Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27354 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27354 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 9264/2023 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al ricorso, il quale chiede di ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO, il quale chiede di voler ricevere le comunicazioni e le notifiche di legge all’indirizzo pec indicato .
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, n. 6535/2022, depositata in data 19 ottobre 2022;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, titolare del terreno di cui al foglio 13, mappale n. 341, della superficie di mq 620, nel comune di RAGIONE_SOCIALE, riceveva la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo teso alla realizzazione di un parcheggio multipiano in INDIRIZZO, il 29/10/2002.
Infatti, il progetto del parcheggio era stato incluso nel piano triennale delle opere pubbliche per il periodo 1999-2001 con la delibera del consiglio comunale n. 19 del 19/3/1999, con la successiva approvazione, unitamente al piano particella di esproprio, con D.G.C. n. 230 del 24/10/2001.
Il dirigente del servizio tecnico del comune in esecuzione dell’ordinanza n. 59 del 17/6/2003 disponeva la realizzazione dell’intervento e l’occupazione di urgenza dell’area nella titolarità dell’attore.
In data 25/7/2003 si procedeva all’immissione in possesso.
Il terreno dell’attore, come da certificato di destinazione urbanistica del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, ricadeva in parte in zona di PRG F3, servizi di uso pubblico, ed in parte in zona G1, verde pubblico attrezzato, con previsto verde attrezzato di quartiere. Ciò in ragione del PRG approvato con delibera della Giunta Regionale 10/7/1990.
I lavori venivano ultimati il 26/9/2013, con l’irreversibile trasformazione dei luoghi nel frattempo intervenuta, senza l’adozione del decreto di esproprio.
L’attore citava in giudizio il RAGIONE_SOCIALE dinanzi al tribunale che, però, dichiarava la propria incompetenza in relazione alla domanda
di indennizzo da occupazione legittima ex art. 50 del d. P.R. n. 327 del 2001.
L’attore presentava ricorso in riassunzione dinanzi alla Corte d’appello di Roma chiedendo di accertare e dichiarare «che il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, a far data dal 25/7/2003, occupa senza titolo il terreno di proprietà dell’attore identificato in catasto al foglio 13, particella 341, metri quadri 120, il cui possesso è stato conseguito in esecuzione dell’ordinanza n. 59 del 17/6/2003, finalizzata all’occupazione di urgenza per la realizzazione di un parcheggio a servizio della collettività.
La Corte d’appello, con sentenza non definitiva delle 5/5/2019, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in relazione alla domanda di risarcimento danni per irreversibile trasformazione dei luoghi in assenza dell’emanazione del decreto di esproprio.
4.1. Quanto al merito, la Corte territoriale condivideva le risultanze del CTU, il quale aveva collocato la superficie di mq 550,00 nella zona G1, e la restante superficie di mq 65, nella zona F, sottozona F3, servizi ad uso pubblico.
In ordine alle critiche sollevate dal c.t. di parte del RAGIONE_SOCIALE la Corte d’appello rilevava che le stesse concernevano la «ritenuta erroneità del certificato di destinazione urbanistica e della metodologia usata per la determinazione del valore di esproprio e di occupazione dell’area».
A confutazione di tali critiche la Corte territoriale affermava che «quanto alla prima doglianza, sulla premessa che vi è stata un’impugnativa del suddetto certificato da parte del ricorrente dinanzi al Tar Lazio il cui giudizio, come da documentazione versata in atti dalla difesa del RAGIONE_SOCIALE, risulta essere stato dichiarato estinto per rinuncia, non è meritevole di accoglimento non potendo quest’ufficio decidere nulla al riguardo non rientrando nella sua sfera
di giurisdizione la valutazione sulla correttezza della detta certificazione da parte dell’ente».
Quanto poi, alla seconda contestazione il giudice di secondo grado ne ha ritenuto la non fondatezza «in applicazione dell’art. 22bis e dell’art. 50 TUES, applicabile, appunto, proprio per il periodo di occupazione legittima in virtù del decreto di urgenza e, quindi, per la durata di 5 anni».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’attore, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione di legge e/o falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione agli articoli 115-116 e conseguentemente art. 112 c.p.c., in relazione al comma 5 dell’art. 1 della legge n. 1/1978 – Travisamento delle prove in atti e consequenziale omessa pronuncia sulla validità del certificato di destinazione urbanistica utilizzato dal CTU ai fini della determinazione delle zone del PRG per il calcolo dell’indennità di esproprio».
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «Conseguenziale violazione di legge e/o falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 196 c.p.c. per non essere stata disposta la rinnovazione della consulenza d’ufficio al fine di accertare la corretta consistenza urbanistica delle particelle oggetto di occupazione, il cui accertamento si è invece fondato sulle mere risultanze del certificato di destinazione urbanistica fornito dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE al CTU e conseguente
erronea e falsa valutazione del certificato di destinazione urbanistica – Non impugnabilità dinanzi al giudice amministrativo».
In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto di non poter scrutinare la validità del certificato di destinazione urbanistica, nonostante «lo stesso fosse incompleto in quanto sfornito dell’estratto di mappa del PRG e finanche inspiegabilmente contrastante con le N.T.A-dello stesso comune di RAGIONE_SOCIALE , oltre che in contrasto con il mutamento della destinazione urbanistica delle particelle in discorso operato in ragione dell’approvazione del progetto del parcheggio ex art. 1, comma 5, legge 1/78, effettuata dal RAGIONE_SOCIALE, in forza della quale le stesse avrebbero dovuto essere ricondotta in zona di PRG ‘F’ – attrezzature di interesse generale, di cui all’art. 31 del NTA e più precisamente nella sottozona ‘F2’ Servizi ed attrezzature pubbliche, di cui all’art. 33 di tali N.T.A. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE».
In realtà, il certificato di destinazione urbanistica ai sensi dell’art. 30, comma 2, del d. P.R. n. 380 del 2001 ha natura descrittiva e ricognitiva, sicché la Corte territoriale «non poteva validamente ignorare la rilevanza delle critiche svolte dal CTP nei modi e termini assegnati dal giudice, così come reiterata in sede di conclusioni che per completezza si richiamano».
Il ragionamento della Corte d’appello sarebbe viziato dall’affermazione per cui l’impugnazione dinanzi al Tar del certificato di destinazione urbanistica era stata poi oggetto di rinuncia.
In realtà, per giurisprudenza amministrativa univoca il certificato di destinazione urbanistica non è suscettibile di impugnazione autonoma dinanzi al giudice amministrativo. Trattasi di un certificato redatto da un pubblico ufficiale avente carattere meramente dichiarativo e ricognitivo, in quanto la situazione giuridica attestata
in esso non è che la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla.
Sono le disposizioni degli strumenti urbanistici vigenti sull’area di interesse, in concreto, ad essere lesive della sfera giuridica del cittadino.
Gli eventuali errori contenuti in tale certificato possono essere corretti dalla pubblica amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinati urbanistica.
La Corte territoriale sarebbe dunque incorsa «in una fattispecie di travisamento delle prove in atti ex articoli 115-116 c.p.c., «ritenendo che il Certificato di Destinazione Urbanistica costituisse elemento di prova intangibile e come tale vincolante nella sua consistenza contenutistica».
In tal modo, il giudice di merito avrebbe «omesso di pronunciarsi sulla validità delle dichiarazioni contenute» in tale certificato, avendo dovuto quantomeno «deliberarne incidenter tantum il contenuto».
La Corte territoriale sarebbe incorsa «in un vizio di infrapetizione conseguenzialmente avallando gli errori presupposti dai quali il CTU ha mosso per l’elaborazione del proprio elaborato peritale».
Il giudice di merito, «sulla scorta delle sopra esaminato errore giuridico» non ha disposto la rinnovazione della CTU al fine di accertare, prescindendo dunque dal certificato di destinazione urbanistica fornito dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, la corretta zonizzazione e destinazione urbanistica delle particelle per cui è causa ex art. 1, comma 5, della legge n. 1 del 1978, così come dedotto nelle note critiche alla CTU a firma del consulente tecnico di parte AVV_NOTAIO COGNOME.
Nella specie, la decisione di non rinnovare la CTU è dipesa dall’erroneo presupposto giuridico da cui è partita la Corte d’appello, e segnatamente dalla ritenuta sindacabilità dinanzi al Tar, dal momento che il ricorrente aveva provveduto a rinunciarvi preventivamente per tempo.
Del resto, il CTU, allo scopo di non procedere alle verifiche sull’effettiva consistenza urbanistica delle particelle per cui è causa, in risposta alle note critiche del CTP dell’AVV_NOTAIO ha risposto alle stesse con osservazioni del seguente tenore «’evidenziare la natura prettamente a-tecnica delle argomentazioni riportate dall’AVV_NOTAIO. COGNOME circa la presunta erroneità del CDU storico rilasciato dal comune di RAGIONE_SOCIALE desta dunque perplessità quanto riportato nel certificato di destinazione urbanistica storico rilasciato dal comune di RAGIONE_SOCIALE‘, il quale peraltro, come ulteriore supporto alle proprie argomentazioni, richiama il ricorso pendente presso il Tar Lazio datato 7/1/2020. In base a tali assunzioni del consulente di parte, il CTU avrebbe dovuto procedere ad un’analisi critica della correttezza del documento amministrativo (CDU storico) rilasciato dal comune di RAGIONE_SOCIALE‘ nella Relazione di consulenza tecnica d’Ufficio previa acritica interpretazione/applicazione del controverso contenuto del certificato di destinazione urbanistica storico’ e prettamente giuridica di evidente competenza del magistrato, avrebbe dovuto giudicarlo quantomeno inattendibile. È evidente, come ciò sia del tutto estraneo alle competenze dei CTU e al quesito della Corte e, come, peraltro, in generale di nessuna rilevanza».
Il ricorrente, dunque, chiosa nel senso che «senza tediare l’adito collegio con una disamina dei vizi del Certificato di Destinazione Urbanistica, profilo evidentemente appartenente al merito della vicenda e presupponente necessariamente un accertamento di
natura tecnica da parte di apposito consulente anche al fine di determinare correttamente il perimetro delle particelle per cui è causa, è sufficiente evidenziare che lo stesso risulta viziato sotto i seguenti profili che si trascrivono in ottemperanza a quanto ritenuto dalla vita Corte in relazione all’impugnazione di sentenza che abbia criticamente fatto proprio risultanze della CTU».
Pertanto vi sarebbe stata una «rrata rappresentazione della attuale destinazione urbanistica, poiché nello stesso non si tiene conto del fatto che ai sensi degli articoli 31 e 34 delle NTA di PRG vigente nel RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE la sottozona F3 attiene ai ‘servizi ed attrezzature private ed uso pubblico’, con espresso richiamo alle convenzioni e specifiche prescrizioni a carico del privato esecutore dell’opera pubblica a favore dell’ente pubblico, e non già, come correttamente sarebbe dovuto essere, ai ‘servizi ed attrezzature pubbliche’ di cui alla sopra menzionata sottozona F2».
L’altro errore sarebbe consistito nella «alsa rappresentazione della attuale destinazione urbanistica del terreno poiché viene tenuta in vita sia pure in modo parziale l’originaria classificazione dell’area, quale sottozona G1, verde pubblico attrezzato, atteso che il fondo di proprietà del ricorrente è stato interamente impegnato dal progetto del parcheggio pubblico e interamente incluso nel relativo piano particella di esproprio e pertanto doveva essere ricondotto interamente nella classificazione ‘F2 -servizi ed attrezzature pubbliche’».
Vi sarebbe, poi, una «ngiusta rappresentazione della attuale destinazione urbanistica in ogni caso poiché, quand’anche non si volesse considerare la variante di fatto intervenuta con l’approvazione del progetto del parcheggio multipiano ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge n. 1/1978 ed a meno di altre modifiche al PRG che però non risultano dal certificato storico, la
classificazione del fondo di cui trattasi sarebbe dovuta rimanere tal quale a quella indicata nel certificato di destinazione urbanistica dell’8/10/1994, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO, opportunamente corredato del corrispondente stralcio planimetrico di PRG».
Sarebbe stato necessario, allora, effettuare un concreto accertamento della consistenza urbanistica del terreno, senza aderire alla documentazione unilateralmente fornita dall’ente comunale.
Di qui, conseguentemente, anche la caducazione, ex art. 336, primo comma, c.p.c., delle statuizioni relative alla correttezza del parametro utilizzato dal CTU per la determinazione dell’indennità di esproprio.
Deve, infatti, essere rideterminato anche il valore di esproprio e, quindi, dell’occupazione legittima, «in coerenza con la nuova classificazione urbanistica che il nominando consulente d’ufficio dovesse determinare».
I due motivi, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati.
3.1. la Corte d’appello ha compiuto un error iuris nel ritenere insindacabile il certificato di destinazione urbanistica (CDU) rilasciato dal RAGIONE_SOCIALE, avendo invece esso carattere meramente dichiarativo e ricognitivo, come puntualmente rilevato dal ricorrente.
La Corte territoriale, in relazione alla dedotta erroneità del certificato di destinazione urbanistica, ha affermato che non aveva potere decisionale sul punto «non rientrando nella sua sfera di giurisdizione la valutazione sulla correttezza della detta certificazione da parte dell’ente».
In proposito, si è osservato che il certificato di destinazione urbanistica è, diversamente dalla concessione edilizia, un certificato rilasciato dall’ufficio tecnico comunale competente al fine di
accertare i dati catastali, la destinazione urbanistica e i parametri urbanistici dell’immobile per il quale questo è stato richiesto. Consente, insomma, a chi lo ottiene di comprendere quali siano le reali possibilità edificatoria del suo bene e la sua conformità a quanto riportato nel PRG comunale (Cass., sez. 2, 18/8/2022, n. 24900).
La sua disciplina trova fonte nell’articolo 18, comma 2, della legge n. 47/1985, ora sostituito dall’articolo 30 del d.P.R. n. 380/2001, il quale lo classifica come uno dei primi strumenti previsti dal legislatore contro l’abusivismo edilizio.
5. Costituisce, invece, orientamento di questa Corte (Cass., Sez. I, 3 novembre 2016, n. 22283) quello per cui il certificato di destinazione urbanistica si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla (cfr. altresì TAR Lazio – Roma, sez. II, 6/3/2012, n. 2241; TAR Lombardia – Brescia, sez. I, 24/4/2012, n. 687; TAR Torino, sez. II, 18/6/2016, n. 887; TAR Bari, sez. III, 3/1/2018, n. 5; TAR Lombardia – Milano, sez. II, 21/7/2017, n. 434).
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica (TAR Sicilia, sez. II, Catania, 6/6/2022, n. 1539; in termini Cons. Stato, sez. VII, 14/3/2024, n. 2490; TAR Campania, 8/2/2023, n. 904; TAR Sicilia, Palermo,
7/3/2022, n. 719; TAR Sicilia, Catania, 3/7/2019, n. 1696; Cons. Stato, sez. IV; 4/2/2014, n. 505; Cons. Stato, sez. VI, 3/2/2023, n. 1182; Cons. Stato, 16/2/2011, n. 985; Cons. Stato, sez. IV, 8/2/2016, n. 476).
Esso manca quindi di imperatività, esecutività e possibilità di esperire per esso l’autotutela (Cass., sez. 1, n. 24900 del 2022).
In ragione dell’errore in diritto commesso dalla Corte di appello, però, ne è risultata compromessa anche la CTU, che proprio sulla «bontà» di quel certificato ha fondato le sue argomentazioni, senza curarsi di esaminare in concreto l’effettiva destinazione urbanistica degli immobili, nonostante il consulente tecnico di parte avesse indicato con precisione le discordanze ravvisate tra il contenuto del CDU e la concreta destinazione dei terreni.
Nella specie, il ricorrente, ha indicato, tra le altre, la censura per «travisamento delle prove in atti e consequenziale omessa pronuncia sulla validità del certificato di destinazione urbanistica utilizzato dal CTU ai fini della determinazione delle zone del PRG per il calcolo dell’indennità di esproprio»,
In particolare, come emerge dalla motivazione della sentenza d’appello, che richiama le risultanze della CTU, il certificato catastale del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE indica il terreno di cui al foglio 13, particella 341, mq 620, in parte in zona F3, Servizi di uso pubblico, ed in parte in zona G1, verde pubblico attrezzato, con previsto verde attrezzato di quartiere, come da PRG approvato con la delibera della giunta regionale 10/7/1990.
Al contrario, il ricorrente ha chiesto l’applicazione di un altro parametro urbanistico, in considerazione della ubicazione del terreno in zona F, attrezzature di interesse generale, ex art. 31 NTA, e in particolare in zona F2, servizi ed attrezzature pubbliche, di cui all’art. 33 delle NTA.
Correttamente, nel corpo del ricorso per cassazione, in ossequio al principio dell’autosufficienza, il COGNOME ha riportato le osservazioni critiche alla relazione del CTU (nota 1 pagina 9 del ricorso), laddove si legge che «pare allo scrivente non si possa prescindere dalla concreta presenza in sito del parcheggio multipiano. Opera pubblica per la cui realizzazione l’area oggetto di causa è risultata indispensabile, non solo perché sede del corpo di fabbrica principale e delle attrezzature collaterali ad esso funzionali specie in termini di sicurezza antincendio, ma anche perché necessaria ai fini del dimensionamento con indice di fabbricazione pari a circa 2,98 m3/m2. Indice di fabbricazione, pari appunto a circa 2,98 m3/m2 (come calcolato dal sottoscritto nelle memorie tecniche riepilogativi trasmessi al CTU in data 25/10/2019 tenendo conto della volumetria dell’opera e dell’area impegnata per realizzarla come desunta dal piano particella le di esproprio in atti), abbondantemente superiore al massimo consentito di 2,00 m3m2 per qualsivoglia zona urbanistica ‘G’ o ‘F’, ed evidentemente assunto in applicazione dell’art. 6 del NTA di PRG che ne fissa a 3,00 m3/m2 il limite massimo inderogabile».
Ancora nell’ulteriore stralcio delle osservazioni del c.t. di parte riportate diligentemente nel ricorso, nella nota 2, a pagina 11 si legge che «la semplice constatazione della concreta presenza in sito dell’opera pubblica realizzata dal RAGIONE_SOCIALE e che l’approvazione del progetto dell’opera stessa ha comunque conseguentemente determinato variante urbanistica ai sensi e per gli effetti del comma 5 dell’art. 1 Legge n. 1/1978, avrebbe potuto e dovuto suggerire l’adozione di una metodologia estimativa fondata sulla presa in conto del valore di mercato del parcheggio multipiano realizzato e, dunque, una stima del valore venale dell’area di che
trattasi (coincidente con l’indennità di esproprio) in armonia con il dettato dell’art. 37, comma 1, del d. P.R. n. 327 del 2001»).
Le argomentazioni esposte inducono a reputare sussistente, non solo l’errore in diritto in cui è incorsa la Corte territoriale (che ha ritenuto esulasse dalla sua sfera di giurisdizione la valutazione della correttezza del CDU), ma anche – di conseguenza – l’omesso esame della effettiva destinazione urbanistica del terreno oggetto di esame, dovendo sia il CTU sia il giudice del rinvio valutare con attenzione la correttezza del certificato di destinazione urbanistica alla luce dei precisi rilievi sollevati dal consulente tecnico di parte, trascritti in modo chiaro nel ricorso per cassazione.
10. Deve rimarcarsi che, nell’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state mosse critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte, sia dei difensori, il giudice del merito, per non incorrere nel vizio di motivazione deve spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Cass., sez. 1, 11 giugno 2018, n. 15147; Cass., sez. 1, 21 novembre 2016, n. 23637; Cass., sez. 1, 13 dicembre 2006, n. 26694).
Si è chiarito, anche recentemente, che il ricorrente non può limitarsi a dolersi del vizio di motivazione per omesso esame di fatto decisivo per il solo fatto che il giudice del merito abbia recepito adesivamente le conclusioni attinte dal consulente tecnico d’ufficio, senza affrontare e confutare le specifiche critiche rivolte all’elaborato peritale dal difensore o dal consulente tecnico di parte, ma deve individuare ed evidenziare un preciso fatto storico (o più precisi fatti storici), sottoposto alla dialettica del contraddittorio dalla difesa, legale o tecnica, di natura decisiva, tale cioè da ribaltare o modificare significativamente l’esito della lite, che il giudice del merito abbia omesso di considerare. Non è la critica, in sé per sé, alla consulenza
tecnica recepita dal giudice che rileva ai fini della deduzione di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5 e del novellato mezzo di ricorso per vizio motivazionale, ma il fatto storico, decisivo, che sia stato oggetto di discussione e sia stato fatto valere dalla parte interessata attraverso le critiche rivolte all’elaborato del perito (Cass., sez. 1, 16 marzo 2022, n. 8584; Cass., sez. 1 13 ottobre 2020, n. 22056).
Nella specie, non v’è dubbio che effettivamente la Corte d’appello sia incorsa in errore di diritto nel reputare insindacabile il certificato di destinazione urbanistica rilasciata dal RAGIONE_SOCIALE, trascinando con sé anche le risultanze della CTU espletata proprio avendo come presupposto e fondamento delle argomentazioni e delle conclusioni la «bontà» del CDU, reputato non sindacabile.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che