Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5970 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5970 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11238-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE);
– intimati – avverso la sentenza n. 2125/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/02/2019 R.G.N. 1593/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Oggetto
Unico centro di imputazione
del rapporto di lavoro
R.G.N. 11238/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 17/01/2024
CC
Rilevato che:
La Corte d’Appello di Milano ha accolto in parte l’appello di NOME COGNOME e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato l’esistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato, dall’11 aprile 2011 al 19 settembre 2013, tra la predetta e le società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, costituenti un unico centro di imputazione del rapporto medesimo; ha condannato le ultime due società, in solido, al pagamento delle differenze retributive, dell’indennità risarcitoria conseguente alla inefficacia del licenziamento e della indennità sostitutiva della reintegra, limitandosi ad una pronuncia meramente dichiarativa nei confronti del RAGIONE_SOCIALE.
La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha accertato che tutte e tre le società avevano ‘la sede e gli uffici nel medesimo luogo, utilizzavano i medesimi consulenti professionali e avevano pressoché il medesimo assetto societario’ (sentenza d’ appello, pag. 3, quinto cpv.); che la dipendente prestava attività lavorativa non solo a favore della formale datrice di lavoro, la RAGIONE_SOCIALE, ma anche a favore delle altre due società, ‘a seguito di ordini e direttive ricevute’ (sentenza, pag. 3, qui nto cpv.), come risultante dalla documentazione in atti.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. NOME COGNOME, il RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE, non hanno svolto difese.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per carenza di motivazione non essendo specificato il contenuto delle direttive e degli ordini dati alla dipendente e, soprattutto, per non essere individuato il soggetto che avrebbe impartito tali ordini e direttive, costituendo l’individuazione di un ‘unico soggetto direttivo’ elemento essenziale della fattispecie della codatorialità.
Con il secondo motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla mancata individuazione del soggetto che av rebbe impartito ‘ordini e direttive’.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2094, 1292 e 1294 c.c. per non avere la Corte d’appello individuato la figura che impartiva ‘ordini e direttive’ indifferentemente nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE e delle altre società riferibili al gruppo asseritamente facente capo alla signora COGNOME.
I motivi, da trattare congiuntamente perché pongono, da diversi punti di vista, la medesima questione, non sono fondati
Questa Corte, superando l”iniziale approccio che aveva valorizzato le frammentazioni fraudolente di un’unica società, finalizzate alla elusione di norme imperative (ad esempio, legate al requisito occupazionale per la tutela c.d. reale o all’ampiezza dell’obbligo di repechage ), e che in questo contesto aveva richiesto l’individuazione di un ‘unico
soggetto direttivo’ che facesse confluire le attività delle singole imprese verso uno scopo comune (v. per tale ricostruzione Cass. 19023 del 2017; n. 26346 del 2016), ha più recentemente statuito (v. Cass. n. 7704 del 2018) che ‘Ove il collegamento econom ico-funzionale tra le imprese sia tale da comportare l’utilizzazione contemporanea e indistinta della prestazione lavorativa da parte delle diverse società si è in presenza di un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro; ne consegue che tutti i fruitori dell’attività devono essere considerati responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, in virtù della presunzione di solidarietà prevista dall’art. 1294 c.c., in caso di obbligazione con pluralità di debitori, qualora dalla legge o dal titolo non risulti diversamente. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE. ha cassato la sentenza di appello che, accertata l’esistenza di un unico centro di imputazione tra le società convenute nonché l’illegittimità del licenziamento, aveva disposto la sanzione della reintegra nei confronti della società formalmente datrice del rapporto di lavoro, condannandola anche al risarcimento del danno, con esclusione dell’obbligo solidale dell’altra società che aveva usufruito ugualmente della prestazione lavorativa)’.
10. Si è ulteriormente precisato (v. Cass. n. 267 del 2019) che ‘Il collegamento economico -funzionale tra imprese di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell’autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta e non determina “ex se” l’estensione degli obblighi inerenti al rapporto di lavoro con una di esse alle altre dello stesso gruppo, mentre la codatorialità nell’impresa di gruppo presuppone l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione economica complessiva a cui appartiene il datore di lavoro formale nonché la condivisione della prestazione del medesimo, al fine di soddisfare l’interesse di gruppo, da parte
delle diverse società, che esercitano i tipici poteri datoriali e diventano datori sostanziali, anche ai fini dell’applicazione delle disposizioni in tema di licenziamento collettivo. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha confermato la decisione di merito che, ravvisata una situazione di codatorialità per avere il lavoratore prestato la propria attività indistintamente per più imprese del gruppo, essendo sottoposto ai poteri direttivi della capofila, aveva dichiarato illegittimo il recesso disposto nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo riferita alla singola realtà aziendale invece che all’impresa di gruppo)’.
A tali principi si è attenuta la decisione di appello che ha accertato, in fatto, l’esistenza di un collegamento economico funzionale tra le varie società e l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa della signora NOME da parte delle stesse, facendone derivare una responsabilità solidale di tutti i fruitori della prestazione per le obbligazioni scaturenti dal rapporto di lavoro, secondo il disposto dell’art. 1294 cod. civ. che stabilisce una presunzione di solidarietà in caso di obbligazione con pluralità di debitori, ove dalla legge o dal titolo non risulti diversamente (v. Cass. n. 7704 del 2018, in motivazione che rinvia a Cass. 10 giugno 1986, n. 3844; Cass. 20 ottobre 2000, n. 13904; Cass. 5 marzo 2003, n. 3249; Cass. 2 luglio 2015, n. 13646) e senza che rilevi la mancata individuazione di un unico soggetto direttivo.
Non ricorre quindi la violazione di legge denunciata e neppure vi è spazio per considerare integrati i vizi di nullità della sentenza per mancanza di motivazione oppure di omesso esame di un fatto storico decisivo.
Sul primo aspetto, non solo la sentenza d’appello non presenta alcuna delle anomalie motivazionali atte ad integrare la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. (v. sul punto Cass., S.U. n. 8053 e 8054 del 2014), ma la motivazione dà
conto del percorso logico seguito e delle ragioni che hanno orientato il convincimento dei giudici. Quanto al secondo profilo, è sufficiente rilevare che l’omesso esame, denunciato dalla ricorrente, non investe un fatto inteso in senso storico bensì un (preteso) elemento costituivo della fattispecie giuridica e pone, quindi, una questione di diritto che esula dall’ambito applicativo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., come delineato dalle S.U. sopra citate.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Non si fa luogo alla regolazione delle spese del giudizio di
legittimità poiché le controparti sono rimaste intimate.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 17 gennaio 2024