LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Cavidotto abusivo: rimozione sì, risarcimento no

La Corte d’Appello di Genova ha confermato l’ordine di rimozione di un cavidotto abusivo installato da una società su un terreno privato. Tuttavia, ha respinto sia l’appello principale della società che quello incidentale del proprietario del fondo per il risarcimento dei danni. La Corte ha stabilito che, in assenza di una prova specifica di un concreto pregiudizio economico o di godimento, la sola presenza del manufatto non giustifica un risarcimento. La decisione ha anche riformato la condanna alle spese, compensandole integralmente tra le parti per via della soccombenza reciproca.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 28 novembre 2024 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Cavidotto abusivo: la rimozione è dovuta, ma il risarcimento del danno non è scontato

La presenza di un cavidotto abusivo sul proprio terreno dà diritto alla sua rimozione, ma non automaticamente a un risarcimento del danno. È quanto ha stabilito la Corte d’Appello di Genova in una recente sentenza, rigettando la richiesta di risarcimento del proprietario di un fondo a causa della mancata prova di un concreto pregiudizio. Questa decisione offre importanti spunti sulla differenza tra tutela reale e tutela risarcitoria del diritto di proprietà.

I fatti del caso

Un imprenditore agricolo scopriva che, anni prima, una società energetica aveva interrato un cavo elettrico nei suoi terreni senza alcun preavviso o autorizzazione. Tali terreni, coltivati a uliveto e con alcuni casolari da ristrutturare, venivano attraversati dal manufatto. Dopo aver tentato invano di ottenere la rimozione del cavo tramite plurime richieste scritte, il proprietario decideva di agire in giudizio.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda del proprietario, ordinando alla società la rimozione integrale del cavidotto e il ripristino dei luoghi. Tuttavia, respingeva la richiesta di risarcimento dei danni, ritenendo non provata la diminuzione del godimento o il mancato sfruttamento economico dell’immobile. Entrambe le parti impugnavano la decisione: la società per evitare la rimozione, il proprietario per ottenere il risarcimento negato.

La decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Genova ha confermato la decisione di primo grado su entrambi i punti centrali:

1. Conferma dell’ordine di rimozione: La Corte ha respinto l’appello della società, accertando che il cavidotto insisteva effettivamente su proprietà privata senza alcun titolo legittimo (come un contratto o un provvedimento di servitù). Le argomentazioni della società sulla presunta natura pubblica della strada sotto cui passava parte del cavo sono state ritenute infondate.
2. Rigetto della domanda di risarcimento: La Corte ha respinto anche l’appello del proprietario, confermando che il danno da occupazione illegittima non può essere considerato esistente in re ipsa (cioè, per il solo fatto dell’illecito), ma deve essere specificamente allegato e provato.

Inoltre, la Corte ha riformato la statuizione sulle spese legali, disponendone l’integrale compensazione tra le parti per entrambi i gradi di giudizio, in virtù della soccombenza reciproca.

Il cavidotto abusivo e la necessità di provare il danno

Il punto cruciale della sentenza riguarda la prova del danno. La Corte ha richiamato i principi espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 33645/2022), secondo cui il danno risarcibile non coincide con la semplice violazione del diritto di proprietà. Esso consiste, piuttosto, nella concreta possibilità di esercizio del diritto di godere del bene che è andata persa a causa dell’illecito.

Nel caso di specie, il proprietario non è riuscito a dimostrare un pregiudizio specifico. Le sue allegazioni sono state ritenute generiche e ipotetiche, come il presunto blocco dei lavori di ristrutturazione, smentito dagli atti. Mancava la prova di una perdita patrimoniale definita, come un mancato guadagno o una diminuzione del valore dell’immobile.

La ripartizione delle spese legali per soccombenza reciproca

Un aspetto interessante riguarda la modifica del regime delle spese legali. Il Tribunale aveva condannato la società a pagare tutte le spese, in quanto “prevalentemente soccombente”. La Corte d’Appello, invece, ha ritenuto che il rigetto della cospicua domanda di risarcimento del proprietario configurasse una soccombenza reciproca e paritaria. Di conseguenza, ha stabilito che ciascuna parte dovesse sostenere le proprie spese legali per entrambi i gradi di giudizio, ritenendo questa soluzione più equa dato l’esito del processo.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione distinguendo nettamente la tutela reale da quella risarcitoria. La prima, che porta all’ordine di rimozione, mira a ripristinare la legalità violata e a tutelare il diritto di proprietà per il futuro. La seconda, invece, è orientata al passato e serve a compensare una perdita patrimoniale effettivamente subita.

Per quanto riguarda la rimozione, è stato sufficiente dimostrare la proprietà del fondo e l’assenza di un titolo che legittimasse la presenza del cavidotto. La società non è riuscita a provare l’esistenza di un suo diritto a mantenere il manufatto in loco.

Per il risarcimento, invece, il proprietario avrebbe dovuto allegare e provare circostanze specifiche, come la perdita di un’opportunità di vendita o di locazione, o l’impossibilità di realizzare un progetto edilizio a causa dell’interferenza del cavo. Affermare genericamente un danno all’attività economica o basarsi su un’ipotetica destinazione produttiva del terreno non è stato ritenuto sufficiente. La Corte ha sottolineato che il risarcimento non può avere una funzione punitiva, ma solo compensativa di un danno effettivamente verificatosi.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: chi subisce l’installazione di un cavidotto abusivo o un’altra forma di occupazione illegittima ha pieno diritto a chiederne e ottenerne la rimozione. Tuttavia, per ottenere anche un risarcimento economico, è indispensabile fornire al giudice la prova rigorosa di un danno concreto, specifico ed effettivo. Una semplice lamentela sulla violazione del diritto di proprietà non basta. La decisione evidenzia anche come l’esito delle singole domande influenzi la ripartizione finale delle spese legali, potendo portare a una compensazione totale anche quando una delle parti ottiene un risultato apparentemente più significativo.

È sufficiente la presenza di un cavidotto abusivo su un terreno per ottenere il risarcimento del danno?
No, secondo la sentenza, la sola presenza del manufatto illecito non è sufficiente. Il proprietario deve allegare e provare la concreta possibilità di godimento del bene che è andata persa a causa dell’occupazione, dimostrando un pregiudizio specifico e non meramente ipotetico.

Cosa si intende per ‘soccombenza reciproca’ in relazione alle spese legali?
Si ha soccombenza reciproca quando entrambe le parti di un processo vengono sconfitte su alcune delle loro domande. In questo caso, il proprietario ha vinto ottenendo l’ordine di rimozione, ma ha perso sulla richiesta di risarcimento. Per questo motivo, la Corte ha ritenuto giusto che ciascuna parte pagasse le proprie spese legali, compensandole.

Qual è la differenza tra tutela reale e tutela risarcitoria evidenziata dalla Corte?
La tutela reale (come l’ordine di rimozione) è orientata al futuro e mira a ripristinare la situazione di legalità, proteggendo il diritto di proprietà. La tutela risarcitoria, invece, è orientata al passato e serve a compensare una perdita patrimoniale effettivamente subita a causa dell’illecito. Le due tutele non coincidono e richiedono presupposti di prova diversi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati