Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1131 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1131 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 9152 del ruolo generale dell’anno 2021 , proposto da
COGNOME NOME , nato a Triggiano (BA), il 5/10/1942 ed ivi residente alla INDIRIZZO (cod. fisc. CODICE_FISCALE), NOME NOME , nato a Bari, il 1/4/1951 ed ivi residente alla INDIRIZZO (cod. fisc. CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in atti del pct, dall’avv. NOME Walter COGNOME cod. fisc. CODICE_FISCALE, fax NUMERO_TELEFONO, il quale dichiara di eleggere domicilio digitale ai fini di notifiche e pec.: ), in sostituzione dell’avv. NOME NOME COGNOME (cod. fisc.: CODICE_FISCALE, rinunciante al mandato.
Ricorrenti
contro
Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, in persona del Ministro pro tempore, Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche della Campania, Molise Puglia e Basilicata, in persona del legale rappresentante
pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato (C. F. P_IVA, fax NUMERO_TELEFONO, P.E.C. EMAIL) presso 1 cm uffici in Roma, alla INDIRIZZO per legge domicilia.
Controricorrenti
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n° 109 depositata il 20 gennaio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- NOME COGNOME e NOME COGNOME ingegneri, ottenevano dal tribunale di Bari un decreto col quale veniva ingiunto in solido al Ministero delle infrastrutture e trasporti (Mit) ed al Provveditorato per le opere pubbliche della Campania, Molise, Puglia e Basilicata di pagare ai ricorrenti euro 104.958,42 a titolo di corrispettivo per la progettazione definitiva ed esecutiva delle opere edilizie ed impiantistiche necessarie per l’adeguamento alle norme di prevenzione incendi e di sicurezza generale degli Uffici giudiziari siti in Bari, secondo la convenzione n° 5886 del 29 gennaio 2009 (cui era seguita una nota di conferimento di ulteriore incarico in data 9 giugno 2010, per l’esecuzione di altri interventi).
2 .- Il decreto veniva opposto dagli intimati, i quali eccepivano, sotto distinti profili, la loro carenza di legittimazione passiva.
In particolare, il Provveditorato assumeva essere organo meramente periferico del Ministero delle infrastrutture, mentre quest’ultimo deduceva che obbligato passivo era il Ministero della giustizia.
Il tribunale preliminarmente rilevava che i ricorrenti avevano chiesto ingiunzione di pagamento indistintamente nei confronti del Mit e del Provveditorato, mentre il giudice del decreto monitorio aveva autonomamente individuato il debitore nel solo
Provveditorato (organo periferico dell’Amministrazione statale), invece che nel Mit.
Nondimeno, con l’atto di opposizione proposto dall’Avvocatura erariale nell’interesse (anche) del Mit, il vizio di quel provvedimento era certamente superato, in quanto il contraddittorio tra le parti del rapporto negoziale (Ministero e professionisti) era integro.
Nel merito, il primo giudice, preso atto che tra le parti non erano in contestazione l’avvenuta esecuzione delle prestazioni e l’ammontare del corrispettivo (ridotto in causa dagli stessi professionisti ad euro 83.643,14), disattendeva la tesi degli opponenti e condannava il solo Ministero dei trasporti a pagare l’importo predetto.
Spese secondo soccombenza.
3 .- Proponevano appello il Ministero ed il Provveditorato, ribadendo (primo motivo) la loro carenza di legittimazione passiva, in ragione della funzione, da loro svolta, di mera ‘ centrale di committenza ‘ in nome e per conto dell’effettivo obbligato Ministero della Giustizia, così configurandosi, nella specie, una forma di delegazione intersoggettiva, e censurando (secondo mezzo) la statuizione sulle spese.
4 .-Nel contraddittorio con gli appellati, la Corte d’appello di Bari riformava la prima decisione e, dopo aver revocato il decreto, condannava in solido i professionisti alla rifusione delle spese di entrambi i gradi.
Osservava la Corte che l’originaria convenzione del 29 gennaio 2009, prevedeva inequivocabilmente (art. 11) che ‘ l’importo dell’intervento comprensivo delle spese di progettazione finanziato con i fondi del Ministero della Giustizia sul cap. 7200/pg.2 es. 2007-2008 ‘.
Il tenore della clausola era chiaro nell’individuare il Ministero della giustizia quale soggetto obbligato al pagamento del compenso per l’attività progettuale (sia quella principale che quella, successiva,
integrativa, oggetto della richiesta monitoria), a nulla rilevando il dato che a convenire il rapporto contrattuale de quo fosse stato delegato il competente Provveditorato interregionale delle opere pubbliche, appositamente delegato all’appalto a norma di apposita delega ex art. 33, terzo comma, d.lgs. n° 163/2006: norma pubblica che, disciplinando una peculiare forma di rappresentanza, prevaleva rispetto alle norme di diritto comune.
Non poteva essere condivisa la tesi del primo giudice, secondo la quale il Ministero della giustizia era un semplice finanziatore, atteso che la progettazione espletata dai due ingegneri era evidentemente finalizzata alla manutenzione straordinaria di una struttura di chiara pertinenza dell’Amministrazione finanziatrice, ovvero del Ministero della Giustizia.
Tale conclusione era confermata anche dal teste COGNOME assunto in istruttoria, il quale aveva riferito che il mancato pagamento delle prestazioni professionali in ragione del mancato accreditamento dei fondi da parte del Ministero della Giustizia, così avallando la tesi che il Provveditorato fosse semplicemente delegato, oltre che all’affidamento dell’appalto, anche alla materiale corresponsione del compenso, da eseguirsi, tuttavia, alla condizione dell’avvenuto accreditamento dei fondi necessari da parte dell’Amministrazione beneficiaria delle prestazioni.
5 .- Per la cassazione di tale sentenza ricorrono i due professionisti, affidando l’impugnazione a tre motivi.
Resiste il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili , nonché per il Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche della Campania, Molise Puglia e Basilicata, i quali concludono per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza del ricorso.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.
Nessuna delle parti ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
Con atto del 9 gennaio 2025 si è costituito il nuovo difensore dei ricorrenti indicato in intestazione, in sostituzione del precedente, rinunciatario.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6 .- Col primo motivo i ricorrenti -sulla base dell’art. 360, primo comma, n° 3 cod. proc. civ. -si lamentano della violazione e della falsa applicazione dell’art. 33 del d.lgs. n° 163/2006, nonché dei principi in tema di delegazione intersoggettiva.
Assumono che l’attribuzione delle funzioni di centrale di committenza presupporrebbe, da un lato, l’esistenza di un atto formale e di un disciplinare -la cui esistenza e contenuto la Corte barese aveva solo presupposto e ipotizzato -e, dall’altro, il rimborso dei costi sostenuti per le attività espletate, con ciò essendo chiaro che il rapporto tra delegante e delegato, finché quest’ultimo gestisce il contratto, sarebbe solo un rapporto di provvista interno.
Da qui la violazione dell’art. 33, sia in ragione dell’inesistenza di un rapporto di delega formale e del relativo disciplinare, sia perché la norma non prevede affatto l’esclusione dal rapporto obbligatorio dell’amministrazione gerente.
Col secondo mezzo i professionisti -sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n° 3, cod. proc. civ. -si dolgono della violazione e della falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1372 e 1381 cod. civ.
La Corte territoriale avrebbe anzitutto violato l’art. 1372 cod. civ., omettendo di considerare che le parti del contratto professionale erano il Provveditorato interregionale, da un lato, ed i professionisti incaricati della progettazione, dall’altro.
La conclusione della Corte non poteva fondarsi nemmeno sul testo dell’art. 11 della convenzione 29 gennaio 2009 (‘ l’importo dell’intervento comprensivo delle spese di progettazione è finanziato con i fondi del Ministero della Giustizia sul cap.
7200/pg.2 es. 2007-2008 ‘), poiché l’approvazione di tale Amministrazione -contrattualmente qualificata come RAGIONE_SOCIALE -ai fini della liquidazione, costituiva semplicemente una condizione contrattuale (peraltro verificatasi, non essendo mai stato eccepito il contrario dalla controparte), donde la violazione dell’art. 1362 cod. civ.
Risultava violato anche l’art. 1363, poiché, interpretando le clausole contrattuali le une per mezzo delle altre, la previsione secondo la quale ‘ il pagamento del compenso per l’attività di progettazione svolta sarà corrisposto dal Ministero della Giustizia’ doveva essere intesa come un’espressione rafforzativa del fatto che la sola provvista economica sarebbe stata messa a disposizione da tale Ente, configurandosi comunque una promessa di fatto del terzo ai sensi dell’art. 1381 cod. civ., nella specie pure violato, oppure, tutt’al più, una possibile modalità solutoria diretta, atta ad evitare il doppio passaggio di denaro da un’amministrazione all’altra, non certo idonea a privare di legittimazione processuale e sostanziale la parte contrattuale committente.
Infine, risulterebbe violato anche l’art. 1362, secondo comma, cod. civ., posto che la stessa sentenza impugnata aveva accertato che il Provveditorato aveva non solo proceduto all’affidamento della progettazione, ma anche ad effettuare materialmente i pagamenti.
Col terzo mezzo i ricorrenti lamentano di essere stati condannati alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi.
La Corte li avrebbe condannati senza tenere conto della peculiarità della vicenda, che costituiva quantomeno un motivo di compensazione delle spese predette.
7 .- Per ragioni logiche conviene esaminare dapprima il secondo mezzo.
La Corte d’appello ha accolto l’impugnazione proposta dal Mit e dal Provveditorato sulla scorta di due rationes decidendi .
Da un lato ha ritenuto che tra Ministero della giustizia e Ministero delle infrastrutture vi fosse una ‘ concessione di committenza ‘ ai sensi dell’art. 33, terzo comma, d.lgs. n° 163/2006.
Dall’altro, analizzando le clausole della convenzione 29 gennaio 2009 tra Provveditorato e Professionisti, ha ritenuto che la pattuizione contenuta nell’art. 11 fosse ‘ dirimente ‘, in quanto dalla sua interpretazione si desumeva che ‘ il pagamento dei compensi per l’attività progettuale (sia quella principale che quella, successiva, integrativa, oggetto della richiesta monitoria) gravasse a carico esclusivo del predetto Ministero della Giustizia, a nulla rilevando il dato che a convenire il rapporto contrattuale de quo fosse delegato il competente Provveditorato interregionale delle opere pubbliche, appositamente delegato all’appalto a norma di apposita delega ex art. 33, 3° comma, d.lgs. n° 163/2006, configurandosi, nel caso di specie, il ruolo sussidiario quale centrale di committenza ‘.
Ora, questa seconda ratio , che non è censurabile nella presente sede, è sufficiente da sola a fondare la decisione di merito.
È, infatti, sin troppo noto che l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica dei contratti, e la violazione di queste regole non può dirsi esistente sol perché il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra, tra le molteplici interpretazioni del testo contrattuale ( ex multi s: Cass., sez. III, 10 maggio 2018, n° 11254).
Ebbene, l’interpretazione dell’art. 11 del contratto non appare incoerente con la trascrizione del testo riportato in sentenza, rappresentando essa una delle possibili soluzioni interpretative del contratto.
D’altra parte, i ricorrenti non hanno trascritto nel ricorso più ampi stralci del testo contrattuale contenuto nella convenzione 29 gennaio 2009, ma si sono limitati a censurare l’interpretazione data
dalla Corte alla clausola riportata in sentenza (‘ l’importo dell’intervento comprensivo delle spese di progettazione è finanziato con i fondi del Ministero della Giustizia sul cap. 7200/pg.2 es. 2007-2008 ‘): ond’è che il ricorso presenta anche un profilo di inammissibilità, essendo sprovvisto del requisito previsto dall’art. 366, primo comma, n° 6, cod. proc. civ.
8 .- Anche il primo motivo è infondato.
La censura si appunta principalmente sulla mancanza dell” apposito disciplinare ‘ previsto dall’art. 33, terzo comma, d.lgs. n° 163/2006, ma è palese che -volta che sia esclusa, sotto il profilo negoziale, l’obbligazione del Mit non sembra avere alcun rilievo la questione della sussistenza o dell’insussistenza di una ‘ centrale di committenza ‘, posto che in entrambi i casi l’obbligo di pagamento farebbe comunque capo al Ministero della giustizia, secondo l’interpretazione data dal giudice di merito.
In ogni modo, deve osservarsi che l’istituto della ‘ centrale di committenza ‘ ha avuto alterne vicende nella legislazione dei contratti pubblici.
Dapprima venne introdotto nella misura minima prevista dall’art. 19, terzo comma, della legge n° 109/1994, faceva divieto alle amministrazioni aggiudicatrici ed ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettera b ), di ‘ affidare a soggetti pubblici o di diritto privato l’espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici ‘, prevedendo tuttavia in via eccezionale la possibilità di ‘ affidare le funzioni di stazione appaltante ai Provveditorati alle opere pubbliche o alle amministrazioni provinciali ‘, ma solo ‘ sulla base di apposito disciplinare ‘.
Successivamente l’istituto dopo aver subito alcuni cambiamenti ad opera della legge n° 415/1998 -è transitato nell’art. 33 del d.lgs. n° 163/2006, che, per quanto qui interessa, ha confermato il divieto di ‘ affidare a soggetti pubblici o privati l’espletamento delle
funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici ‘, consentendo, tuttavia, alle amministrazioni aggiudicatrici di ‘ affidare le funzioni di stazione appaltante di lavori pubblici ai servizi integrati infrastrutture e trasporti (SIIT) (…) -che hanno poi riassunto la qualifica di Provveditorati interregionali per le opere pubbliche -‘ sulla base di apposito disciplinare che prevede altresì il rimborso dei costi sostenuti dagli stessi per le attività espletate, nonché a centrali di committenza ‘.
È, dunque, evidente -innanzi tutto -che le ipotesi di collaborazione tra Pubbliche amministrazioni è affidata ad una duplicità di mezzi: un ‘ apposito disciplinare ‘, oppure a ‘ centrali di committenza ‘, con la conseguenza che queste ultime non presuppongono necessariamente -come invece vorrebbero i ricorrenti col primo motivo -un accordo scritto tra la PA delegante e quella delegata.
In ogni modo è chiaro che, anche nell’ipotesi dell’apposito disciplinare, il perimetro della delega è tracciato dell’accordo stesso.
Sul punto questa Corte ha avuto modo di chiarire, in un caso del tutto analogo al presente (Cass., sez. I, 10 giugno 2020, n° 11069, con menzione di altri precedenti), che si è in presenza di una ipotesi di collaborazione tra enti nell’esecuzione di opere pubbliche e che, nell’ambito dell’indicata figura, la stipulazione di contratti di appalto con i terzi non si traduce sempre nell’assunzione della veste di committente da parte della stazione appaltante, che può, invece, essere chiamata ad operare quale ente prescelto per la realizzazione dell’intervento programmato, e dunque in qualità di nudus minister dell’ente competente, privo di poteri esterni idonei a consentirne l’individuazione quale controparte sostanziale dell’appaltatore.
Né può attribuirsi a siffatta qualificazione una portata assoluta in ragione della pluralità delle forme in cui si può manifestare la predetta collaborazione.
Si assiste, piuttosto, ad una regola generale ed astratta che in sede applicativa, in relazione alle singole fattispecie, può subire deroghe in relazione alla qualità o all’ampiezza dei poteri attribuiti agli enti cooperanti dalla legge o dall’atto amministrativo.
Può, così, aversi il mero compimento degli adempimenti materiali necessari per la realizzazione dell’intervento o ancora una estensione destinata a ricomprendere la delega con effetti esterni del potere di contrattare con i terzi e di assumere gli obblighi derivanti dagli atti posti in essere, incluso quello di pagare il corrispettivo dell’appalto.
Nel caso concreto la Corte d’appello ha motivato con un passaggio logico non adeguatamente censurato in sede di legittimità -sulla non riferibilità dell’appalto al Mit, fondando tale conclusione sulla constatazione (sentenza pagina 6) che la PA convenuta era «deputata ad agire quale ‘centrale di committenza’ con un’evidente qualifica rappresentativa, agendo in nome e per conto dell’amministrazione beneficiaria del servizio» .
Pertanto, i ricorrenti avrebbero dovuto trascrivere nel ricorso -o almeno riassumerne il contenuto -gli atti e/o i documenti di causa dai quali desumere che il modulo organizzativo tra PA delegante e PA delegata era inesistente o, comunque, non corrispondeva a quello ritenuto in sentenza e identificato, come detto, dalla Corte territoriale nell’agire in nome e per conto del Ministero della giustizia.
In conclusione, la titolarità passiva dell’obbligazione in capo agli odierni resistenti non può essere predicata né in base al testo contrattuale, ormai insindacabilmente interpretato dalla Corte territoriale nel senso indicato al precedente paragrafo n° 7; e né in
base all’esistenza di un modulo organizzativo diverso da quello ritenuto dal giudice del merito.
9 .-Si passa ora all’esame del terzo mezzo (sulle spese dei precedenti gradi di giudizio), che appare inammissibile, in quanto si limita a chiedere la riforma del capo condannatorio sull’unico e stringato rilievo che la Corte territoriale non avrebbe ‘ tenuto in nessun conto la peculiarità della vicenda, che non ha nulla di scontato ‘.
La concisa motivazione addotta a supporto del mezzo non illustra in cosa sia consistita la ‘ peculiarità ‘ invocata.
Peraltro, deve pure considerarsi che questa Corte era già intervenuta nella presente materia col citato precedente n° 11069/2020, nel quale sono indicate ulteriori precedenti decisioni in ordine al problema della delega tra Pubbliche amministrazioni, tutte nel senso che la questione della titolarità e della legittimazione passiva del rapporto vanno risolte secondo un’indagine da condursi caso per caso.
10 .- Il rilievo sulla incomprensibile estraneità alla procedura del Ministero della giustizia (sentenza pagina 7), sussumibile nel concetto di ‘ gravi ed eccezionali ragioni ‘ nel senso indicato da Corte cost. n° 77/2018, giustifica la parziale compensazione spese del presente giudizio nella misura della metà e la condanna dei ricorrenti alla rifusione del residuo 50% in favore delle controricorrenti.
Per la liquidazione delle spese predette -fatta in base al d.m. n° 55 de 2014, come modificato dal d.m. n° 147 del 2022, ed al valore della lite (euro 104,9 mila) -si rimanda al dispositivo che segue.
Va, inoltre, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico solidale dei ricorrenti, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate per metà le spese del presente giudizio di cassazione, condannando i ricorrenti in solido a rifondere ai resistenti la residua metà delle spese predette, che liquida, per l’intero, in euro 3.500,00 per compensi , oltre le spese eventualmente prenotate a debito. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico solidale dei ricorrenti, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2025, nella camera di