Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 35325 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 35325 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19202/2020 R.G. proposto da: COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
CONSORZIO DI LOTTIZZAZIONE COGNOME, CRISOLITI NOME, CRISOLITI NOME, CRISOLITI NOME, CRISOLITI NOME
-intimati- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 403/2020 depositata il 04/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso, con assorbimento del quinto e del settimo e reiezione dei restanti.
Udito per il Fallimento NOME Costruzioni l’avv. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso
FATTI DI CAUSA
Nel corso del 1989, NOME COGNOME aveva acquistato una porzione di terreno, in Comune di Potenza Picena, ricompresa in una lottizzazione ancora inattuata. La s.rRAGIONE_SOCIALEl. NOME RAGIONE_SOCIALE, acquirente di parte della restante area, si era impegnata a realizzare la strada di urbanizzazione. Sennonché, in fase di completamento, aveva occupato una parte della proprietà COGNOME per circa tre metri. Da parte sua, l’Amministrazione comunale di Potenza Picena aveva stipulato una convenzione con il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, rappresentata dalla stessa RAGIONE_SOCIALE e a cui il RAGIONE_SOCIALE non aveva aderito.
Il COGNOME aveva pertanto agito in negatoria servitutis avanti al Tribunale di Macerata (R.G. n. 1225/96), chiedendo altresì il risarcimento dei danni. Al suddetto giudizio era stato riunito quello di opposizione di terzo (R.G. n. 592/01), promosso da NOME RAGIONE_SOCIALE nei confronti della sentenza, con cui il Pretore di Macerata aveva accolto la domanda di riduzione in pristino del lotto di
proprietà Boccanera, poi riformata dal Tribunale e cassata da questa Corte con decisione n. 10555/2001.
Il giudice adito rigettava le domande dell’attore e accoglieva l’opposizione di terzo.
Su gravame del Boccanera, con sentenza n. 388 del 7 maggio 2020 la Corte di appello di Ancona dichiarava improcedibile la domanda di risarcimento dei danni nei confronti del fallimento della RAGIONE_SOCIALE ed, in parziale accoglimento dell’impugnazione principale, dichiarava l’inammissibilità dell’opposizione di terzo della s.RAGIONE_SOCIALE nonché il difetto di legittimazione attiva del Consorzio Alvata quanto alla domanda di regolamento dei confini, compensando parzialmente le spese di lite.
I giudici di secondo grado premettevano che, dovendosi avere riguardo alla disciplina in tema di associazioni non riconosciute e potendo la domanda risolversi in una condanna nei confronti della curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE quale rappresentante del Consorzio, essa avrebbe potuto essere esaminata ‘soltanto nei limiti della pronuncia adottabile nei confronti del Consorzio quale responsabile nei limiti del fondo comune’.
Rilevato altresì che la sentenza di appello sull’opposizione di terzo era stata cassata con rinvio, senza che nessuna delle parti provvedesse alla riassunzione, affermavano che l’estinzione del giudizio di rinvio avrebbe travolto l’intero processo, compresa la sentenza di primo grado, insuscettibile di acquisire forza di giudicato. Da ciò l’inammissibilità dell’opposizione di terzo ma anche dell’accertamento del la proprietà della particella, come invocata dal COGNOME.
La Corte marchigiana escludeva inoltre la sussistenza di elementi integranti una qualche fattispecie delittuosa e ribadiva la validità degli accertamenti della consulenza tecnica d’ufficio, in esito alle osservazioni dell’appellante, negando che le conclusioni fossero state adottate dagli ausiliari in termini probabilistici.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di sette motivi.
Resiste con controricorso il Fallimento RAGIONE_SOCIALE mentre sono rimasti intimati il Consorzio di RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo, con assorbimento del quinto e del settimo e rigetto dei restanti.
In prossimità dell’udienza pubblica, entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente principale assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 28 della legge urbanistica n. 1150/1942, 38 e 2697 c.c. La sentenza impugnata avrebbe erroneamente limitato la responsabilità dei promotori e dei firmatari della convenzione inerente la lottizzazione del secondo stralcio, senza considerare il principio di corresponsabilità solidale degli autori del reato edilizio. In tal senso, non sarebbe stato possibile, per i proprietari di un’area di lottizzazione, costituire autonomamente un Consorzio con la maggioranza dei due terzi, per superare l’opposizione del Boccanera, che non aveva aderito all’iniziativa, la quale, fra l’altro, sarebbe spettata al Comune, ex art. 23 L. U.
Pertanto, sarebbe stata fondata la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale e da reato nei confronti di ogni componente del Consorzio, sicché la domanda del ricorrente avrebbe dovuto estendersi a ciascuno di essi, senza limitarsi al ‘fondo comune’. In altri termini, avrebbe dovuto ravvisarsi il concorso dei consorziati nella produzione dell’illecito edilizio, lesivo dei diritti del Boccanera.
Con il terzo mezzo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 30 del D. Lgs. n. 104/2010 nonché degli artt. 1227, 869, 871, 872, 2946 e 2947 c.c.
La sentenza impugnata avrebbe ignorato la differente tutela riconosciuta al danno da lesione di interessi legittimi rispetto a quello da lesione di diritti soggettivi. Infatti, l’art. 30 comma 3° del CPA avrebbe superato il principio della c.d. pregiudiziale amministrativa, introducendo un termine decadenziale di 120
giorni per proporre la domanda di risarcimento della lesione di interessi legittimi da parte della P.A.
Quanto alla negatoria servitutis , essendo la stessa proponibile fino alla maturazione dell’usucapione acquisitiva avversaria, sarebbe stato illegittimo il rifiuto della Corte territoriale di disapplicare gli atti amministrativi di approvazione della lottizzazione ‘Alvata’ secondo stralci o, asserendo che la tutela non fosse accordabile per mancata tempestiva impugnazione degli stessi.
I predetti motivi, avvinti dalla medesima impostazione logico-giuridica, sono infondati.
Replicando alle analoghe censure svolte con il gravame, la Corte d’appello ha affermato (pagg. 15 e ss.) che ‘ la tardiva proposizione dell’impugnazione, in un giudizio che ha visto coinvolte anche le medesime parti di questo giudizio, è stato frutto di una precisa scelta dell’odierno appellante emersa nel corso del presente giudizio….non può non attribuirsi a tale esplicita volontà di non voler proporre il ricorso amministrativo avanzato solo successivamente e nella piena consapevolezza della sua tardività ‘ . Quanto al risarcimento del danno, facendo riferimento alla disciplina delle associazioni non riconosciute, ha ritenuto la domanda esaminabile solo nei confronti del Consorzio ‘ quale responsabile nei limiti del fondo comune ‘.
L’ipotesi di reato prospettata dal ricorrente ma esclusa dalla Corte d’appello dà luogo ad una questione di fatto, non sindacabile in Cassazione. Inoltre, neppure è stato indicato il danno in concreto subito dal Boccanera.
In punto di diritto, considerato che è stato evocato il vizio di violazione di legge, vale la pena di ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di
individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U., n. 23745 del 28 ottobre 2020; Sez. 5, n. 18998 del 6 luglio 2021).
Tali principi non sono stati osservati dal COGNOME, che, inoltre, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ha omesso di raffrontare la ” ratio decidendi ” della sentenza impugnata con la giurisprudenza di questa Suprema Corte (Sez. 2, n. 5001 del 2 marzo 2018).
Attraverso la seconda censura, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., il ricorrente deduce la nullità della sentenza, in violazione dell’art. 2909 c.c., avendo il giudice territoriale ignorato il giudicato esterno, derivante dalla sentenza n. 43/94 del Pretore di Macerata, sezione distaccata di Recanati.
Nel giudizio che aveva originato l’opposizione di terzo era emerso che la strada di urbanizzazione, in attuazione del primo stralcio, aveva invaso parte del lotto n. 14, acquistato dal Boccanera come interamente edificabile. La sentenza della Corte di cassazione (n. 10555/01) non aveva disposto un giudizio di rinvio, essendosi limitata ad annullare la sentenza di appello. Pertanto, erroneamente la decisione impugnata aveva ritenuto che l’estinzione del giudizio avesse travolto anche la pronunzia del Pretore di Recanati.
Il secondo motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha affermato testualmente (pag. 22) che ‘ quanto al giudicato derivante dalla sentenza n. 43/94 del Tribunale di Macerata resa nel primo grado del giudizio, definito in cassazione con la sentenza n. 01/10555, già esaminata in relazione ai motivi riguardanti l’opposizione di terzo, non possono che richiamarsi le argomentazioni già svolte sulla base delle quali si è giunti ad affermare che a seguito della mancata riassunzione del giudizio di rinvio vi è stata estinzione dell’int ero giudizio. Escluso il giudicato non vi era necessità per la CTU di tenere conto dell’accertamento di cui alla richiamata sentenza ‘.
In realtà, la sentenza n. 10555 del 2 agosto 2001 -riportata nel corpo del ricorso -afferma a pag. 9 ‘Nella specie, non agendo la società in persona dlel liquidatore, essa è priva della legittimazione processuale ad agire, con conseguente nullità dell’atto di appello e degli atti successivi, ivi compresa la
sentenza oggetto del presente ricorso ‘. In particolare, il dispositivo della Suprema Corte riporta l’inciso ‘cassa senza rinvio’ e dunque l’errore della Corte territoriale non è neppure di tipo revocatorio. La conseguente cassazione senza rinvio ha perciò annullato solo la fase di impugnazione, ma non la sentenza di primo grado.
Infatti, l’accertamento del difetto di legitimatio ad causam , eliminando in radice ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, comporta, a norma dell’art. 382, ultimo comma, c.p.c., l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione (Sez. U., n. 7514 dell’8 marzo 2022).
Nella fattispecie il difetto di legittimazione dell’appellante Finimmobil è sopravvenuto prima dell’atto di gravame, sicché la cassazione senza rinvio ha appunto tolto di mezzo il provvedimento impugnato, coerentemente con il terzo comma dell’art. 382 c.p.c. Conseguentemente, la Corte d’appello avrebbe dovuto trarre le debite conseguenze circa la sorte della sentenza pretorile n. 43/94 e sui suoi effetti nei confronti delle parti e degli aventi causa delle stesse.
La quarta lagnanza è volta a denunciare la violazione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 111 Cost., 132 comma 1° n. 4, 118 disp. att. c.p.c. , ai sensi dell’art. 360 n n. 4 e 5 c.p.c.
La Corte di merito avrebbe omesso di indicare in dettaglio quali fossero i motivi di irrilevanza del fatto illecito, denunciato dal COGNOME, e che pure consistevano nell’illegittimità di una lottizzazione in variante a quella originaria, mediante l’espediente del Consorzio, creato a maggioranza, in assenza dei presupposti giuridici per la sua nomina. In tal senso, il fatto storico sarebbe stato rappresentato dal verbale di costituzione del Consorzio e dalla mancata attivazione della procedura per la costituzione di un consorzio obbligatorio da parte del Comune.
Il motivo è inammissibile.
Con riguardo alla censura di cui all’art. 360 n. 4 c.p.c., si denuncia sostanzialmente un vizio di motivazione. Ma, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della
sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022).
La sentenza impugnata si pone ben al di sopra del minimo costituzionale.
Con riguardo alla censura di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., l ‘esito dei giudizi di merito prospetta l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 360, comma 4° c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395).
6 . La quinta censura attiene all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, concernente il rigetto della negatoria servitutis , ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
L’accertamento delle effettive dimensioni del lotto del Boccanera avrebbe dovuto essere considerato, con valore di giudicato esterno, a seguito della sentenza del Pretore di Macerata, tanto più considerando la declaratoria di inammissibilità dell’opposizio ne di terzo. La consulenza tecnica dei due CTU officiati sarebbe stata erronea anche nel merito, avendo imposto un arretramento delle particelle acquisite dal Boccanera ‘fino a toccare il confine sud’, annullando così il frazionamento allegato all’atto di acquisto del 1989. Da parte sua, la Corte
d’appello avrebbe risposto in maniera evasiva alle osservazioni dei consulenti di parte, non recependo gli effetti del giudicato esterno.
La doglianza va dichiarata logicamente assorbita dall’accoglimento del secondo motivo, che riguarda appunto la formazione del giudicato esterno sulla negatoria servitutis e quindi sulla rimozione della strada illegittimamente realizzata sul fondo dell’attore. Diviene infatti irrilevante interrogarsi sulla variante apportata alla lottizzazione originaria.
7. Il sesto rilievo riguarda la violazione e falsa applicazione degli artt. 404 e 393 c.p.c. , in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., avendo la Corte d’appello omesso di pronunziarsi sulla carenza dei presupposti giuridici, eccepiti dal ricorrente nell’opposizione di terzo e dichiarati erroneamente assorbiti . Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe fondato l’improponibilità su una circostanza inesistente, ritenendo di applicare l’art. 393 c.p.c. nell’errato convincimento che la sentenza pretorile fosse stata travolta dalla mancata proposizione del giudizio di rinvio.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata, al riguardo, ha statuito ‘ In accoglimento della doglianza in esame ed assorbiti gli ulteriori profili dedotti dall’appellante con i due motivi, va quindi dichiarata l’inammissibilità dell’azione di opposizione ex art. 404 c.p.c. proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nel giudizio 502/2008 RG Trib. MC ‘.
Il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e non può consistere nella sola correzione della motivazione della sentenza impugnata ovvero di una sua parte (Sez. 5, n. 19327 del 15 luglio 2024; Sez. L., n. 594 del 15 gennaio 2016).
L’odierno ricorrente, che si era visto accogliere il relativo motivo di gravame, non ha alcun interesse concreto ad impugnare la motivazione adottata dalla Corte d’appello per giustificare il risultato finale, coincidente con quello perseguito dal Boccanera medesimo.
Infatti, i vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato ‘ error in procedendo ‘ (Sez. 3, n. 26419 del 20 novembre 2020; Sez. 1, n. 2626 del 2 febbraio 2018).
Con la settima doglianza, il ricorrente stigmatizza la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., giacché la sentenza impugnata aveva condannato il ricorrente al 50% delle spese di lite, senza invece disporre la condanna avversaria nonché la restituzione della somma di € 47.000,00, corrisposta a controparte per spese legali, oltre al rimborso delle spese peritali.
Il mezzo resta logicamente assorbito dall’accoglimento del secondo motivo , perché sulle spese di lite si pronuncerà nuovamente il giudice di rinvio.
In definitiva, vanno rigettati i motivi primo, terzo, quarto e sesto, deve essere accolto il secondo motivo e vanno dichiarati assorbiti i motivi quinto e settimo. La sentenza è cassata in relazione alla censura accolta e rinviata alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto : ‘ La cassazione senza rinvio, attuando la fase rescindente ma non quella rescissoria, se si limita ad annullare la sentenza di appello per sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire dell’appellante, determina il passaggio in giudicato della decisione di primo grado ‘.
Il giudice del rinvio provvederà altresì in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, accoglie il secondo motivo del ricorso, dichiarati inammissibili il primo, il terzo, il quarto ed il sesto, ed assorbiti il quinto ed il settimo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Seconda Sezione Civile il 21