Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6881 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6881 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 35941/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), presso il cui studio in INDIRIZZO INDIRIZZO è elettivamente domiciliata, giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA/PIVA P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) presso il cui studio in INDIRIZZO INDIRIZZO è elettivamente domiciliata, giusta procura in atti;
-intimata –
RAGIONE_SOCIALE (P_IVA.F. P_IVA)
-intimata-
avverso la sentenza n. 5852/2019 della CORTE DI APPELLO DI ROMA, depositata il 27.09.2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
RAGIONE_SOCIALE domandò con atto di citazione del 2009 essere dichiarata proprietaria per usucapione di una striscia di terreno. La convenuta RAGIONE_SOCIALE eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva per mancanza di titolarità del terreno, genericità della domanda e non usucapibilità del terreno, poiché gravato da servitù di pubblico acquedotto. La convenuta COGNOME aderì alla posizione della RAGIONE_SOCIALE, sua dante causa.
Il Tribunale, concessi i termini di cui all’art. 183 cod. proc. civ., e istruita la causa, rigettò la domanda.
La Corte d’appello di Roma, disattese l’impugnazione della RAGIONE_SOCIALE assumendo che costei era incorsa <>. Ed ancora <>.
In sostanza, la Corte di merito afferma che l’appellante nell’atto introduttivo non aveva indicato elementi fattuali che potessero suffragare la tesi dell’accessione del possesso della dante causa RAGIONE_SOCIALE, al quale l’attrice aveva fatto riferimento solo con la memoria di cui detto, nel mentre le affermazioni afferenti al possesso, spese nell’atto di citazione, riguardavano esclusivamente la sola attrice.
RAGIONE_SOCIALE ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di tre motivi.
La RAGIONE_SOCIALE, la quale ha depositato controricorso, inviato alla Seconda Sezione Civile in data 24/2/2021, ha chiesto di essere rimessa in termini, stante che la notifica al domicilio eletto, secondo l’assunto, non era stata evasa per erronea indicazione in ricorso del codice di avviamento postale, al quale la notificante aveva fatto riferimento.
5.1. Il Presidente Titolare della Sezione, in data 18/3/2021, ha disposto non luogo a provvedere sulla predetta istanza, chiarendo che in simili casi si ha l’onere di procedere a nuova notifica, ancorché fuori termine, ferma la valutazione del Collegio giudicante in ordine alla non imputabilità del ritardo (S.U., 15/7/2016, n. 14594; S.U. 24/7/2009, n. 17352).
5.2. Non consta che RAGIONE_SOCIALE abbia provveduto al rinnovo della notificazione nel rispetto del principio più volte enunciato da questa Corte, secondo il quale, in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo
completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (S.U. n. n. 14594, 15/7/2016, Rv. 640441; conf., ex multis, Cass. nn. 19059/2017, 11485/2018, 20700/2020, 17577/2020). Di conseguenza la società in discorso deve reputarsi intimata e inammissibile la memoria successivamente depositata.
5.3. Non risulta scriminante la circostanza valorizzata dalla RAGIONE_SOCIALE con la memoria, secondo la quale la stessa non avrebbe potuto riprendere tempestivamente il procedimento notificatorio a causa del ritardo con il quale le Poste le avevano notificato l’esito negativo della notificazione.
Per vero, pur ad ammettere la sussistenza di una tale evenienza, la notificante avrebbe comunque dovuto, appena conosciuto (pur con il ritardo evidenziato) l’esito negativo della notificazione, riattivare tempestivamente, nei termini sopra indicati, il procedimento notificatorio.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 183 co. 6, nn. 1-3, 189, 163 co. 3, n. 4, 345 cod. proc. civ.
Afferma la ricorrente che la preclusione affermata dalla Corte locale non sussisteva in quanto non si era trattato della modifica della domanda, bensì di una mera allegazione in fatto, non contestata e sulla quale vi era stato pienezza di contraddittorio, riguardante il possesso utile all’usucapione.
La decisione, prosegue la ricorrente, si poneva in contrasto con la giurisprudenza di legittimità in materia di diritti autodeterminati.
In ogni caso, viene ribadito, non era stata introdotta una modifica della ‘causa petendi’, bensì una mera <> (testo, questo, ripreso, dalla motivazione della sentenza di questa Corte n. 21641/2019).
Nell’atto di citazione la RAGIONE_SOCIALE aveva affermato e documentato di essere proprietaria del terreno <>. Di conseguenza la precisazione in memoria costituiva un mero richiamo all’originaria e rituale allegazione.
6.1. Il motivo è fondato.
6.1.1. Il richiamo alla categoria dei diritti autodeterminati non assume significato dirimente in ordine alla questione sottoposta all’esame del Collegio.
Per vero, secondo diritto vivente (trattasi di giurisprudenza che trova consolidata conferma sin dalla prima massimazione di cui alla sentenza n. 1682/1991), il diritto autodeterminato si identifica con il suo contenuto e non con il titolo con cui viene fatto valere.
Ma la questione che qui si tratta di dipanare è altra. Non si è in presenza dello sciorinamento di un nuovo titolo, ma, ben diversamente, di una specificazione fattuale che, secondo la sentenza impugnata, aveva tardivamente introdotto, poiché in violazione delle preclusioni sulla precisazione del thema decidendum, una inammissibile novità della ‘causa petendi’.
6.1.2. Tuttavia, l’altro argomento posto a sostegno del motivo risulta fondato.
Al fine di escludere la novità appare utile riprendere la giurisprudenza di questa Corte in tema di ultra ed extra petizione, patologie che derivano dall’avere il giudice deciso, non solo su un tema della decisione mai posto, ma, ovviamente, anche su un tema nuovo introdotto tardivamente.
Così si è avuto modo di chiarire, ragionando a riguardo della nullità di cui all’art. 164, co. 4, cod. proc. civ., che l’identificazione dell’oggetto della domanda va operata avendo riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, dall’altro, che l’oggetto deve risultare “assolutamente” incerto. In particolare, quest’ultimo elemento deve
essere vagliato in coerenza con la ragione ispiratrice della norma che impone all’attore di specificare sin dall’atto introduttivo, a pena di nullità, l’oggetto della sua domanda, ragione che, principalmente, risiede nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese (prima ancora che di offrire al giudice l’immediata contezza del “thema decidendum” (Sez. 1, n. 17023, 12/11/2003, Rv. 568105).
Utile risulta riprendere la definizione del perimetro della decisione resa nel rispetto dell’art. 112 cod. proc. civ., perché, in definitiva, la Corte d’appello ha reputato che un tale perimetro sarebbe stato superato ove avesse giudicato ammissibile la puntualizzazione.
Il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori. (Nella specie, la S.C. ha negato il vizio di ultrapetizione della sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte di una domanda risarcitoria per danni da caduta in una doccia di un centro estetico a causa della presenza di materiale viscido su un gradino, ha rilevato la carenza di prova dei fatti, aggiungendo che, se anche dimostrata la caduta nella doccia, il comportamento colposo del danneggiato consistente nel non aver prestato la dovuta attenzione allo stato dei luoghi – era idoneo a interrompere il nesso causale) -Sez. 3, n. 18868, 24/9/2015, Rv. 636968 -. Nello stesso senso, Cass. n.
9002/2018, la quale ha negato il vizio di ultrapetizione della sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte di una domanda di restituzione “pro quota” delle somme custodite in un deposito bancario di cui gli attori assumevano di essere contitolari con il convenuto, l’ha accolta dopo avere accertato che i medesimi attori erano in realtà eredi di uno degli originari contitolari del detto deposito.
Al contrario, sempre in virtù dello stesso principio, si è rilevato il vizio di ultrapetizione della sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte di una domanda di restituzione “pro quota” delle somme custodite in un deposito bancario di cui gli attori assumevano di essere contitolari con il convenuto, l’ha accolta dopo avere accertato che i medesimi attori erano in realtà eredi di uno degli originari contitolari del detto deposito (Cass. n. 8048/2019).
Qui, per vero, dalla narrazione di cui alla citazione introduttiva del giudizio di primo grado la RAGIONE_SOCIALE aveva esplicitato di essere proprietaria del fondo, in quanto pervenutole per avere incorporato, nell’anno 1992, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Né, per altro verso, si era in presenza di una ricostruzione fattuale alternativa, in tutto o in parte, rispetto a quella primigenia. La fusione per incorporazione dà luogo ad una vicenda estintivosuccessoria simile alla successione “mortis causa” a titolo universale tra persone fisiche (cfr. Cass. n. 13685/2023).
Occorre, infatti, evidenziare che la continuazione del possesso in favore dell’erede opera automaticamente, ai sensi dell’art. 1146, comma 1, c.c., diversamente dalla “accessio possessionis” a vantaggio del successore a titolo particolare di cui all’art. 1146, comma 2, c.c. che, invece, rimette alla volontà dell’acquirente, manifestata anche implicitamente e senza il ricorso a forme sacramentali, la scelta di unire il proprio possesso a quello del dante causa (Sez. 2, n. 14505, 06/06/2018, Rv. 648849).
Né, ai fini che qui rilevano, è utile evidenziare che la fusione era stata regolata dalla disciplina antecedente la riforma del 2003, che dette vita all’art. 2504 bis cod. civ. Invero, sia in un caso, che nell’altro, la continuità possessoria è indubbia. Sol che nel regime antecedente la riforma la società incorporante subentra in tutti i rapporti giuridici di quella incorporata, così come nei giudizi pendenti, che proseguono automaticamente nei suoi confronti, senza alcuna interruzione ai sensi degli artt. 299 e ss. c.p.c, anche se la società incorporata deve ritenersi estinta (Sez. 3, n. 21482, 25/10/2016, Rv. 642959). Mentre, nel regime successivo la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivomodificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo (cfr. Cass. n. 1376/2016).
Non trattavasi, quindi, di fatto nuovo che mutava il tema della decisione, introdotto tardivamente, così vulnerando la difesa della controparte, ma di un fenomeno di successione nel possesso, similmente a quello dell’erede (art. 1141, co. 1, cod. civ.), ampiamente enunciato nella narrazione di cui all’atto di citazione, i cui effetti scaturivano ‘ope legis’.
6.1.3. Cassata, pertanto, sul punto la sentenza impugnata, il Giudice del rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto: ‘ la evidenziazione, puntualizzazione o specificazione, con la memoria di cui all’art. 183, co. 6, cod. proc. civ., vigente prima della riforma operata dall’art. 3, co. 13, lett. b, d. lgs. n. 149/2022, di fatti già sottoposti, nella loro comprensibile essenzialità, al dibattito processuale, con l’atto introduttivo del giudizio, non importa tardivo mutamento della causa petendi, nel caso in cui le conseguenze giuridiche che ne derivano costituiscono automatica conseguenza di legge, della quale il giudice è tenuto a conoscere ‘.
7. Il secondo motivo, con il quale la ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 345, co. 1 e 2, 183, co. 6 e
112 cod. proc. civ., per non avere la sentenza impugnata esaminato nel merito l’allegazione di cui si è detto al primo motivo, nonostante la stessa fosse stata riprodotta nell’atto d’appello, resta assorbito (in senso proprio) dall’accoglimento del primo motivo.
Il terzo motivo, con il quale viene denunciata la nullità della sentenza per violazione delle medesime norme di cui al precedente motivo, addebitandosi alla stessa di non avere tenuto nel debito conto che si versava in materia di diritti autodeterminati, resta, del pari, assorbito (in senso proprio).
Il Giudice del rinvio riesaminerà la causa attenendosi al principio di diritto sopra enunciato e provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto motivo e rinvia alla Corte d’appello di Roma, altra composizione, anche per il