Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12848 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12848 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5977 R.G. anno 2023 proposto da:
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 1747/2022 della Corte di appello di Firenze, depositata il 16 agosto 2022.
Udita la relazione svolta alla camera di consiglio del 28 marzo 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha impugnato la sentenza pubblicata il 26 gennaio 2021 del Tribunale di Firenze, che, accogliendo l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE, aveva revocato il decreto ingiuntivo per la somma di euro 39.040,00 oltre interessi, pronunciato su ricorso della predetta società NOME COGNOME a saldo della fattura n. 30/2016: fattura emessa a fronte della «cessione buyout dodici mesi dalla prima uscita di trentadue immagini realizzate per i marchi NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME». La decisione di primo grado era stata motivata osservando che parte opposta non aveva fornito piena prova del credito azionato in sede monitoria e, in particolare, del fatto che il servizio fotografico oggetto del giudizio fosse stato commissionato da RAGIONE_SOCIALE
La Corte di Firenze ha respinto l’appello.
Ha spiegato il Giudice dell’impugnazione che c on l’atto di appello NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto che l’oggetto della causa non riguardava affatto il saldo del prezzo di un servizio fotografico effettuato da essa appellante in favore di NOME RAGIONE_SOCIALE, bensì il pagamento del «corrispettivo del diritto morale d’autore e del diritto di utilizzazione economica a fronte del continuativo utilizzo» di trentadue fotografie oggetto di «un’illecita, in quanto non autorizzata pubblicazione» che aveva avuto luogo sul sito internet della stessa NOME, oltre che sul catalogo, in occasione di fiere, e sui cartelli espositori della medesima posti nei punti di vendita al dettaglio. Ha osservato la Corte di merito che la società NOME COGNOME non aveva agito in via monitoria per far valere un abuso contro la proprietà intellettuale, quanto, piuttosto, per ottenere il pagamento di una prestazione contrattuale: ha precisato, poi, che solo dopo la sentenza di primo grado l’appellante aveva sostenuto che l’oggetto della causa interessava la violazione del diritto d’autore, sebbene nel ricorso per ingiunzione essa avesse «affermato esattamente il contrario, chiedendo il corrispettivo pattuito per avere ‘ effettuato per conto della RAGIONE_SOCIALE un servizio fotografico ‘» ; a
tale riguardo, la Corte territoriale ha menzionato la fattura n. 46 del 30 ottobre 2015, dell’importo di euro 5.612,00, che la società appellante non avrebbe potuto emettere per monetizzare una violazione del diritto di autore. In conclusione, secondo il Giudice distrettuale, COGNOME aveva agito per farsi pagare una prestazione contrattuale commissionata da NOMECOGNOME onde doveva provare il proprio assunto: ciò non era accaduto e anzi la società appellata aveva dimostrato in via documentale di aver acquistato il servizio fotografico da un terzo soggetto.
Avverso la sentenza di appello ricorre per cassazione, con un unico motivo, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso NOME RAGIONE_SOCIALE Vi sono memorie delle parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con l’unico motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e la violazione dell’art. 115 c.p.c.. Secondo la ricorrente, la Corte di appello avrebbe mancato di considerare un elemento istruttorio evincibile dal testo della sentenza, oltre che dagli atti processuali: elemento avente carattere decisivo e che era stato oggetto di discussione tra le parti. Al Giudice di appello si imputa di aver «erroneamente fondato la propria decisione su una fattura commerciale che, evidentemente, non è quella azionata in INDIRIZZO, bensì trattasi di altre e diversa fattura, sempre emessa dalla Andrea COGNOME RAGIONE_SOCIALE, ma che nulla ha a che vedere con il pendente giudizio». La Corte di merito avrebbe quindi omesso di valutare l’elemento documentale costituito dalla fattura n. 30 del 18 giugno 2016, per l’importo di euro 39.040,00 posta a fondamento della domanda monitoria, prendendo invece erroneamente in esame quella del 30 ottobre 2015 recante la somma di euro 5.612,00: questa seconda fattura era stata emessa per la materiale esecuzione del servizio fotografico, e quindi per il pagamento di una prestazione contrattuale, mentre la prima concerneva «il corrispettivo addebitato dalla NOME
RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE per la successiva e non autorizzata utilizzazione delle immagini di cui al servizio fotografico dell’ottobre 2015».
-Il motivo è inammissibile, e così il ricorso.
L’art. 360, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, n. 6, e 369, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).
Come risulta esposto dalla società che impugna, la censura ha ad oggetto l’omesso esame di un «elemento istruttorio»; si imputa cioè alla Corte di appello di non aver preso in esame la fattura n. 5195/2016, su cui si basava la domanda di ingiunzione e di averne consid erata un’altra, che non sarebbe pertinente alla fattispecie dedotta in giudizio. La ricorrente ha dunque mancato di indicare il «fatto storico» il cui omesso esame potrebbe giustificare la cassazione della pronuncia, a norma dell’art. 360, n. 5, c.p.c. .
Tanto esclude che la censura basata su quest’ultima previsione
possa trovare ingresso nella presente sede.
4. La pronuncia impugnata si fonda, del resto, sul rilievo per cui l’odierna ricorrente non ebbe ad agire, in via monitoria, facendo «valere un abuso contro la proprietà intellettuale, bensì per ottenere il pagamento di una prestazione contrattuale». Per contrastare tale affermazione, che integra la vera e propria ratio decidendi della sentenza della Corte fiorentina, la ricorrente avrebbe dovuto non già dolersi del mancato esame del documento costituito dalla fattura sopra indicata, ma proporre una diversa censura , basata sull’ error in procedendo (art. 360, n. 4, c.p.c.) del Giudice di appello: errore consistito, in tesi, nell’aver il detto Giudice malamente apprezzato la causa petendi della domanda proposta, così escludendo che in appello potesse essere fatta valere la pretesa risarcitoria basata sulla violazione del diritto di proprietà intellettuale riconducibile al nominato abuso. E a tal fine, la stessa ricorrente avrebbe dovuto corredare questa distinta deduzione impugnatoria dei pertinenti riferimenti testuali, nel rispetto del principio di autosufficienza: infatti, la deduzione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181).
5. -Quanto appena osservato lascia poi comprendere come risulti essere pure inammissibile la censura avente ad oggetto la violazione dell’art. 115 c.p.c..
Come si è detto, la decisione si fonda, difatti, su di una precisa presa d’atto quanto al contenuto della domanda monitoria: profilo, questo, che nulla ha a che vedere col principio di disponibilità delle prove di cui all’art. 115 c.p.c.. D’altronde, i n tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi
riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016).
6 . – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00, che liquida in euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione