Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19201 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19201 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
La Corte di Appello di Bari ha rigettato il gravame proposto dai lavoratori indicati in epigrafe avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto le loro domande, proposte nei confronti della datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE volte al riconoscimento del loro diritto ad ottenere l’applicazione del CCNL Regioni ed Autonomie Locali in luogo del CCNL irrigui e forestali e la condanna a porre in essere gli atti propedeutici alla stipula di contratti individuali di lavoro in applicazione del suddetto CCNL.
La Corte territoriale ha ritenuto che agli istanti, operai stagionali agricoli e forestali assunti a tempo determinato alle dipendenze della Regione Puglia e transitati nei ruoli A.R.I.F. ex art. 12, comma 2, lett. b) della legge regionale n. 3/2010, fosse applicabile il CCNL privatistico.
Il giudice di appello, ricostruito il quadro normativo di riferimento, ha in particolare evidenziato che nella fase di prima istituzione A.R.RAGIONE_SOCIALE. potesse avvalersi di personale già assunto dalla Regione Puglia; ha dunque ritenuto che l’Agenzia foss e tenuta ad applicare il CCNL privatistico nei confronti del proprio
personale, ed il CCNL Regioni ed Autonomie Locali al personale della Regione Puglia.
Ha ritenuto che la fattispecie diversa da quella esaminata da Cass. n. 10973/2015, riguardante il rapporto di lavoro degli operai forestali dipendenti dall’A .F.O.R., essendo stata in quel caso accertata e non più in discussione la natura pubblicistica del rapporto di lavoro dal giudice di merito, mentre nel caso di specie il Tribunale aveva affermato la natura privatistica dello status giuridico e contrattuale del personale operaio assunto con contratto a termine dalla Regione e stabilizzato presso l’A .R.I.F. e tali statuizioni non erano state adeguatamente censurate.
Ha considerato irrilevante l’abrogazione dell’art. 12 della legge regionale n. 3/2010 da parte dell’art. 32 della legge regionale n. 45 del 2012, in quanto successiva alla stabilizzazione dei ricorrenti, passati alle dipendenze dell’A .R.I.F. e inquadrati a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 12, comma 2, lett. b ed individuati nella dotazione organica dell’ente sin dalla DGR n. 1332 del 16.6.2011.
Ha inoltre escluso una disparità di trattamento dei ricorrenti rispetto ai destinatari della delibera del DG n. 115 del 26.6.2012, atteso che a differenza di questi ultimi non avevano partecipato alle procedure selettive riservate agli operai a tempo indet erminato, previste dall’art. 16, comma 5, della legge regionale n. 3/2010, per l’inquadramento nei ruoli del personale O.T.I. ex irrigui, transitato all’Agenzia, già aventi titolo all’inquadramento nei ruoli regionali ai sensi dell’art. 23, legge re gionale n. 7/1997.
Ha ritenuto che l’atto politico , di data incerta, con cui era stata espressa la volontà asseritamente manifestata dalla Regione Puglia nel documento MAIA di dare applicazione al CCNL Regioni ed Enti Locali non avesse incidenza sul giudizio, teso a vagliare esclusivamente l’eventuale sussistenza di un dir itto e la sua sussumibilità in una disposizione di legge.
Avverso tale sentenza i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L’ RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorso denuncia erronea e/o insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia; violazione e/o falsa applicazione di norma di legge, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che l’ RAGIONE_SOCIALE è un ente pubblico strumentale della Regione Puglia, e che in linea di principio nulla osta all’applicabilità del c.d. ‘contratto pubblico’ ai suoi dipendenti; sostiene che l’ente pubblico debba o possa applicare ai dipendenti che ne facciano rich iesta il CCNL Regioni ed Enti Locali.
Evidenzia l ‘acclarata e pacifica esistenza, all’interno dell’Agenzia , di un nutrito gruppo di dipendenti ai quali è stata riconosciuta l’applicazione del CCNL Regioni ed Enti Locali; precisa che l’applicazione di un regime contrattuale è ben diversa dall’accesso all’impiego pubblico, per il quale la legge prevede l’obbligatori età del concorso o della selezione.
Richiama la delibera del DG n. 20 del 8.2.2018, allegata alle note conclusive di primo grado, da cui risulta l’assunzione di 10 unità a tempo determinato, provenienti da agenzia di somministrazione, alle quali era stato applicato il CCNL Regioni ed Autonomie Locali, e critica la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto la tardività del documento, essendo il suddetto documento sopravvenuto alla proposizione del ricorso.
Invoca l’applicazione dei principi espressi da Cass. n. 10973/2015, secondo cui una volta venuta a regime la normativa sul pubblico impiego privatizzato, è da escludersi che la disciplina dei rapporti di lavoro nella Pubblica Amministrazione possa trovare la sua fonte in contratti collettivi di diritto comune, come tali estranei, nella loro formazione, alla suddetta specifica inderogabile disciplina.
Il motivo è inammissibile ex art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (v. Cass. n. 9664/2025, resa in una fattispecie analoga).
I ricorrenti si limitano a dedurre la natura di ente di diritto pubblico dell’A .RRAGIONE_SOCIALE e a richiamare un precedente di questa Corte relativo ad altro ente (ARAGIONE_SOCIALE) di altra regione (Calabria), ma non specificano quali norme di diritto sarebbero state violate dalla Corte territoriale.
Va inoltre rammentato che a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 7090/2022; Cass. n. 22598/2018. Cass. n. 23940/2017).
Peraltro, nel richiamare la delibera del DG n. 20 del 8.2.2018 e Cass. n. 10973/2015, la censura non si confronta con le statuizioni della sentenza impugnata, che ha considerato non adeguatamente censurate le statuizioni del Tribunale in ordine al carattere privatistico dello status giuridico e contrattuale del personale operaio assunto a termine dalla Regione e stabilizzato presso l’A .R.I.F. ed ha ritenuto che l’atto politico con cui la Regione Puglia aveva espresso la volontà di dare applicazione al CCNL Regioni ed Enti Locali non incide sul presente giudizio, nel quale deve essere vagliata esclusivamente l’eventuale sussistenza di un diritto e la sua sussumibilità in una disposizione di legge.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia erronea e/o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia in ordine all’art. 360, comma
primo, n. 5 cod. proc. civ; violazione e falsa applicazione di norma di legge in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Lamenta la mancanza di chiarezza e di esaustività dell’argomentazione contenuta nella sentenza impugnata, che ha ritenuto irrilevante l’abrogazione dell’art. 12, commi 3, 4 e 5 della legge regionale n. 3/2010 da parte dell’art. 32 della legge regionale n. 45 del 2012; denuncia l’assoluta insufficienza della motivazione.
Evidenzia l’erroneità di tale statuizione, qualora fondata sull’irretroattività della legge, atteso che l’abrogazione di dette norme è precedente alla domanda dei ricorrenti.
La censura, inammissibile nella parte in cui denuncia l’insufficienza della motivazione, è nella restante parte infondata, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte (v. per tutte Cass. n. 23716/2024).
L ‘art. 23 della legge regionale n. 36 del 2017 ha inserito nel testo dell’art. 12 della legge regionale n. 3 del 2010 il comma 2quinquies secondo cui: ‘Al personale forestale/agricolo, impiegato, ovvero operaio, dell’agenzia si applica il contratto collettivo nazionale per gli addetti ai lavori di sistemazione idraulicoforestale e idraulico-agraria, con conseguente applicazione del relativo trattamento giuridico-economico e assicurativoprevidenziale’.
Anche per quanto riguarda il periodo intermedio tra il 2012 (anno di abrogazione del comma 3 dell’art. 12 della legge n. 3 del 2010) e il 2017 (anno di introduzione nel medesimo art. 12 dell’analogo comma 2 -quinquies ), occorre considerare che il citato art. 32 della legge regionale n. 45, nell’abrogare l’esplicito riferimento alla contrattazione collettiva di diritto privato, ha anche disposto che ‘al fine di garantire ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, l’Agenzia regionale per le attività irrigue e forestali avvia, entro trenta giorni dalla data di entrata in v igore della presente legge, un’apposita procedura di informazione e consultazione delle organizzazioni sindacali sottoscrittrici dei Contratti collettivi nazionali dalla stessa applicati e dalle confederazioni alle quali esse aderiscono’.
Dunque, con la previsione di una nuova procedura di informazione e di consultazione con le medesime organizzazioni sindacali sottoscrittrici dei
Contratti collettivi nazionali precedentemente applicati, anche la norma introdotta nel 2012 implicava la perdurante applicazione dei contratti di diritto privato.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento del le spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 6.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per i ricorrenti , ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte