Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7359 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7359 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul l’istanza ricorso iscritto al n. 2531 R.G. anno 2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME Luigi e COGNOME NOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
Intesa Sanpaolo s.p.a. RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliat a presso l’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 222/2020 depositata il 15 luglio 2020 della Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio 2025
dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ Il Tribunale di Tempio Pausania ha rigettato le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME volte ad ottenere la declaratoria di nullità di alcune clausole di un contratto di conto corrente intrattenuto dalla società con Intesa Sanpaolo s.p.a., oltre che la rideterminazione del saldo del detto rapporto e la condanna dell’istituto bancario alla restituzione delle somme dallo stesso indebitamente percepite.
2 . ─ La Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha respinto il gravame avverso la sentenza di primo grado.
La società RAGIONE_SOCIALE hanno proposto un ricorso per cassazione articolato in cinque motivi, cui resiste, con controricorso, Intesa Sanpaolo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Si deduce che la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretato il primo motivo di gravame formulato con riferimento alla mancanza di reciprocità della capitalizzazione tra tasso debitore e tasso creditore effettivi e non già, come ritenuto dalla Corte di appello, con riguardo alla mancanza di proporzionalità dei detti tassi.
Col secondo mezzo si oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1423, 1283, 1344 c.c., 120 t.u.b., 2 e 6 delib. CiCR del 9 febbraio 2000. Si lamenta che il Giudice del gravame non avrebbe accertato l’elusione dell’obbligo di reciproca «pari capitalizzazione» degli interessi nella misura in cui il solo interesse addebito in favore della banca subiva un incremento per effetto dell ‘ incidenza della capitalizzazione stessa.
I due motivi possono scrutinarsi congiuntamente, in quanto connessi, e sono fondati nei termini che si vengono a esporre.
Con l’atto di appello la ricorrente odierna aveva dedotto che la capitalizzazione degli interessi attivi non era stata concretamente pattuita, dal momento che nel contratto di conto corrente il tasso
creditore annuo nominale pattuito risultava essere pari allo 0,010%, mentre il tasso creditore annuo effettivo risultava essere coincidente con detto valore. Come precisato nel ricorso per cassazione, la società istante aveva quindi dedotto che «a prescindere dalla sproporzione degli importi previsti in applicazione dei differenti tassi sul medesimo importo», non risultava «prevista capitalizzazione alcuna (e quindi alcuna reciprocità) per gli interessi creditori».
A fronte di tale censura la Corte di appello ha rilevato che la censura formulata con l’atto di appello non coglieva nel segno dell’argomentazione esposta dal Tribunale, appuntandosi essa «sulla sproporzione tra la misura del tasso creditore e il tasso debitore, essendo il secondo capitalizzato nella sua versione effettiva». Ha aggiunto il Giudice distrettuale che i temi della convenienza economica e della trasparenza delle condizioni applicate sfuggivano alla valutazione del funzionamento dell’anatocismo e non concretizzavano un’ipotesi di frode alla legge: «i tassi infatti, sono enunciati espressamente e le condizioni così formulate sono offerte al cliente senza artificio alcuno sul calcolo dei tassi creditori, indiscutibilmente più bassi di quelli debitori, ma chiari nel loro ammontare, mentre non incide sulla bontà della clausola la circostanza che nella specie avessero trovato applicazione gli interessi passivi».
Così facendo, la Corte di merito ha, per un verso, omesso di pronunciarsi sul tema della mancata previsione di una reale capitalizzazione degli interessi attivi e, per altro verso, mancato di considerare, in diritto, che un tasso annuo effettivo coincidente con quello nominale (pari allo 0,010%, come si è visto) rendeva non valida la pattuizione anatocistica. La previsione, nel contratto di conto corrente stipulato nella vigenza della delibera CICR 9 febbraio 2000, di un tasso di interesse creditore annuo nominale coincidente con quello effettivo non dà infatti ragione della capitalizzazione infrannuale dell’interesse creditore, che è richiesta dall’art. 3 della delibera, e non
soddisfa la condizione posta dall’art. 6 della delibera stessa, secondo cui, nei casi in cui è prevista una tale capitalizzazione infrannuale, deve essere indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione (Cass. 10 febbraio 2022, n. 4321).
2. Col terzo motivo è opposta la violazione e falsa applicazione degli artt. 644, comma 1, c.p., 1 comma 1, d.l. n. 394/2000 e 1 l. n. 108/1996. Secondo la ricorrente l’enunciato delle Sezioni Unite -in base al quale, in sintesi, ai fini della verifica del superamento della soglia dell’usura occorre guardare al TEG esistente al momento della stipula (Cass. Sez. U. 19 ottobre 2017, n. 24675) non sarebbe estensibile ai rapporti di conto corrente per i quali la verifica del superamento della soglia deve essere compiuta per ogni singolo trimestre.
Il motivo è inammissibile.
Vero è che, proprio perché la valutazione dell’usurarietà deve riguardare il tasso pattuito, tale tasso, nel caso del rapporto di conto corrente, può modificarsi nel tempo attraverso il negozio tacito che dà attuazione allo ius variandi di cui all’art. 118 t.u.b. : tuttavia, la Corte di merito ha osservato non essere stato dedotto che nel corso del rapporto avessero trovato espressione nuove pattuizione in punto di interessi, «sicché», ha testualmente osservato, «la relativa questione non costituisce elemento dirimente per l’accertamento di condizioni usurarie sopravvenute, non potendo il giudice indagare ex officio l’esistenza di fatti non dedotti tempestivamente in giudizio dalla parte che agisce in accertamento negativo».
In tal senso, la censura mostra di non raccordarsi alla statuizione impugnata: e la mancata aderenza della censura al decisum destina la stessa alla statuizione di inammissibilità (Cass. 9 aprile 2024, n. 9450; Cass. 3 luglio 2020, n. 13735; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 7 novembre 2005, n. 21490).
3 . -Col quarto mezzo si lamenta la violazione degli artt. 1325, 1346, 1421 c.c. e 644 c.p.. Ci si duole che la Corte di appello abbia mancato di rilevare che la commissione di massimo scoperto era mancante di causa, «con conseguente necessità di computo della stessa (in quanto mero costo) nel calcolo del TEG».
In realtà, il Giudice distrettuale ha osservato che il Tribunale aveva riconosciuto «la validità della previsione della commissione di massimo scoperto stabilita in misura percentuale e applicata al massimo saldo liquido debitore anche per un solo giorno, quale remunerazione del servizio di messa a disposizione di somme in favore del cliente, indipendentemente dalle modalità con cui la relativa percentuale veniva calcolata, che non incidevano sulla funzione economica di tale servizio meritevole di tutela», rilevando, poi, che l’appellante non aveva formulato alcuna specifica censura avverso questa ricostruzione della funzione della commissione, né sulla statuizione di determinatezza delle relative condizioni.
Nel corpo del motivo la ricorrente odierna assume che la base di calcolo della commissione di massimo scoperto risulterebbe essere «del tutto indeterminata ed indeterminabile». Così facendo essa mostra, però, di non confrontarsi con la decisione di appello, in cui è stato dato atto, come si è visto, della mancata formulazione di censure che investissero il profilo della determinatezza dell’oggetto della pattuizione in discorso.
Anche il motivo in esame va dunque dichiarato inammissibile.
4 . – Col q uinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, e 116 c.p.c.. La censura investe la sentenza impugnata laddove ha rilevato che il consulente tecnico d’ufficio aveva escluso che il TEG relativo al rapporto avesse mai superato il tasso soglia, e ciò anche alla luce del principio enunciato da Cass. Sez. U. 20 giugno 2018, n. 16303 con riguardo al computo della commissione di massimo scoperto ai fini della rilevazione
dell’usura. Assume la ricorrente che il consulente avrebbe impiegato una base di calcolo errata, rilevando, in particolare, che la commissione di massimo scoperto era stata pattuita nella misura del 4%, e non in ragione dello 0,75% annuo.
Il motivo è palesemente inammissibile.
La ricorrente fa menziona di deduzioni svolte nel corso del giudizio di primo grado, senza allegare che le stesse furono riproposte in appello. Non si vede, allora, come la relativa questione possa essere fatta valere col ricorso per cassazione.
Si osserva, inoltre, che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, « in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali » (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 014, n. 8054; Cass. 3 marzo 2022, n. 7090; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598) e che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass.9 giugno 2021, n. 16016).
– In conclusione, vanno accolti, nei sensi di cui in motivazione, il primo e il secondo motivo, mentre vanno dichiarati inammissibili i restanti.
In relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata è cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, che statuirà in diversa composizione e regolerà le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie nei sensi di cui in motivazione i primi due motivi e dichiara inammissibili i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Cagliari che giudicherà in diversa composizione e statuirà sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione