Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27099 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27099 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 25013/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Lienz – Austria (UID nr: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale EMAIL ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma presso di Lei, nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente avverso la sentenza n.826/2023 del Tribunale di Vicenza depositata il
3-5-2023, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25-92024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.RAGIONE_SOCIALE ha convenuto avanti il giudice di pace di Vicenza NOME COGNOME al fine di ottenere il pagamento della
OGGETTO: Importo di Apertura Deposito
R.G. 25013/2023
C.C. 25-9-2024
somma di Euro 575,30, con rivalutazione e interessi, della quale assumeva di essere creditrice in forza del contratto concluso dalle parti il 25-4-2017, in quanto corrispondente all’importo dell’iva dovuto sull’Importo di Apertura Deposito . La società ha dichiarato che le parti avevano concluso un ‘Accordo quadro per l’acquisto di metalli preziosi’ finalizzato all’acquisto e la custodia di oro fino al valore massimo di Euro 50.000,00, nel quale era stato previsto un Importo di Apertura Deposito di Euro 4.000,00, anticipato dal cliente e che sarebbe stato via via restituito in relazione agli acquisti rateali di oro secondo le previsioni contrattuali; il convenuto aveva acquistato oro solo per Euro 17.935,50, con lettera 15-10-2018 aveva comunicato la disposizione di consegnare tutto l’oro acquistato presso la RAGIONE_SOCIALE e la società, effettuato il trasferimento del metallo e trattenuto il residuo IAD di Euro 3.200,00, aveva calcolato sullo stesso l’iva di Euro 640,00; quindi, considerata la som ma rimasta in cassa, il convenuto era rimasto debitore di Euro 575,00.
Si è costituito NOME COGNOME contestando la domanda, che il giudice di pace ha rigettato con sentenza n. 570/2021.
2.Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello avanti il Tribunale di Vicenza, che ha rigettato l’impugnazione con sentenza n. 826/2023 depositata il 3-5-2023.
La sentenza ha considerato che la questione verteva sulla natura giuridica dell’Importo di Apertura Deposito, in quanto l’appellante sosteneva trattarsi di una cauzione assoggettata al pagamento dell’iva, mentre l’appellato e la sentenza di primo grado l’a vevano qualificata come caparra penitenziale non assoggettabile all’iva; quindi, non era controverso il diritto dell’appellante di incamerare il residuo Importo di Apertura Deposito di Euro 3.200,00, ma solo se su tale somma fosse o meno dovuta l’iva per E uro 575,30. La sentenza ha concluso che esattamente il giudice di primo grado aveva qualificato tale IAD come
caparra penitenziale, con conseguente insussistenza della pretesa creditoria della società appellante, per cui ha rigettato l’appello, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado liquidate in Euro 600,00 oltre accessori.
La sentenza ha considerato che la clausola 11.2 primo comma del contratto prevedeva che ‘ le spese per l’apertura del deposito, pari appunto a 4.000 Euro una tantum sono omaggiate dal Fornitore alle condizioni che seguono. Quando il cliente ha pagato per un importo di 10.000,00 Euro dal totale acquisto, il Fornitore utilizzerà 800 Euro dell’IAD per acquistare metalli preziosi per conto del Cliente stesso, conformemente alle quote percentuali di metalli preziosi desiderate dal Cliente’; analoga utilizzazione dello IAD era prevista in caso di acquisti di oro per Euro 20.000,00, 30.000,00, 40.000,00 e 50.000,00; il sesto comma della clausola prevedeva che ‘ il mancato acquisto di un controvalore di 5 g. di oro nel corso di 12 mesi successivi da parte del Cliente dà diritto al Fornitore a trattenere il deposito cauzionale o il residuo di quest’ultimo come compensazione dei costi per l’apertura del deposito, custodia, assicurazione e revisione da parte del Fornitore…Su tale importo, trattandosi di prestazione di ser vizi di assicurazione, custodia e revisione, sarà dovuta l’Iva di legge’; il settimo comma prevedeva ‘l’importo di apertura deposito (IAD) costituisce cauzione (deposito improprio o c.d. irregolare infruttifero) che verrà restituita al cliente sotto forma di oro al prezzo del giorno praticato ai clienti rispettivamente al 20%, 40%, 60%, 80% e 100% al raggiungimento di un acquisto di oro pari rispettivamente al 20%, 40%, 60%, 80% 100% dell’importo del contratto. Qualora il cliente non raggiunga una o entrambe delle predette soglie il deposito cauzionale andrà imputato, rispettivamente al 20%, 40%, 60%, 80% o 100% al servizio di custodia, assicurazione, revisione e su tale
importo, come peraltro già specificato nelle presenti CGC sarà applicata l’Iva di legge’.
La sentenza ha dichiarato che la qualificazione dell ‘ Importo Apertura Deposito come cauzione non convinceva, in quanto non era chiaro quali fossero gli obblighi dalla stessa garantiti; la circostanza che la cauzione fosse imputata ex post , in caso di mancato raggiungimento delle soglie previste, ai servizi di custodia, assicurazione e revisione, non consentiva di affermare che gli obblighi garantiti dalla cauzione fossero proprio quei servizi, tanto più che non si vedeva, in caso di mancato acquisto di oro da parte del cliente, quali fossero gli effettivi servizi di custodia, assicurazione e revisione da retribuire. Ha dichiarato che, stabilendo in caso di recesso esercitato dal cliente senza avere effettuato acquisti di oro per Euro 50.000,00 l’incameramento dello IAD proporzionale al quantitativo di oro non acquistato, le parti avevano inteso attribuire allo IAD la funzione di incentivare l’acquisto di oro da parte del cliente ed evitare che lo stesso recedesse prima di avere raggiunto il quantitativo massimo concordato. Di seguito la sentenza, dando atto di non ravvisare nella clausola profili di vessatorietà, ha dichiarato di convenire che lo IAD, pur travestito da compenso per l’effettuazione di servizi, era caparra penitenziale correlata alla facoltà del cliente di recedere dal contratto prima di avere acquistato oro per l’importo contrattualmente concordato , per cui non era assoggettabile a iva.
3.Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di unico motivo.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio il controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 25-9-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con l’unico motivo intitolato ‘ in relazione all’ art. 360 n.3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c.’ la società RAGIONE_SOCIALE lamenta che, oltrepassando il senso letterale delle clausole contrattuali e il comportamento complessivo delle parti, il Tribunale abbia qualificato come caparra penitenziale non assoggettabile a iva l’Importo di Apertura Deposito. Evidenzia che, secondo il contenuto letterale della clausola, le parti avevano concordato che lo IAD avesse natura di deposito cauzionale in conto di futuro acquisto di oro e che il mancato acquisto di oro da parte del cliente nei termini stabiliti dalla clausola 11.2 co. 6 delle condizioni generali di contratto abilitava il fornitore a trattenere il deposito o la sua parte residua a copertura dei costi (da ‘ ivare ‘ ) di apertura deposito, custodia, assicurazione e revisione; aggiunge che, in una logica di incentivo all’acquisto di oro, la convenzione prevedeva che, al progressivo raggiungimento di un acquisto di oro pari al 100%, rimanessero definitivamente assorbiti a carico del fornitore, secondo una pari progressione, i costi per i servizi di custodia, assicurazione e revisione, da gravarsi di iva di legge e che, al contrario, il mancato raggiungimento da parte del cliente delle soglie di acquisto contrattualmente previste comportasse la ritenzione dell’importo di Euro 4.000,00 o del suo residuo versato ‘a titolo di deposito cauzionale in conto acquisto futuro di metalli preziosi’ secondo il letterale contenuto della clausola. Sostiene che la lettera della convenzione ha trovato conferma nel comportamento delle parti successivo alla stipula del contratto, in quanto il cliente COGNOME non ha contestato il diritto della società a trattenere il residuo dello IAD a fronte del mancato acquist o di oro, ma solo la richiesta dell’iva su tale importo; inoltre
evidenzia come il testo letterale della convenzione non colleghi in nessuna sua parte la ritenzione dello IAD al recesso del cliente, che infatti non era stato esercitato.
2.Preliminarmente si dà atto che il ricorso per cassazione è ammissibile, in quanto nella fattispecie la sentenza del giudice di pace non ha pronunciato secondo equità in forza della previsione dell’art. 113 co.2 cod. proc. civ. per il fatto che, seppure la domanda aveva valore non eccedente Euro 1.100,00, la causa è derivante da rapporto giuridico relativo a contratto concluso secondo le modalità dell’art. 1342 cod. civ., come risulta dalle allegazioni delle parti.
3.Il motivo di ricorso è inammissibile, dovendosi fare applicazione del principio secondo il quale l’interpretazione del contratto, consistendo in una operazione di accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico, si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, per cui il ricorrente, al fine di fare valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è tenuto altresì a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di considerazioni illogiche o insufficienti; non può la censura risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta dalla sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva sostenuto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. Sez. 1 9-4-2021 n. 9461 Rv.
661265-01, Cass. Sez. 3 28-11-2017 n. 28319 Rv. 646649-01, Cass. Sez. 1 15-11-2017 n. 27136 Rv. 646063-01).
Nella fattispecie in sostanza la società ricorrente si lamenta in modo inammissibile che sia stata privilegiata l’interpretazione della clausola diversa da quella da essa proposta in quanto, al fine di sostenere che l’Importo Apertura Deposito fosse un deposito cauzionale, estrapola dal testo della clausola le espressioni che lo qualificano come ‘cauzione’ e che danno atto che sullo stesso ‘sarà applicabile l’iva di legge’ . Non si tratta di considerazioni utili a ritenere che la sentenza impugnata non abbia rispettato il canone dell’interpretazione letterale perch é, posto il dato pacifico che non è la volontà della parti a comportare l’assoggettabilità dell’operazione all’imposta ma la previsione legislativa che elenchi l’operazione tra quelle per le quali è dovuta l’iva , la stessa ricorrente riconosce che tale ‘ cauzione ‘ , secondo la previsione pure testuale del contratto era ‘in conto acquisto futuro di metalli preziosi’. Ciò significa che, secondo lo stesso testo letterale della clausola , l’importo aveva la f inalità di ottenere l’adempimento dell’obbligazione di acquisto dei metalli preziosi entro i termini contrattualmente previsti; questo dato non si concilia con la tesi della ricorrente secondo la quale l’importo fosse pagato a copertura dei servizi di custodia, assicurazione e assistenza assoggettati all’iva , perché la prestazione di quei servizi prescindeva dal rispetto dei termini per gli acquisiti rateali di oro. Invece, lo stesso contenuto letterale della clausola 11.2 richiamato dalla ricorrente e considerato anche dalla sentenza impugnata, laddove prevede che le spese per l’apertura del deposito , e perciò le spese dei servizi di custodia , ecc… , ‘sono omaggiate dal Fornitore alle condizioni che seguono’ e cioè a condizione che gli acquisti rateali di oro fino all’importo massimo di Euro 50.000,00 avvenissero entro determinati limiti di tempo, conferma la plausibilità dell’interpretazione eseguita
dalla sentenza impugnata. Ciò in quanto la clausola ha previsto un meccanismo in forza del quale il cliente perdeva il diritto a ottenere la restituzione del l’importo dello IAD che aveva anticipato se non rispettava i tempi di acquisto del metallo prezioso contrattualmente previsti; per questo si giustifica quanto ritenuto dalla sentenza impugnata in ordine al fatto che lo IAD aveva la medesima funzione di una caparra penitenziale, e cioè la funzione di indennizzare la controparte nel caso in cui non fosse stato raggiunto entro i termini previsti il tetto di acquisto di metallo prezioso.
Neppure gli argomenti con i quali la ricorrente sostiene che sia stato erroneamente applicato il canone relativo alla valutazione del comportamento complessivo delle parti hanno fondamento al fine di ritenere che l’interpretazione eseguita dalla sentenza impugnata non sia stata plausibile. Infatti, laddove la ricorrente lamenta che la sentenza non abbia considerato che il cliente COGNOME non aveva esercitato il recesso, non considera che, secondo la sentenza impugnata, era il meccanismo previsto dalla clausola, in relazione al mancato acquisto di metallo prezioso fino all’importo di Euro 50.000,00 nei termini fissati, a comportare automaticamente il recesso del cliente e il diritto della società a trattenere lo IAD riferito all’importo di Euro 50.000,00 non raggiunto ; l’interpretazione è plausibile in quanto si concilia con il dato pacifico che è stata la società a comunicare di trattenere tutto lo IAD residuo e a chiedere il pagamento dell’iva, e ciò evidentemente sul presupposto che il rapporto relativo all’ acquisto di oro fino a Euro 50.000,00, al quale si riferiva lo IAD versato, si fosse concluso.
4.Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
In considerazione dell’esito del ricorso, a i sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per spese ed Euro 600,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione