Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21912 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21912 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
Oggetto: contratti bancari
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12916/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso da ll’ avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata dalla RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.
intimato –
Fallimento di COGNOME COGNOME
intimato –
Fallimento della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione
intimato –
Fallimento della RAGIONE_SOCIALE
– intimato – avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 383/2022, depositata il 3 febbraio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 8 luglio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata il 3 febbraio 2022, che, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, ha accertato il credito della Banca Monte dei Paschi di Siena, ceduto nelle more del giudizio di appello alla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Fallimento di NOME COGNOME quale saldo del conto corrente n. 41416,36, nella (maggior) somma di euro 1.416.494,05, confermando nel resto la sentenza impugnata la quale, per quanto interessa in questa sede, aveva accertato il credito della banca nei confronti della predetta RAGIONE_SOCIALE in euro 205.581,21, quale saldo del conto corrente n. 39816/81;
-dall’esame della sentenza di appello si evince che la correntista RAGIONE_SOCIALE -poi fallita nelle more del giudizio di secondo grado -aveva dedotto l’invalidità del contratto per carenza del requisito formale, la illegittimità delle clausole relative alla capitalizzazione periodica degli interessi passivi, alle commissioni e spese e allo jus variandi , l’illegittimità del recesso , non assistito da preavviso e da giusta causa, e l’illegittima segnalazione della correntista presso la Centrale Rischi, con conseguente domanda restitutoria e risarcitoria;
la Corte di appello ha disatteso i relativi motivi di gravame escludendo sia la contestata invalidità del contratto e delle sue clausole, sotto i profili denunciati, sia l’illegittimità del recesso e della segnalazione alla Centrale Rischi;
il ricorso è affidato a due motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE;
gli altri soggetti intimati non spiegano alcuna difesa;
le parti costituite depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente denuncia , con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost., nella parte in cui ha disatteso il motivo di appello vertente sulla illegittima capitalizzazione degli interessi passivi; -evidenzia, in proposito, l’errore della Corte territoriale, la quale ha applicato alla relativa clausola la disciplina prevista dalla delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000 per i contratti conclusi dopo la sua entrata in vigore benché la doglianza si fondasse sull’allegazione della anteriorità dell’accensione del rapporto rispetto a tale data e vertesse sulla validità dell’adeguamento della clausola operato dalla banca ai sensi dell’art. 7 della predetta delibera;
censura sostanzialmente analoga è formulata con il secondo motivo in relazione al diverso paradigma rappresentato dalla violazione degli artt. 120 t.u.b. e 7 Del. C.I.C.R. 9 febbraio 2000;
osserva, in proposito, che la banca non aveva ritualmente provveduto all’adeguamento delle condizioni applicate ai contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore di tale delibera, così come imposto dall’art. 7 d ella medesima, atteso che le nuove condizioni contrattuali, comportando un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate stante la invalidità della clausola originaria, richiedevano la specifica approvazione della correntista e non già la mera comunicazione delle stesse e la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
i due motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
la Corte di appello ha argomentato la sua decisione sul punto rilevando che il contratto era stato concluso in data 28 giugno 2001 e che la clausola relativa alla capitalizzazione periodica degli interessi passivi era legittima essendo stata assicurata, nel rispetto delle prescrizioni della delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000, il criterio della medesima periodicità nella capitalizzazione degli interessi attivi e passivi;
una siffatta motivazione consente di individuare l’ iter argomentativo seguito dal giudice di merito, per cui la sentenza impugnata si sottrae al denunciato vizio motivazionale, avuto riguardo al ribadito principio secondo cui il sindacato di legittimità sulla motivazione è ormai ridotto alla verifica del rispetto del cd. minimo costituzionale che nel caso in esame risulta essere osservato (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; nello stesso senso, più recentemente, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127).
nella parte in cui la ricorrente si duole del l’errore che la Corte di appello avrebbe commesso nell’individua re la data di conclusione del contratto, la censura si risolve in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie operata dal giudice di merito che, investendo un accertamento a questi riservato, non può essere sindacata in questa sede;
può aggiungersi che il travisamento del contenuto oggettivo della prova, dedotto dalla ricorrente, sussiste in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. ovvero se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento riflette la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti nell’impugnazione per violazione dell’art. 360, n. 4 o n. 5, cod. proc. civ., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (cfr.
Cass., Sez. Un., 5 marzo 2024, n. 5792);
– nessuno di tali paradigmi, tuttavia, è stato invocato dalla ricorrente; – ne consegue, altresì, che la doglianza articolata con il secondo motivo non rispetta il requisito per la formulazione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge consistente nell’assunzione dell’accertamento di fatto come operato dal giudice del merito il quale ha affermato che il contratto era stato concluso in data 28 giugno 2001 -quale termine obbligato, indefettibile e non modificabile, del sillogismo tipico del paradigma dell ‘ operazione giuridica di sussunzione (cfr. Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 8.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’ 8 luglio 2025.