SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1199 2025 – N. R.G. 00000204 2025 DEPOSITO MINUTA 01 12 2025 PUBBLICAZIONE 01 12 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI BARI SEZIONE LAVORO
composta dai signori Magistrati:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME Presidente relatore
AVV_NOTAIO NOME COGNOME Consigliere
AVV_NOTAIO NOME COGNOME Consigliere
alla pubblica udienza del 25/11/2025 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 204/2025 R.G. promossa da:
rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
APPELLANTE
contro
:
rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
nonchè da
rappresentati e difesi
dall’AVV_NOTAIO
COGNOME VITA
APPELLATI nonché APPELLANTI INCIDENTALI
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato il 30.5.2022 aveva chiesto che, previo accertamento dell’unicità del centro d’imputazione del proprio rapporto di lavoro, fosse dichiarata la nullità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato il 30.12.2021 in quanto ritorsivo e, in ogni caso, illegittimo; per l’effetto, chiedeva
che le società resistenti fossero condannate in solido, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, alla reintegra nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto pari a € 1.939,10 (o diversa misura di giustizia).
Formulava, altresì, richieste in via gradata.
Il riferiva all’uopo di aver instaurato con la in persona del legale rappresentante pro tempore, in data 04.03.2016, rapporto di lavoro a tempo indeterminato part time -poi definitivamente trasformato in full time -con inquadramento nel II livello retributivo del CCNL RAGIONE_SOCIALE, e con mansione di ‘tecnico del disegno di produzione industriale’; con successivo passaggio, dapprima al III livello (ottobre 2017) e successivamente al IV livello d’inquadramento (giugno 2019).
Con racc. a/r del 30.12.2021, ricevuta dal lavoratore il successivo 31.12.2021, la comunicava al il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con effetto dal 31.12.2021, stante ‘la crisi contingente e il perdurare della situazione pandemica dovuta al RAGIONE_SOCIALE‘ che, a dire della società datrice, induceva l’azienda a ‘mutare l’organizzazione tecnico produttiva’.
Il con nota inviata a mezzo pec lo 06.01.2022, impugnava il predetto licenziamento: contestava che le ragioni a sostegno del giustificato motivo oggettivo, addotte nella cennata nota, fossero inesistenti, e sosteneva che il licenziamento in oggetto fosse ‘assolutamente nullo o, comunque, illegittimo e inefficace, stante l’evidente carattere ritorsivo dello stesso che risulta essere diretta conseguenza delle legittime rivendicazioni in relazione al pagamento dell’elemento perequativo’ di cui, con la medesima nota, chiedeva l’immediato pagamento.
Invero, il lamentava la mancata corresponsione ab origine -ossia dal momento della stipula del contratto dell’elemento perequativo previsto dall’art. 46 del CCNL, oltre che un più congruo trattamento di trasferta: infatti, da settembre 2017 a marzo 2020, nonché da settembre 2021 a dicembre 2021, il era stato
inviato in missione continuativa presso la committente RAGIONE_SOCIALE, con sede in Fabriano (AN).
Il nell’atto introduttivo del giudizio primo grado, sosteneva, altresì, che la -sua effettiva datrice di lavoro – risultava far parte di un gruppo di imprese direttamente collegate tra loro sul piano gestionale, organizzativo e finanziario, così da costituire un centro unico di imputazione dei rapporti di lavoro.
Trattavasi della della della e della (in seguito incorporata nella , in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, che, unitamente alla società assurgevano a parti resistenti del giudizio di primo grado.
Il lavoratore affermava che, pur essendo stato formalmente assunto dalla società era di fatto ‘a disposizione’ di tutte le società del gruppo che, a suo dire, operavano tutte presso la sede operativa di Monopoli – C.da RAGIONE_SOCIALE, e utilizzavano indistintamente i macchinari e gli impianti ivi esistenti.
A sostegno di ciò, il riferiva che, per tutta la durata del rapporto di lavoro, utilizzava l’indirizzo di posta elettronica aziendale con dominio della e precisava, inoltre, che, durante il predetto periodo in missione nelle Marche, egli risultava fino a tutto il 30.11.2018 formalmente distaccato ‘da presso la , salvo che dallo 01.12.2019 a fine missione (dicembre 2021), periodo durante il quale -ad eccezione per la fase di inattività legata all’emergenza pandemica -aveva lavorato fisicamente presso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE restando formalmente, in ‘quota’
1.1. costituitasi in giudizio, sosteneva che il licenziamento del non fosse sorretto da alcun motivo ritorsivo; che le problematiche del mercato avevano portato ad una riorganizzazione aziendale; che, dopo il licenziamento del non v’era stata alcun’altra assunzione di disegnatori; e che, infine, quanto alle altre società resistenti e alla stessa esse non costituivano un gruppo di imprese ma, più correttamente, assurgevano ad autonome ed indipendenti società che,
grazie all’incubatore tecnologico RAGIONE_SOCIALE, avevano intessuto rapporti di collaborazione.
1.2. Le società e in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, costituitesi in giudizio, in via preliminare eccepivano il difetto di legittimazione passiva, atteso che, a loro dire, non vi era nel caso di specie alcun centro unico di imputazione del rapporto di lavoro, e, nel merito, chiedevano il rigetto del ricorso.
1.3. Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 597/2025, resa pubblica il 13.02.2025, in funzione di Giudice del RAGIONE_SOCIALE, accoglieva (parzialmente) la domanda.
Riteneva che la documentazione prodotta, le testimonianze raccolte e l’interrogatorio formale svolto, avessero dato riscontro positivo relativamente ai predetti quattro requisiti richiesti dalla giurisprudenza ai fini della configurazione di un centro unico d’imputazione che, quindi, poteva dirsi effettivamente esistente tra i vari soggetti resistenti – come sostenuto dal lavoratore.
Diversamente, quanto al carattere ritorsivo del licenziamento, il primo giudice riteneva che questo non potesse evincersi né dalla documentazione in atti né dalle dichiarazioni rese dai testi in sede di escussione.
Infine, quanto al giustificato motivo oggettivo, il primo giudice valorizzava tutte le circostanze addotte dalla tra le quali, il notevole decremento nel bilancio (anni 2020/2021) e gli allegati problemi finanziari e fiscali (con richieste varie di dilazioni nel pagamento delle cartelle di pagamento indicate in atti), circostanza che avevano poi comportato la soppressione della posizione lavorativa del
Sul punto, richiamava giurisprudenza di legittimità secondo cui, in caso di licenziamento determinato da situazioni di crisi aziendale, lo stesso licenziamento risulta essere legittimo laddove risulti l’effettività dell’eliminazione della posizione lavorativa.
Il Tribunale affermava, in particolare, che le scelte imprenditoriali sono insindacabili nel merito e che, pertanto, il controllo giurisdizionale doveva limitarsi alla verifica della reale sussistenza del motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro.
Il primo giudice, dunque, concludeva nel senso della legittimità del licenziamento, ritenendo fosse stata raggiunta la prova in ordine alla veridicità delle ragioni poste a fondamento del relativo giustificato motivo oggettivo.
Tuttavia, riteneva, allo stesso tempo, che l’obbligo di ‘repechage’ non fosse stato adempiuto dalla parte datoriale.
Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore, anche in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte; prova che, però, non deve essere intesa in modo rigido, richiedendo, invero, una collaborazione da parte del lavoratore che impugna il licenziamento, il quale è chiamato ad allegare l’esistenza di altre posizioni lavorative nelle quali egli ben avrebbe potuto essere utilmente ricollocato, e conseguendo, a tale allegazione, l’onere del datore di provare la non utilizzabilità nelle posizioni predette. Orbene, nella fattispecie concreta, e sulla base dei LUL prodotti da tutte le società resistenti relativi ai propri dipendenti per il periodo 1 novembre 2021 -1 novembre 2022, risultava che in un momento successivo al licenziamento del in particolare la aveva assunto due nuove dipendenti -una delle quali addirittura dopo soli due giorni dal predetto licenziamento -nel medesimo livello di inquadramento dell’allora ricorrente (impiegato IV livello), laddove la stessa RAGIONE_SOCIALE risultava aver provveduto a nuove assunzioni di dipendenti di livello inferiore.
Tirando le somme, il primo giudice così concludeva:
‘poiché il profilo violativo del licenziamento concerne unicamente il mancato ricollocamento e non già la insussistenza dei motivi oggettivi, residua unicamente la tutela obbligatoria e non già reale, ai sensi dell’art. 3, comma 1, D. Lgs. 23/2015’ (pag. 8 della sentenza impugnata) e condannava per l’effetto le società convenute, in solido tra loro, al pagamento dell’indennità di cui all’art. 3 comma 1 D. lgs. n. 23/2015 nella misura di dieci mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.
Avverso tale decisione, la in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale società incorporante per fusione di proponeva appello con ricorso depositato il 19.03.2025, chiedendo che, per i motivi che di seguito si riepilogano e si valutano, l’On.le Corte di Appello adìta, in integrale riforma della sentenza impugnata, venissero accolte le seguenti richieste:
dichiarare l’insussistenza di ‘un centro unico d’imputazione’ tra le società resistenti in primo grado e degli obblighi conseguenti, ivi compreso quello di repêchage;
b) per l’effetto, riformare la sentenza n. 597/2025 emessa dal Tribunale di Bari sez. lavoro, e resa pubblica il 13.02.2025.
In via subordinata:
accertare e dichiarare l’assenza di posti liberi nelle società resistenti compatibili con la professionalità del dipendente licenziato, e, per l’effetto, riformare la sentenza n. 597/2025 emessa dal Tribunale di Bari -sez. lavoro, e resa pubblica il 13.02.2025;
ordinare la restituzione in favore di dell’importo di €. 22.739,80, di cui al bonifico del 24.02.2025 versato in favore di in Esecuzione della cennata sentenza, con riserva gravame e ripetizione somme;
con vittoria di spese e onorari di entrambi i gradi di giudizio.
2.1. Con memoria di costituzione depositata il 14.05.2025, il resisteva e concludeva per il rigetto del gravame, spiegando, altresì, appello incidentale: chiedeva condannarsi, dopo l’accertamento della natura ritorsiva del licenziamento in oggetto, le società in proprio e in qualità di società incorporante per fusione di e in solido tra loro, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, alla reintegra del ai sensi dell’art. 2, D. Lgs. n. 23/2015 ovvero ai sensi dell’art. 3, comma 2, previo accertamento, in ogni caso, dell’insussistenza delle ragioni addotte a fondamento del licenziamento impugnato.
2.2. Con memorie depositate il 19.05.2025, si costituivano la e la in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, e con memoria depositata il 20.05.2025, si costituiva anche la in persona del legale rappresentante pro tempore: le cennate società resistevano e concludevano per il rigetto del gravame, spiegando, altresì, appello incidentale.
Chiedevano tutte, infatti, di accertare e dichiarare l’insussistenza di un ‘centro unico di imputazione del rapporto di lavoro’ e, conseguentemente, l’inesistenza di un vincolo di solidarietà tra queste ultime in ordine alle obbligazioni riconducibili al rapporto di lavoro dedotto in giudizio; per l’effetto, riformare l’impugnata sentenza n. 597/2025, con rigetto di tutte le domande proposte dal ricorrente in primo grado; in subordine, accertare e dichiarare che, al momento del licenziamento del da parte di non vi erano altri posti disponibili cui adibirlo all’interno delle altre società resistenti in primo grado e che, conseguentemente, non sussisteva alcun obbligo di ‘repechage’ e di pagamento in favore del ricorrente dell’indennità di cui all’art. 3, c. 1, D. Lgs. n. 23/2015.
2.3. Acquisiti i documenti prodotti dalle parti, nonché il fascicolo del giudizio di primo grado, all’udienza del giorno 25.11.2025 la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo in calce trascritto.
L’appello proposto dalla nella qualità di cui sopra, si fonda su quattro motivi di gravame.
3.1. Con il primo motivo, l’appellante contesta al primo giudice di aver posto illegittimamente a fondamento della sentenza impugnata le prove di parte ricorrente ‘in quanto disposte al di fuori dei limiti legali, ossia in assenza di contraddittorio tra le parti’, nonché di aver escluso (a suo dire, altrettanto illegittimamente) i capitoli di prova della società in merito all’inesistenza di un centro unico d’imputazione.
Per tali ragioni, l’appellante chiede che venga espletata l’istruttoria (richiesta nel primo grado di giudizio ma non ammessa dal giudicante) intesa a provare l’inesistenza di un centro unico d’imputazione (capitoli 12 15 e 18 -23 della propria memoria di costituzione);
chiede, altresì, di dichiarare inutilizzabili le deposizioni testimoniali relative ai capitoli di prova articolati dal ricorrente, in quanto ammesse -secondo la tesi della società -in violazione del diritto al contraddittorio tra le parti;
infine, chiede che venga disposta ‘l’integrazione delle prove in merito alle posizioni lavorative relative a e a sulle quali pure sarebbe stato violato il contraddittorio in quanto il primo giudice ne avrebbe fatto menzione soltanto in sentenza’.
3.2. Con il secondo motivo, l’appellante si duole del fatto che il primo giudice, nella sentenza impugnata, abbia riconosciuto al il diritto al ‘repechage’ nei confronti di tutte le società convenute, facendo leva – in modo troppo semplicistico sulla ‘documentazione prodotta, le testimonianze raccolte e l’interrogatorio formale svolto’.
Quanto alla documentazione prodotta, l’appellante sostiene che il primo giudice non avrebbe considerato altro se non le visure camerali delle società resistenti allegate agli atti, limitandosi ad affermare che le cennate società avrebbero il medesimo oggetto sociale.
Invece, il primo giudice avrebbe dovuto verificare caso per caso quale, tra le attività indicate in visura, costituiva il concreto ed effettivo ‘core business’ di ciascuna società; ciò, alla luce del fatto che, per prassi, al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese, ogni società preferisce indicare un oggetto sociale ‘amplificato’ al fine di non pregiudicarsi, in futuro, la scelta di intraprendere altre attività per il proprio business, senza procedere, di volta in volta, all’integrazione dello statuto. Peraltro, la sottolinea che la circostanza secondo la quale le società odierne appellate avevano tutte oggetti sociali diversi era stata addirittura confermata, in sede di escussione dei testi in primo grado, dalla teste di parte ricorrente la quale aveva specificato che ‘ si occupa di progettazione meccanica, si occupa di progettazione di interno ed esterno, RAGIONE_SOCIALE si occupa di ricerca di fondi per investimenti tecnologici, la KEY4 si occupa di innovazione, la si occupa di fotovoltaico prevalentemente’. Contro
La lamenta pure che il giudice di prime cure non avrebbe sufficientemente tenuto in considerazione le indicazioni fornite dalla Corte per Cassazione in merito all’individuazione di un centro unico di imputazione.
Ritiene, invero, che, nella fattispecie odierna, tra la società appellante e le altre società di cui sopra non vi sia alcuna unicità della struttura organizzativa e produttiva, né alcuna integrazione tra le attività con correlato interesse comune, né un coordinamento tecnico e amministrativo -finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune, né alcun interesse comune perseguito dalle singole imprese, né utilizzazioni in contemporanea di prestazioni dei lavoratori da parte delle società appellate.
Da ultimo, la lamenta che non sarebbe stata considerata adeguatamente la documentazione prodotta dagli agenti dell’RAGIONE_SOCIALE i quali, su segnalazione della ex dipendente della – che aveva chiesto di far luce sui rapporti tra la stessa e la in merito a presunte irregolarità nella promiscuità delle prestazioni -avevano avuto accesso alla sede di Monopoli, c.da RAGIONE_SOCIALE, ed effettuato controlli su tutto il personale ivi presente nonché sui contratti che regolavano i rapporti di lavoro, evidenziando che non vi fosse alcuna irregolarità.
3.3. Con il terzo motivo, l’appellante sostiene l’insussistenza dell’obbligo di ‘repechage’ in capo alle società del gruppo, proprio in conseguenza del fatto che non era configurabile tra le stesse un centro unico d’imputazione.
In ogni caso, al momento del suo licenziamento, non vi erano altre posizioni vacanti o equivalenti disponibili all’interno della e di alcuna altra tra le società appellate.
3.4. Con il quarto motivo, la osserva che, quanto statuito dal primo giudice relativamente all’accertamento del centro unico d’imputazione, non aveva trovato concreto riscontro nella fattispecie oggetto di giudizio, stigmatizzando la circostanza che il nell’atto introduttivo del primo grado di giudizio, non aveva allegato
l’esistenza di alcuna posizione lavorativa nella quale avrebbe potuto essere ricollocato.
E qualora lo avesse fatto, sarebbe stato opportuno assegnare al datore di lavoro un termine utile per meglio provare la non utilizzabilità dei posti indicati dal ricorrente. Per di più, da un punto di vista strettamente processuale, l’appellante lamenta la circostanza che il primo giudice avrebbe dapprima dichiarato la causa matura per la decisione, dopo aver chiuso l’istruttoria, e poi, dopo il deposito delle note conclusive, all’udienza di discussione, senza che il ricorrente ne facesse esplicita richiesta, aveva riaperto l’istruttoria chiedendo l’esibizione dei LUL così accogliendo la relativa richiesta istruttoria formulata dal nel ricorso introduttivo -senza possibilità di replica da parte delle società convenute.
L’appello incidentale proposto dal si fonda su un unico, sebbene articolato, motivo di gravame.
4.1. L’appellato ribadisce la natura ritorsiva del licenziamento nonché l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del licenziamento stesso.
Ritiene, invero, che la RAGIONE_SOCIALE non abbia per nulla spiegato, sia nella lettera di licenziamento che durante lo svolgimento del primo grado di giudizio, in che modo ‘la crisi contingente ed il perdurare della situazione pandemica dovuta al covid -19’ possa aver avuto impatto diretto ed esclusivo sulla posizione del e non, per esempio, su quella di altri dipendenti, di pari livello e mansione, molti dei quali con minore anzianità di servizio dello stesso.
Il ritiene, dunque, che le motivazioni indicate nella comunicazione del 30.12.2021 -ritenute generiche e pretestuose – risultano del tutto non dimostrate, al pari della riconducibilità eziologica alle stesse del licenziamento impugnato.
Per di più, la veridicità delle cennate motivazioni sarebbe smentita -secondo il -dal fatto che nell’anno 2021 (allorquando l’emergenza pandemica, in essere già da 9 mesi, stava pienamente spiegando i suoi esiziali effetti sull’economia) le società odierne appellate, unitamente alla avevano effettuato – come emerso
dall’analisi dei LUL depositati in primo grado – per i profili più disparati, ben 29 (ventinove) assunzioni.
4.2. Infine, quanto alla negata tutela reintegratoria in favore del quest’ultimo richiama la sentenza n. 128/2024 resa dalla Corte Costituzionale, nella parte in cui si afferma che ‘ il licenziamento fondato su fatto insussistente, allegato dal datore di lavoro come ragione d’impresa, è, nella sostanza, un licenziamento pretestuoso (senza causa), che si colloca a confine con il licenziamento discriminatorio (che è viziato da un motivo, appunto, discriminatorio). La pretestuosità di un tale licenziamento può anche celare, nella realtà dei casi, una discriminazione, che, se provata dal lavoratore, renderebbe applicabile la più estesa tutela reintegratoria piena di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 23 del 2015. Ma essa richiede un (il motivo discriminatorio), della cui prova è quid pluris onerato il lavoratore; si tratta quindi di una fattispecie diversa (e più grave ancora), la cui astratta configurabilità non giustifica che, in mancanza di prova della ragione discriminatoria, la tutela degradi a quella unicamente indennitaria per il sol fatto che il datore di lavoro qualifichi il fatto materiale insussistente come (apparente) ragione d’impresa e quindi come (asserito) motivo economico di licenziamento. Anche in tale evenienza la tutela reintegratoria deve sussistere, seppur nella forma attenuata di cui al comma 2 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015 ‘.
L’appello incidentale proposto dalle società e in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, si fonda su tre motivi di gravame.
5.1. Con il primo motivo, le società appellate, nel reiterare il proprio difetto di legittimazione passiva, contestano la ritenuta sussistenza tra le stesse ‘un centro unico d’imputazione’ del rapporto di lavoro in questione.
Sul punto, sostengono che l’iter logico giuridico espresso nella sentenza impugnata appare non solo non corretto ma addirittura in contrasto con le risultanze processuali, e risentirebbe delle valutazioni ‘frammentarie e carenti’ delle prove acquisite durante il giudizio di primo grado.
Le appellate -dolendosi del fatto che il primo giudice, ai fini della valutazione dell’esistenza del predetto centro unico, abbia preso in considerazione esclusivamente l’oggetto sociale indicato nelle visure camerali sostengono che il giudicante avrebbe dovuto restringere l’esame alle sole attività di cui, in visura, è riportato il Codice ATECO, (le uniche con le quali, effettivamente, si identifica il reale business delle società stesse).
Inoltre, sempre in riferimento al ‘centro unico d’imputazione’, si lamenta l’omessa considerazione delle deposizioni testimoniali assunte in relazione a tale aspetto.
5.2. Con il secondo motivo, le società appellate richiamano giurisprudenza secondo la quale l’onere della prova circa la ricorrenza dei predetti requisiti per la configurazione del ‘centro unico di imputazione del rapporto di lavoro’ grava sulla parte ricorrente, e il giudice è chiamato a prestare attenzione non solo ai rapporti tra il lavoratore e l’asserito centro unico d’imputazione, ma anche ai rapporti tra quest’ultimo e gli altri lavoratori.
5.3. Con il terzo motivo, le appellate, facendo leva sulla necessità che la sentenza impugnata venga riformata per difetto di legittimazione passiva, contestano di conseguenza il fatto che il primo giudice abbia ritenuto applicabile (in via solidale) l’obbligo di ‘repechage’.
Tra l’altro, le appellate sostengono che, nell’ambito delle stesse società, il non avrebbe potuto essere impiegato né in mansioni analoghe a quelle svolte (‘tecnico del disegno di produzione industriale’) né in mansioni diverse, in quanto le figure professionali assunte dalle cennate società successivamente al suo licenziamento non sarebbero affatto riconducibili allo stesso livello e/o categoria legale di inquadramento.
6. Così riassunti i gravami proposti dalle parti, per ragioni di priorità logico-giuridica, il Collegio ritiene di dover analizzare preventivamente il secondo ed il quarto motivo dell’appello principale esperito dalla unitamente agli appelli incidentali proposti dalle società , e concernenti l’accertamento del centro unico di imputazione di interessi. Contro
Essi sono fondati.
7. Innanzitutto, occorre permettere che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultimo Cass. n. 16840 del 2025), il collegamento economico funzionale tra imprese, ai fini dell’individuazione di un centro unitario di imputazione dei rapporti di lavoro, viene ritenuto sussistente in presenza dei seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico e amministrativo – finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (v. Cass. n. 19023 del 2017, n. 26346 del 2016, n. 3482 del 2013, n. 25763 del 2009). In quest’ottica, è stato anche precisato (già da Cass. n. 11107 del 2006, menzionata anche dal Tribunale) che il collegamento economico – funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, anche all’eventuale fine della valutazione di sussistenza del requisito numerico per l’applicabilità della cd. tutela reale del lavoratore licenziato, con valutazione di fatto rimessa al giudice di merito.
Si è ulteriormente osservato che, a prescindere dalla prova dell’esistenza di un vero e proprio gruppo societario, la prestazione lavorativa resa contestualmente, oltre che in favore della società datrice di lavoro formale, anche in favore di altre società convenute in giudizio, anche al di là della prova dell’esistenza di un vero e proprio gruppo societario, determina il verificarsi di una situazione di codatorialità; con la conseguenza che, qualora uno stesso dipendente presti servizio contemporaneamente a favore di diversi datori di lavoro, titolari di distinte imprese, e l’attività sia svolta in
modo indifferenziato, così che in essa non possa distinguersi quale parte sia stata svolta nell’interesse di un datore e quale nell’interesse degli altri, è configurabile l’unicità del rapporto di lavoro e tutti i fruitori dell’attività del lavoratore devono essere considerati solidalmente responsabili nei suoi confronti per le obbligazioni relative, ai sensi dell’art. 1294 c.c.
Infatti, in ambito lavoristico, il concetto di impresa e di datore di lavoro è da individuarsi sulla base di una ‘concezione realistica’, nel soggetto che effettivamente utilizza la prestazione di lavoro ed è titolare dell’organizzazione produttiva in cui la prestazione stessa è destinata ad inserirsi.
Pertanto, ove sia accertato il collegamento funzionale tra le società gestite dal medesimo gruppo, anche a prescindere dalla simulazione o preordinazione fraudolenta, in presenza di determinate circostanze di fatto la titolarità del rapporto di lavoro può essere riferita contemporaneamente a più soggetti che, sebbene formalmente distinti, si pongano per il collegamento funzionale tra essi esistente come espressione di un unico centro di interessi e, quindi, di impresa sostanzialmente unitaria; se è dimostrata l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte di più aziende che siano espressione di un unico centro decisionale, si prescinde dalla prova del carattere simulatorio, perché l’esigenza di individuare con precisione un unico centro di imputazione cui ricondurre la gestione del singolo rapporto di lavoro, al di là degli schemi societari ovvero di una pluralità di strutture organizzative, risponde al dato normativo base dell’art. 2094 c.c.
Affinché, dunque, possa dichiararsi la sussistenza di un centro unico di imputazione, deve necessariamente sussistere , per quanto qui rileva, l’utilizzazione contemporanea da parte di più imprese della prestazione lavorativa del dipendente, senza la quale, non può giungersi alla conclusione individuata dal giudice di prime cure.
7.1. Ebbene, nel caso in esame, gli elementi caratterizzanti la fattispecie di cui sopra, non possono ritenersi integrati, in quanto secondo la Corte, gli elementi di prova valorizzati dal Tribunale non sono, di per sé soli, sufficienti a fondare una pronuncia
di contemporanea imputazione del rapporto di lavoro in capo a tutte società convenute in giudizio.
A ben vedere, già con il ricorso di primo grado il lavoratore, pur avendo allegato di aver prestato le proprie energie lavorative in favore di tutte le società resistenti (v. pag. 2: ‘ Compito principale del ricorrente era quello di progettare e disegnare, in 2D e 3D, i prodotti -o i componenti di essi -oggetto delle commesse di (o, come vedremo, delle altre società del gruppo), le cui tavole venivano mandate in officina per la finalizzazione dei particolari, meccanici e non meccanici, legati alla specifica commessa ‘), non ha contestualmente articolato alcun capitolo di prova volto a suffragare il predetto assunto, avendo solamente chiesto di provare (la circostanza, tra l’altro di stampo valutativo) che tutti i lavoratori all’interno della sede operativa di Monopoli ‘…eseguivano indistintamente la propria prestazione lavorativa nell’interesse del gruppo diretto dal sig. ‘ (cfr. cap. 8 di cui alle richieste di prova orale del libello introduttivo), senza alcun specifico riferimento alla propria posizione lavorativa, né a quale sarebbe stato l’interesse generale perseguito congiuntamente dalle aziende singolarmente considerate.
Difatti, il in disparte quanto sopra evidenziato, al fine di dimostrare il centro unico in questione, si è limitato ad indicare una serie di circostanze (la commistione a livello di quote, esistente tra le varie compagini societarie, lo svolgimento dell’attività sociale presso la medesima sede operativa, l’utilizzo, da parte sua, di un account mail con dominio riferibile alla , che non sono, da sole, sufficienti a dimostrare l’esistenza della prospettata unitarietà del centro d’imputazione.
A ciò si aggiunga che anche gli altri elementi prospettati, onde corroborare l’assunto di parte ricorrente (il potere organizzativo, direttivo e disciplinare esercitato da -‘che dirigeva di fatto l’attività delle imprese e impartiva direttive a tutti i dipendenti’: v. pag. 4 della sentenza impugnata -l’utilizzo comune di macchinari e degli impianti presenti nel capannone) risultano smentiti dall’istruttoria complessivamente svolta nel grado precedente.
Ed invero, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, benché non siano in contestazione le allegazioni circa il dato (per il vero neuro) della commistione di quote societarie tra le varie imprese (come efficacemente riassunta dal primo giudice alle pagg. 3 e 4 della sentenza gravata), la cui titolarità risulta convogliata principalmente in capo ad un unico soggetto, ovverosia (titolare della maggioranza delle quote), tale aspetto ‘documentale’, per quanto già affermato, non costituisce sic et simpliciter prova della sussistenza di unico centro imprenditoriale.
Ad ogni buon conto, dalle visure camerali allegate emerge che le società resistenti risultano avere diversi oggetti sociali ( ‘ attività di consulenza amministrativa delle imprese. centro elaborazione dati contabili e fiscali. coordinamento tecnico e amministrativo delle società alle quali partecipa ‘; ‘ fabbricazione di motori, generatori e trasformatori elettrici. dal 16/04/2015 installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (inclusa manutenzione e riparazione) ‘; ‘ attività di ricerca e di progettazione nel campo dell’ingegneria industriale, civile ed informatica. dal 07/04/2015 impianti elettrici ed elettronici, impianti di riscaldamento ‘;
‘
consulenza tecnologie
nformatica
‘;
‘ attività di progettazione e sviluppo di arredo di design attraverso soluzioni ad alto contenuto tecnologico’) nonché differenti codici ATECO (ASSO ‘70.22.09’; RAGIONE_SOCIALE ‘27.11’; KAD3 ”71.12.1′; WPS ‘62.02’; ‘31.09.1’).
Ancora, dalle dichiarazioni testimoniali (v. infra) complessivamente raccolte in primo grado, è emerso, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, che tali società:
-godevano di specifici spazi separati per singola azienda, pur all’interno di un unico capannone;
si occupavano di specifici settori tra loro distinti, stipulavano tra loro accordi di collaborazione e consulenza e facevano capo a distinti amministratori/responsabili.
‘Per quanto posso ricordare, Kad RAGIONE_SOCIALE si occupa di progettazione meccanica, si occupa di progettazione di interno ed esterno, RAGIONE_SOCIALE si occupa di
ricerca di fondi per rinvestimenti tecnologici, la RAGIONE_SOCIALE si occupa di innovazione, la si occupa di fotovoltaico prevalentemente. Delle altre non ricordo’ (teste , dipendente della e della dal 2017 al 2020, con la quale, tra l’altro, ha avuto una vertenza di lavoro, escussa all’udienza del 26.07.2023). Contro
‘In ordine alla circostanza sub 1) della memoria difensiva della la confermo integralmente in quanto, come già detto, sono dipendente della medesima società. In ordine alla circostanza sub 2) della medesima memoria , la confermo integralmente in quanto la società ha una propria postazione nella stessa sede operativa ma in uffici differenti…In ordine al capitolo 14 , lo confermo specificando che l’ing. si occupa di dirci cosa fare, definisce le attività dei dipendenti e facciamo capo a lui per le commesse…Non sono a conoscenza che vi sia un gruppo di società in RAGIONE_SOCIALE a Monopoli’ (teste dipendente della escussa all’udienza del 26.07.2023). CP
‘In ordine alla circostanza sub A) della memoria difensiva della resistente la confermo anche se non ricordo esattamente il mese del rapporto di lavoro. Preciso che sono a conoscenza della circostanza per la quale il CP
riceveva le direttive dall’Amministratore dell’RAGIONE_SOCIALE, ing. e tanto so per averlo visto nella postazione RAGIONE_SOCIALE all’interno dell’open space. Confermo integralmente la circostanza sub B) della medesima memoria
dove operano esclusivamente i dipendenti della società con attrezzature ed organizzazione proprie]…Nego la circostanza sub 2) . Conosco l’ing. che è anche l’Amministratore della per cui lavoro. In ordine al capitolo 4) , posso soltanto confermare che la sig.ra si occupa del personale della Io mi riferisco a lei… Non confermo il capitolo sub 7) in quanto non c’è mai stato un gruppo di società bensì delle società autonome che hanno tra di loro dei contratti di collaborazione e di consulenza, anche occasionali’ (teste , responsabile della progettazione presso ed assunto presso quest’ultima dal 2013, escusso all’udienza del 26.07.2023).
‘…posso riferire che ha lavorato per in quel periodo, anche se non so precisare i mesi…Preciso che all’interno del capannone di C.da RAGIONE_SOCIALE c’è una stanza dove lavoro io, è il mio ufficio di progettista, ed è solo di open space e, quindi, tutti gli spazi comuni. Per spazi comuni intendo i bagni, sale riunioni ed open space…In ordine alla circostanza sub 1) di parte ricorrente, posso solo riferire che in C.da RAGIONE_SOCIALE c’è un incubatore tecnologico, ma
non so riferire di tutte le società presenti. In ordine alla circostanza sub 2), la nego in quanto ogni società ha il suo referente. Nego la circostanza sub 3) per quanto già detto e nego che vi sia un gruppo di società. Per gruppo di società intendo delle società che fanno riferimento ad un unico amministratore. In ordine alla circostanza sub 4) posso dire che la sig.ra si occupa della gestione del personale della Kad3 perché so per certo che fa le mie buste paga. Non so se si occupa del personale delle altre aziende del gruppo inteso come incubatore’ (teste
progettista della dal 2014, escusso all’udienza del 25.10.2023);
‘In ordine al capitolo sub 1) della memoria di costituzione della resistente posso dire che io sono dipendente della la quale ha un contratto con per la quale presta consulenza del lavoro e contabile amministrativa. Sono anche responsabile della gestione del personale di RAGIONE_SOCIALE. Elaboro anche le buste-paga delle altre società che stanno nell’incubatore. In ordine al capitolo 2), lo confermo integralmente. Preciso che la postazione di si trova sulla sinistra entrando nel capannone, nella sala ricezione. Preciso che ciascuna società ha in uso un proprio spazio all’interno del capannone e che i dipendenti di tutte usufruiscono degli spazi comuni. Ci sono targhette che identificano le aree esclusive…In ordine al capitolo 1) dell’atto introduttivo del ricorrente, lo confermo. In ordine al capitolo sub 2), la nego in quanto ogni società ha il proprio amministratore a cui fanno riferimento. In ordine al capitolo 3), lo nego in quanto la gestione di ciascuna società è esercitata dal proprio amministratore ed è amministratore soltanto di alcune società. In ordine al capitolo sub 4), preciso -come già detto -che sono dipendente della e non della Come ho già riferito, in forza di contratti di collaborazione della mi occupo della gestione contabile-amministrativa del personale delle società. Preciso che non c’è un gruppo di società, ma esse sono tutte a sé stanti. Preciso che per gruppo di società intendo delle società che svolgono insieme le stesse attività. Nel nostro caso, invece, ogni società ha una propria attività. Nel caso in cui le società di RAGIONE_SOCIALE collaborino tra loro in qualche attività vi sono appositi contratti. In ordine al capitolo sub 5), confermo che la sig.ra si
occupava come dipendente della del pagamento della retribuzione’ (teste dipendente della dal 2014, escussa all’udienza del 25.10.2023).
‘In ordine alla circostanza n.2 della memoria di costituzione della resistente posso confermare, per quanto ricordi, c’erano due open space e noi di avevamo una parte con nostre scrivanie. All’ingresso dell’open space c’erano delle targhe che identificavano le società all’interno di quello spazio. Sulla scrivania non c’era alcuna targhetta identificativa e ciascuno sapeva quelle che appartenevano a ciascuna società’ (teste , dipendente della dal 2013 al 2023, escusso all’udienza del 27.12.2023). Contro Contro
‘Nego la circostanza sub 14 poiché lavoravo esclusivamente per e precedentemente per la RAGIONE_SOCIALE. Con riferimento alla circostanza sub 15
con sede operativa in Monopoli alla INDIRIZZO, con compiti di R&D engineer ma eseguiva la propria prestazione anche in favore delle altre società del gruppo, tra cui le resistenti, sotto la direzione del sig. confermo che sono stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE da aprile 2019 a novembre 2020; la mia prestazione era eseguita solo in favore di tale società’ (teste
, escusso all’udienza del 28.02.2024).
Inoltre, dalle medesime dichiarazioni (cfr. principalmente quelle rilasciate da si ricava che, in linea con l’oggetto sociale della la gestione meramente amministrativa e contabile dei lavoratori delle varie società (ovvero dei dipendenti presenti nel capannone sito in INDIRIZZO.da RAGIONE_SOCIALE) era affidata a due dipendenti della predetta , ovverosia e , per cui tale ultima società, in particolare, si occupava esclusivamente dell’amministrazione e della contabilità (e non anche di altre attività).
Peraltro, il societari il presunto datore di lavoro di fatto,
le altre aziende presenti nel capannone e non evocate in giudizio ( e attive nel macro – ambito della ricerca, progettazione e produzione di beni ad alta tecnologia e nei servizi ad esse strumentali’ (v. pagg. 3 e 4 del ricorso introduttivo). Analogamente, dalla documentazione depositata dalle società datrici (vari contratti di collaborazione e di consulenza, nonché contratti per la concessione in uso di porzioni di postazioni e attrezzature di ufficio stipulati con la la quale aveva in locazione l’intero capannone sito in INDIRIZZO), in linea con quanto dichiarato dai suddetti testi, non si evince affatto la promiscuità societaria allegata dal in quanto ciascuna società fruiva, come visto, di uno spazio separato all’interno del pur unico capannone; il medesimo tra l’altro, in modo sintomatico, non ha mai allegato di aver prestato (contemporaneamente) attività lavorativa per la per la e per la (poi incorporata per fusione nell’anno 2023 dalla per determinati progetti ovvero per qualche commessa specifica.
non ha mai ben specificato con quali modalità e con quali legami , controllasse anche ‘tutte
In conseguenza di ciò, rimane circostanza neutra e comunque generica l’affermazione della testimone che aveva confermato il capitolo 2) dell’atto introduttivo [Vero che tutte le ridette società, operanti presso la sede di C.da RAGIONE_SOCIALE in Monopoli facevano riferimento al sig. , non avendo specificato in cosa consistesse la ‘gestione’ delle società da parte di , il quale stando alle visure allegate, come detto, possedeva quote delle varie imprese sopra menzionate.
Senza contare poi che stando alla stessa prospettazione del la sua attività lavorativa, nell’ultimo periodo, al netto della prolungata pausa dovuta al COVID, è stata svolta in missione continuativa (dal dicembre 2018 in poi) presso la committente RAGIONE_SOCIALE con sede di Fabriano (AN), per cui egli avrebbe dovuto allegare e spiegare -ciò che non è stato fatto in alcun modo -come ed in che misura
tale attività (per così dire ‘fuori sede’) possa vedere come destinataria, oltre alla formale datrice (TARGA_VEICOLO), anche le altre società convenute in giudizio.
7.2. Venendo ora alle dichiarazioni rese in sede di interpello da parte di
, legale rappresentante di e di particolarmente valorizzate dal Tribunale (‘Confermo la circostanza sub 18 anche se non ricordo con precisione il giorno. In ordine alla circostanza n.19 la confermo poiché la disciplina della indennità di trasferta relativa al rapporto di lavoro del ricorrente rispettava appieno il contratto nazionale. Confermo la circostanza sub 20
Nello specifico, i capitoli di prova, ad un’attenta lettura, non disvelano affatto l’assoggettamento del al potere direttivo, organizzativo e disciplinare di , laddove si consideri:
– che , come risulta dai contratti di assunzione, è stato – almeno sino alla nomina del nuovo amministratore unico della avvenuta il 02.01.2019 (v. la relativa visura camerale) -in ogni caso il formale datore di lavoro di quale legale rappresentante della ove l’istante risulta all’epoca distaccato;
– il 97% delle quote societarie della risultano essere di proprietà della controllata al 60% proprio da che come detto ne era il legale rappresentante, laddove tale ultima società, occorre rammentare, si occupava di ‘attività di consulenza amministrativa delle imprese – centro elaborazione dati
contabili e fiscali – coordinamento tecnico e amministrativo delle società alle quali partecipa’;
le e-mail allegate dal onde ottenere i chiarimenti sugli emolumenti in trasferta, vedevano, come destinatari principali, la e la , lavoratrici della che si occupavano della gestione contabile ed amministrativa dei dipendenti delle varie società presenti in C.da RAGIONE_SOCIALE;
-le ‘direttive operative’ non sono mai state specificate né è mai stato definito cosa concretamente riguardassero;
-durante l’interrogatorio formale, il predetto legale rappresentante ha comunque negato l’esistenza di un centro unico di imputazione tra le varie aziende operanti nel capannone industriale.
7.3. In siffatto contesto probatorio, infine, non riveste valenza decisiva l’assegnazione di un account mail KAD3 al lavoratore, il quale, tra l’altro, era stato distaccato proprio presso tale azienda dal settembre 2017 sino al novembre 2019.
7.4. Da ultimo, differentemente da quanto opinato dal lavoratore appellato, la in maniera sintomatica, ha allegato nel proprio fascicolo di parte di primo grado l’esito negativo datato 16.12.2020 -dell’accertamento ispettivo effettuato dall’ di Bari (avviato su richiesta della dipendente e finalizzato ‘al controllo della regolarità amministrativa dei rapporti di lavoro’ e/o all’esame dei profili previdenziali e/o assicurativi in relazione al periodo dal aprile 2017 al settembre 2020′), in cui si afferma: ‘Ai fini della definizione degli accertamenti sono stati esaminati i seguenti atti e/o documenti: Lul della dipendente e dei lavoratori presenti nel corso dell’accesso ispettivo, contratti di lavoro stipulati con gli stessi, documentazione riguardante la Cig 2020, contratto di collaborazione e subfornitura con Non essendo stati adottati provvedimenti sanzionatori di natura amministrativa o penale, non seguiranno ulteriori comunicazioni/provvedimenti da parte dell’intestato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘. Cont
Accolti i succitati motivi di gravame, risulta superfluo l’esame delle censure a mezzo delle quali l’ ha chiesto disporsi, in via istruttoria, prova
testimoniale sui capitoli non ammessi in primo grado ovvero a mezzo dei testi ed così come devono ritenersi assorbite le critiche mosse dalle società appellanti in via incidentale circa il loro obbligo di ‘repechage’, non essendo stato accertato alcun centro unico di imputazione tra le varie imprese in giudizio.
Ciò doverosamente stabilito, restano da scrutinare i restanti motivi dell’appello principale di inerenti all’insussistenza dell’obbligo di ‘repechage’ nonché l’appello incidentale del
9.1. Essi, tra loro intimamente connessi, sono entrambi infondati, dovendosi confermare l’impugnata sentenza, seppur con diverso e parziale iter motivazionale riguardo alle censure della
Giova preliminarmente rimarcare che ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604 del 1966 il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è determinato da cause inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di questa.
In tale contesto dev’essere provata la necessità di procedere alla soppressione del posto di lavoro o del reparto cui è addetto il dipendente, senza, peraltro, che occorra la totale soppressione delle mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, che ben possono essere anche solo diversamente ripartite tra i lavoratori rimanenti.
Per costante giurisprudenza della Suprema Corte, inoltre, il datore di lavoro ha l’onere di provare anche l’impossibilità di una sua utile ricollocazione in mansioni equivalenti o addirittura inferiori rispetto a quelle da ultimo espletate.
In altre parole, la parte datoriale deve dimostrare l’impossibilità del c.d. repechage del lavoratore, giustificandosi il recesso solo come extrema ratio (Cass., Sez. Lav., 13.11.2023, n. 31451; Cass. n. 12101/2016; Cass. n. 13116/2015; Cass. n. 13112/2014; Cass. n. 7381/2010; Cass. n. 11720/2009).
Incombe sul datore di lavoro, altresì, la prova di non aver effettuato, per un congruo periodo di tempo dopo il recesso, nuove assunzioni in qualifiche analoghe a quelle
del dipendente licenziato (Cass. 05.12.2018 n. 31495; cit. Cass. n. 13112/2014; Cass. 21579/2008).
10.1. Tanto premesso, risulta destituita di fondamento la doglianza del circa l’omessa prova del giustificato motivo oggettivo.
A tale riguardo, non risulta adeguatamente censurato il passaggio motivazionale della sentenza laddove è stato rilevato che (la cui posizione, per tutto quanto sopra esposto, dev’essere valutata in modo del tutto autonomo, con la conseguenza che del tutto inconferenti risultano in questa sede le nuove assunzioni effettuate dal ‘gruppo’ quali elencate a pag. 55 dell’appello incidentale del lavoratore) in primo grado ha documentato come, per far fronte alla crisi economica e pandemica, ha provveduto alla richiesta di CIG ordinaria (all.10/11) da marzo 2020 a tutto il settembre 2020, ha subìto un notevole decremento nel bilancio (anni 2020/2021 all.ti 14/15) nonché problemi vari, finanziari e fiscali, attestati dalle richieste di dilazioni nel pagamento delle cartelle di pagamento di cui agli allegati 16/17/18; ‘tutte circostanze non specificatamente contestate da parte ricorrente, di conseguenza il riassetto organizzativo derivante ha comportato la soppressione della posizione lavorativa del .
In aggiunta, nelle motivazioni addotte a fondamento del licenziamento, la società datrice ha fatto pure riferimento alla necessità di mutare l’organizzazione tecnico produttiva, tant’è vero che, per le motivazioni che meglio si illustreranno in seguito (v. punto 10.3), ha proceduto all’assunzione di nuovo personale altamente qualificato (n. 2 unità).
10.2. La sussistenza del giustificato motivo oggettivo alla base del licenziamento intimato al lavoratore appellante incidentale esclude poi il preteso carattere ritorsivo, posto che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, è a tal fine necessario che l’intento di rappresaglia abbia avuto efficacia determinante ed esclusiva della volontà della parte datoriale di risolvere il rapporto di lavoro.
Invero, il licenziamento ritorsivo consiste in un’ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro a un comportamento legittimo del lavoratore e inerente a diritti a lui
derivanti dal rapporto di lavoro o a questo, comunque, connessi, sanzionata con la nullità solo quando il motivo ritorsivo è stato l’unico determinante il recesso (Cass. n. 1640/2017; Cass. n. 14928/2015).
Dunque, in caso di allegazione da parte del lavoratore del carattere ritorsivo del licenziamento, per accordare al medesimo la tutela riconosciuta dall’ordinamento, occorre che l’intento di vendetta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di risolvere il rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 9468 del 2019;Cass. n. 3986 del 2015; Cass. n. 14816 del 2005), dovendosi escludere la necessità di procedere a un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili a una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. 07 marzo 2023, n. 6838).
Il motivo illecito deve cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, sicché il motivo lecito formalmente addotto a giustificazione dello stesso deve risultare insussistente nel riscontro giudiziale, con la conseguenza che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all’applicazione della tutela ex lege prevista, richiede il previo accertamento del difetto della causale posta a fondamento del licenziamento (Cass. n. 31526/2019; Cass. n. 9468/2019 cit.); e, all’inverso, ‘nel caso in cui risulti sussistente il giustificato motivo oggettivo di licenziamento è automaticamente escluso l’intento ritorsivo che, in quanto motivo illecito, deve essere unico e determinante’ (Cass. n. 11353/2019; Cass. n. 14197/2018).
Qualora il lavoratore assuma che il licenziamento è stato irrogato per rappresaglia, il datore di lavoro deve provare, ai sensi dell’art. 5 della L. n. 604 del 1966, l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso, idonea a rendere irrilevante l’accertamento di un’eventuale natura ritorsiva del provvedimento espulsivo; ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita, incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’intento ritorsivo e, dunque, l’illiceità del motivo unico determinante il recesso (Cass. 04 luglio 2018, n. 17522; Cass. 14.03.2013 n. 6501), il quale può
essere assolto anche attraverso presunzioni che, per poter assurgere al rango di prova, debbono essere gravi, precise e concordanti (Cass. n. 20742/2018; Cass. n. 26035/2018; Cass. n. 27325/2017; Cass. n. 18283/2010).
Il giudice del merito può ‘valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo di recesso, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso’ (Cass. n. 23583 del 2019).
Nel caso di specie, come già chiarito, l’istruttoria espletata ha comprovatole difficoltà economiche in cui versava RAGIONE_SOCIALE e che giustificavano la soppressione della posizione lavorativa in esame (motivazione già di per sé assorbente), così come non risulta alcun serio elemento istruttorio idoneo a corroborare l’assunto di un intento ritorsivo, in capo al datore, quale ‘reazione’ alle richieste retributive avanzate dal circa il trattamento di trasferta a Fabriano presso la RAGIONE_SOCIALE (richieste che, tra l’altro, stando alle generiche allegazioni del lavoratore consistevano nella rivendicazione, sintomaticamente non reiterata, almeno sino ad ora, in sede giudiziale, di un ‘trattamento più congruo rispetto all’evidente sacrificio che il lavoratore era chiamato a sopportare’).
10.3. Cionondimeno, non può ritenersi assolto l’obbligo di ‘repechage’ in capo alla società datrice.
Difatti, dall’acquisizione della documentazione contabile (v. risultanze del LUL prodotto dalla stessa sulle quali dunque si è dispiegato un regolare contraddittorio sia in primo grado che, a maggior ragione, in questa sede) relativa ai dipendenti di nel periodo dal novembre 2021 al novembre 2022, disposta dal Tribunale, sono emerse le seguenti nuove assunzioni:
il 10.11.2021, , con qualifica di operario di I livello e con contratto a termine e a tempo pieno sino al 31.12.2021;
il 03.01.2022, , con qualifica di impiegato di V livello (ingegnere meccanico) e con contratto a tempo pieno ed indeterminato;
il 01.06.2022, , con qualifica di impiegata di VI livello e con contratto a tempo determinato sino al 30.06.2022.
Orbene, se da un lato le assunzioni dei dipendenti e senza dubbio non potevano essere ‘riassegnate’ in favore del poiché richiedenti un’alta professionalità ed un titolo di studio non in possesso di quest’ultimo, dall’altro lato vi è che, dalla consultazione dei cedolini paga del (successivi alla scadenza del contratto di lavoro a termine originariamente fissata al 31.12.2021), risulta che quest’ultimo, proprio in concomitanza con il licenziamento per cui è causa, sia stato poi ‘stabilizzato’ a tempo pieno, con inquadramento nel superiore II livello, ovvero lo stesso livello di partenza del allorquando è stato assunto dalla RAGIONE_SOCIALE.
Al riguardo si rammenta il principio dell’obbligo del datore di lavoro di provare che il lavoratore non abbia la capacità professionale richiesta per occupare la diversa posizione libera in azienda, in base a circostanze oggettivamente riscontrabili, altrimenti risultando il rispetto dell’obbligo di repéchage sostanzialmente affidato ad una mera valutazione discrezionale dell’imprenditore (Cass. 27 settembre 2018, n 23340); sicché, ai fini qui in esame, il riferimento ai livelli di inquadramento predisposti dalla contrattazione collettiva costituisce elemento che il giudice deve valutare per accertare in concreto se il lavoratore licenziato fosse o meno in grado di espletare le mansioni di chi sia stato assunto ex novo, sebbene inquadrato nello stesso livello o in un livello inferiore, in base a circostanze addotte dal datore medesimo verificabili oggettivamente, avuto riguardo alla specifica formazione e all’intera esperienza professionale del dipendente (Cass. 13 novembre 2023, n. 31561), laddove nella specie nulla ha dedotto per giustificare e/o evidenziare l’eventuale inconferenza, ai fini della valutazione dell’inadempimento dell’obbligo di repechage, della suddetta documentazione (buste paga Martinelli) da essa stessa prodotte essendosi sul punto limitata a dedurre (in modo del tutto generico) nelle sole note conclusive depositate in primo grado in relazione all’udienza del 19.9.2024, che il in quanto inquadrato come ‘operaio’ (con mansioni mai meglio specificate), ‘svolgeva mansioni che il non avrebbe potuto svolgere’.
Va da sé che non risulta aver correttamente adempiuto al proprio obbligo di ‘repechage’, atteso che, al momento dell’intimazione del licenziamento (30.12.2021), ben avrebbe potuto offrire l’attività lavorativa (di grado inferiore) di operaio di II livello al livello tra l’altro da quest’ultimo posseduto al momento dell’avvio della propria carriera ed in relazione al quale non risultava richiesto il possesso di alcuna specifica patente o specializzazione.
10.5. Conseguentemente, al attesa la sola violazione di cui al già menzionato obbligo, va riconosciuta unicamente la tutela obbligatoria, come previsto dall’art. 3, co. 1, del D.Lgs. n. 23 del 2015, così come stabilita in prime cure, ovvero di 10 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, ancorché con differente motivazione ed esclusivamente a carico della
In conclusione, l’appello principale e gli appelli incidentali proposti dalle altre società inizialmente convenute, vanno parzialmente accolti nei limiti sopra menzionati mentre va interamente rigettato l’appello incidentale proposto dal
Resta assorbita ogni altra questione.
Invero, il giudice d’appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, è tenuto a provvedere, anche d’ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese atteso che la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese e la diversa regolazione delle spese deve avvenire in base al principio di cui all’art. 336 c.p.c. secondo un criterio unitario e globale che tenga conto dell’esito complessivo della lite (Cass. 24.01.2017 n. 1775; v. anche Cass. 01.6.2016 n. 11423; Cass. 18.03.2014 n. 6259).
13.1. Ebbene, alla luce dell’esito globale della controversia, sussistono giusti motivi per compensare per la metà le spese del doppio grado del giudizio tra il (comunque parzialmente vittorioso nel merito) e la società mentre si possono interamente compensare le spese del doppio grado tra il e le restanti società appellate alla luce della obiettiva complessità, sia in fatto che in diritto, della vicenda di che trattasi quale emersa dalle (numerose) prove testimoniali raccolte in
prime cure e dalla corposa acquisizione documentale disposta ufficiosamente dal primo giudice proprio al fine di dipanare ulteriormente detta vicenda.
13.2. Deve infine darsi atto della sussistenza dei presupposti, in capo all’appellante incidentale, per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012. Spetta peraltro all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo per l’inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (v. Cass. Sez. Un. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Bari – Sezione RAGIONE_SOCIALE
Definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto da in proprio e quale società incorporante per fusione di con ricorso del 19.03.2025, nonché sugli appelli in via incidentale proposti da con memoria del 14.05.2025, da e con memorie del 19.05.2025 nonché da con memoria del 20.05.2025, avverso la sentenza resa in data 13.02.2025 dal Tribunale di Bari, Giudice del RAGIONE_SOCIALE, così provvede:
accoglie parzialmente l’appello principale ed interamente gli appelli incidentali proposti dalla e e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, annulla il licenziamento intimato a il 30.12.2021 e condanna la sola al pagamento in favore del ricorrente dell’indennità di cui all’art. 3, co. 1, D. Lgs. n. 23 del 2015, nella misura di dieci mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto;
rigetta integralmente l’appello incidentale proposto da
condanna la al pagamento in favore di di metà delle spese del doppio grado del giudizio che si liquidano nell’intero in ragione di complessivi € 4.000,00, quanto al primo grado ed in € 5.000,00 quanto al presente grado di appello, oltre accessori di legge, compensando tra le parti la residua metà;
compensa interamente le spese del doppio grado del giudizio tra le altre parti in causa;
dà atto della sussistenza dei presupposti, in capo all’appellante incidentale,
, per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115/2002, in materia di versamento dell’ulteriore importo del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Bari il 25/11/2025
Il Presidente relatore AVV_NOTAIO NOME COGNOME