.

Mentre il datore di lavoro si difendeva producendo le buste paga e le relative quietanze firmate dal dipendente, quest’ultimo ha utilizzato proprio la CU come prova documentale del maggior numero di giornate effettivamente lavorate e non retribuite.

La Valenza Probatoria della Certificazione Unica

I giudici di merito, e successivamente la Cassazione, hanno dato pieno valore probatorio alla Certificazione Unica. La Corte d’Appello ha accolto parzialmente le richieste del lavoratore, condannando la società al pagamento della retribuzione per le 10 giornate lavorative di differenza emerse dal confronto tra buste paga e CU.

Il ragionamento della Corte è stato chiaro: la CU non è un documento con rilevanza esclusivamente fiscale. Essendo una dichiarazione rilasciata dallo stesso datore di lavoro, essa costituisce una prova documentale delle giornate di lavoro prestate. Non si può creare una scissione illogica tra “giornate lavorative” e “giornate valide ai fini fiscali”, poiché queste ultime presuppongono necessariamente il pagamento di una retribuzione.

La Decisione della Cassazione e l’Onere della Prova sulla Certificazione Unica

La società ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, un’errata applicazione delle regole sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). A suo dire, la Corte d’Appello avrebbe indebitamente invertito tale onere, ponendo a carico dell’azienda la dimostrazione dell’erroneità della propria certificazione.

La Suprema Corte ha respinto il motivo, chiarendo un punto cruciale: non c’è stata alcuna inversione dell’onere probatorio. Il lavoratore ha adempiuto al proprio onere producendo un documento (la CU) che, provenendo dalla controparte, aveva piena efficacia probatoria del suo credito. A quel punto, spettava al datore di lavoro fornire la prova contraria, ovvero dimostrare che i dati contenuti nella certificazione da lui stesso rilasciata erano errati. Non avendolo fatto, la pretesa del lavoratore è stata ritenuta fondata.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ribadito che la violazione dell’art. 2697 c.c. si verifica solo quando il giudice attribuisce l’onere della prova a una parte diversa da quella su cui dovrebbe gravare. In questo caso, il lavoratore ha fornito la prova del suo diritto (il credito per le giornate lavorate) attraverso la Certificazione Unica. La Corte d’Appello ha correttamente ritenuto tale documento idoneo a provare il fatto costitutivo della domanda. Di conseguenza, era onere del datore di lavoro provare fatti impeditivi, modificativi o estintivi, come l’errore nella compilazione della CU. La generica affermazione di un errore, senza prove a sostegno, non è sufficiente a privare il documento della sua efficacia.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

Questa ordinanza consolida un principio di grande importanza pratica. Per i lavoratori, la Certificazione Unica rappresenta uno strumento probatorio potente e facilmente accessibile per rivendicare differenze retributive quando emergono discrepanze con le buste paga. Per i datori di lavoro, invece, costituisce un monito sulla necessità di garantire la massima accuratezza e coerenza tra tutti i documenti fiscali e retributivi. Ogni dichiarazione ufficiale, inclusa la CU, può essere utilizzata in un contenzioso e, se non contestata con prove concrete, farà piena fede contro chi l’ha rilasciata.

La Certificazione Unica (CU) ha valore come prova in una causa per differenze retributive?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la Certificazione Unica è una prova documentale idonea a dimostrare il numero di giornate lavorative prestate e a sostenere la richiesta di pagamento delle relative differenze retributive da parte del lavoratore.

Su chi ricade l’onere di provare che i dati nella Certificazione Unica sono sbagliati?
L’onere di provare l’erroneità dei dati riportati nella Certificazione Unica ricade sul datore di lavoro. Poiché è il datore di lavoro a emettere tale documento, questo viene considerato come una sua stessa dichiarazione, e spetta a lui fornire la prova contraria in caso di contestazione.

Firmare una busta paga ‘per quietanza a saldo’ impedisce di fare causa per differenze retributive?
No. La Corte ha chiarito che le semplici ‘quietanze a saldo’ apposte sulle buste paga sono mere ricevute di pagamento per l’importo indicato e non costituiscono rinunce o transazioni sui diritti del lavoratore. Pertanto, la loro firma non impedisce al lavoratore di agire in giudizio per rivendicare ulteriori somme dovute.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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