Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5201 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5201 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
R.G.N. 3811/20
C.C. 18/02/2025
ORDINANZA
Vendita -Preliminare -Risoluzione per inadempimento -Caparra confirmatoria sul ricorso (iscritto al N.R.G. 3811/2020) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-ricorrenti –
contro
COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 6839/2019, pubblicata il 7 novembre 2019, notificata il 14 novembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 4/7 luglio 2005, COGNOME NOME conveniva, davanti al Tribunale di Latina (Sezione distaccata di Terracina), COGNOME NOME e COGNOME NOME al fine di sentire pronunciare la risoluzione del contratto preliminare di vendita concluso tra le parti il 19 maggio 2001, avente ad oggetto l’immobile sito in Lenola, ad uso abitativo, posto al secondo piano, comprensivo di seminterrato ad uso legnaia e di soffitta, per il prezzo complessivo di vecchie lire 110.000.000, di cui era stata versata, a titolo di caparra confirmatoria e acconto, la somma di vecchie lire 10.000.000, per il rifiuto opposto dai convenuti promissari acquirenti alla stipula del definitivo e per la realizzazione di modifiche strutturali all’immobile senza l’espressa approvazione del promittente alienante, con il riconoscimento del diritto alla ritenzione della caparra ricevuta e con la condanna al risarcimento dei danni per l’avvenuto smantellamento del bene oggetto del preliminare nonché per il suo mancato godimento.
Si costituivano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali contestavano la fondatezza, in fatto e in diritto, delle domande avversarie e, in via riconvenzionale, chiedevano che fosse pronunciata la risoluzione del preliminare per
inadempimento del promittente venditore, in quanto il mutuo dai convenuti richiesto per l’acquisto non era stato erogato a causa della rilevazione di trascrizioni pregiudizievoli sull’immobile, a fronte della garanzia prestata dall’attore della libertà del bene da pesi e vincoli, con la condanna del promittente alienante al pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata, al rimborso delle spese occorse per i primi lavori effettuati di ristrutturazione e al risarcimento del danno conseguente all’inadempimento contrattuale.
Nel corso del giudizio era assunta la prova orale ammessa ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1730/2015, depositata il 26 giugno 2015, rigettava le domande proposte da parte attrice e accoglieva le domande riconvenzionali spiegate dalle parti convenute, dichiarando la nullità del contratto preliminare stipulato il 19 maggio 2001 e condannando COGNOME NOME al pagamento, in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME NOME, della somma di euro 18.115,14, di cui euro 10.329,14 a titolo di esazione del doppio della caparra confirmatoria versata ed euro 7.786,00 a titolo di rimborso delle spese relative ai lavori effettuati.
2. -Con atto di citazione notificato il 25 gennaio 2016, COGNOME COGNOME proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) l’erronea valutazione circa l’esistenza di un vincolo pregiudizievole sui beni oggetto del preliminare; 2) l’erronea esclusione dell’esistenza di una delibera di concessione del mutuo richiesto dai promissari compratori.
Si costituivano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali instavano per il rigetto dell’impugnazione e per la conseguente conferma della sentenza impugnata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello e in riforma della pronuncia impugnata, imputava la risoluzione del preliminare all’inadempimento colpevole dei promissari acquirenti e, per l’effetto, dichiarava il diritto del promittente venditore a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta di vecchie lire 10.000.000 e condannava i promissari acquirenti, in solido, al rimborso delle spese necessarie per il ripristino dello stato originario dei locali oggetto del preliminare, liquidandole nella misura di euro 5.260,00, oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che il consulente tecnico d’ufficio aveva accertato, producendo le relative visure catastali e quelle della conservatoria, che nessun vincolo pregiudizievole esisteva sull’appartamento (erroneamente individuato nel preliminare con il mappale n. 167, anziché con il mappale n. 168) mentre, in ordine alla soffitta, sussisteva la trascrizione, nel 1992, di un pignoramento in danno di COGNOME NOME (padre di COGNOME NOME) sulla quota indivisa del debitore, essendo, all’epoca, il cespite ancora in comproprietà tra i due germani NOME e NOME; b ) che, a seguito del frazionamento della soffitta, con attribuzione della rispettiva porzione a ciascuno dei due germani, il pignoramento avrebbe dovuto essere cancellato sulla particella attribuita a COGNOME
NOME; c ) che, infatti, tale verifica era stata direttamente eseguita dalla banca che avrebbe dovuto concedere il mutuo, essendovi la prova che il finanziamento richiesto era stato approvato dall’istituto di credito, quantunque, secondo il direttore della filiale (sentito come testimone), la pratica non fosse andata a buon fine perché il notaio incaricato della stipula del definitivo (mai escusso in qualità di teste, sebbene citato) aveva comunicato l’esistenza della trascrizione di vincoli pregiudizievoli ; d ) che appariva inverosimile che il notaio avesse rilevato un vincolo sui beni e bloccato l’istruttoria della pratica, essendo notorio che quest’ultimo interviene solo successivamente, allorché la banca gli trasmetta gli atti e la bozza del contratto di mutuo; e ) che, essendo i beni promessi in vendita liberi da vincoli pregiudizievoli, tranne il citato pignoramento, la cui trascrizione avrebbe potuto essere facilmente cancellata, perché erroneamente estesa alla porzione di soffitta attribuita a NOME dopo il frazionamento, era evidente che non vi era stato alcun inadempimento del promittente alienante; f ) che, invece, ricorreva l’inadempimento dei promissari acquirenti, avendo gli stessi omesso di attivarsi per cancellare la trascrizione, gravante sulla sola soffitta, di un pignoramento in danno del padre di COGNOME NOME (promissario acquirente); g ) che oppure diversamente gli appellati avrebbero dovuto avvisare l’appellante dell’esistenza dell’errata permanenza della trascrizione del pignoramento su lla porzione attribuita in sede di frazionamento a COGNOME Romolo e invitarlo a regolarizzare l’impedimento, solo formale, certamente non ostativo alla stipula del contratto definitivo di compravendita; h ) che il comportamento dei promissari acquirenti era
chiaramente contrario ai principi di correttezza e buona fede e generava un inadempimento alle obbligazioni assunte con il preliminare; i ) che, in conseguenza, spettava al promittente venditore il diritto a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta e il rimborso delle spese necessarie alla riduzione in pristino stato dell’immobile, all’interno del quale erano avvenute le opere di demolizione finalizzate alla ristrutturazione; l ) che, invece, non poteva trovare accoglimento la domanda di ulteriore risarcimento danni, per non aver potuto disporre degli immobili dalla data del preliminare, poiché dalle testimonianze assunte era emerso che il promittente alienante aveva autorizzato i promissari acquirenti ad eseguire i lavori di ristrutturazione in pendenza del termine per la stipula del rogito, immettendoli immediatamente nel ‘possesso’ dei cespiti oggetto della compravendita.
-Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, COGNOME NOME e COGNOME NOME
Ha resistito, con controricorso, l’intimato COGNOME che a sua volta -ha proposto ricorso incidentale, articolato in un unico motivo.
4. -Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con l’unico motivo articolato i ricorrenti principali denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di merito tralasciato di riferirsi al fatto secondo cui l’istituto di credito non avrebbe
erogato il mutuo in favore dei promissari acquirenti in ragione dell’insistenza di un pignoramento sull’immobile promesso in vendita.
Obiettano gli istanti che detta circostanza trascurata sarebbe emersa dalla deposizione testimoniale resa dal direttore della Banca popolare di Fondi, come confermata dalle testimonianze rese dal geometra COGNOME Antonio (che aveva curato la pratica volta ad ottenere la DIA per la ristrutturazione dell’immobile) e da COGNOME NOME, oltre che suffragata dagli accertamenti compiuti dal consulente tecnico d’ufficio (in ordine alla sussistenza di una trascrizione pregiudizievole di un pignoramento dell’8 gennaio 1992, r.g. n. 596, r.p. n. 524).
Proseguono i ricorrenti principali sostenendo che, in ogni caso, la pronuncia sarebbe incorsa altresì in un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, con la conseguente perplessità e obiettiva incomprensibilità della motivazione, avendo affermato, da un lato, che nessun vincolo pregiudizievole sarebbe sussistito sull’appartamento mentre sulla soffitta sarebbe esistita la trascrizione del pignoramento e, dall’altro, che il finanziamento richiesto sarebbe stato approvato dall’istituto di credito, quantunque, secondo il direttore della filiale, la pratica non fosse andata a buon fine per la comunicazione del notaio circa l’esistenza di vincoli pregiudizievoli.
Né sarebbe stato concepibile l’assunto a mente del quale ad occuparsi della cancellazione delle trascrizioni pregiudizievoli avrebbe dovuto essere l’acquirente (promissario), anziché l’alienante (promittente).
1.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, non ricorre alcuna omissione dei fatti decisivi indicati, né una motivazione obiettivamente incomprensibile.
La Corte di merito ha, al riguardo, puntualizzato che, in ordine alla soffitta, sussisteva la trascrizione, nel 1992, di un pignoramento in danno di COGNOME NOME (padre del promissario acquirente COGNOME NOME) sulla quota indivisa del debitore (COGNOME NOME), essendo, all’epoca, il cespite ancora in comproprietà tra i due germani NOME e NOME, sicché, a seguito del frazionamento della soffitta, con attribuzione della rispettiva porzione a ciascuno dei due germani, il pignoramento avrebbe dovuto essere cancellato sulla particella attribuita a COGNOME NOME.
Per l’effetto, si è ritenuto che solo per un mero errore materiale il pignoramento non fosse stato cancellato sulla particella attribuita a NOME, all’esito del frazionamento effettuato.
Da ciò è stato escluso che il promittente alienante fosse inadempiente rispetto alla garanzia assunta nel preliminare circa la libertà del cespite da vincoli o pesi pregiudizievoli.
Aggiunge, in proposito, la Corte territoriale che detta trascrizione (persistita, per errore, anche all’esito del frazionamento) avrebbe potuto essere facilmente cancellata, appunto perché erroneamente estesa alla porzione di soffitta attribuita a COGNOME NOME dopo il frazionamento.
D’altronde, la stessa Corte ha specificato che il finanziamento richiesto era stato inizialmente approvato dall’istituto di credito.
All’esito, con argomentazioni lineari, è stato negato che il promittente alienante non avesse adempiuto agli obblighi assunti con la promessa di vendita.
Ebbene, l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia ‘carattere decisivo’, vale a dire che, ‘se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1572 del 22/01/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 17005 del 20/06/2024; Sez. L, Ordinanza n. 31511 del 25/10/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Ne consegue che entrambi i fatti dedotti come in tesi omessi, in realtà, sono stati considerati, sebbene abbiano assunto nella valutazione giudiziale una rilevanza diversa da quella che i ricorrenti principali hanno inteso attribuirgli.
Inoltre, si rinviene, per quanto anzidetto, una motivazione -congrua e non già apparente -, connotata da logicità e coerenza e che non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23605 del 02/08/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 26850 del 04/10/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 24912 del 15/09/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 17062 del 16/06/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 1436 del 25/01/2021).
Segnatamente, all’esito della novella di cui all’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, in legge n. 134/2012,
il sindacato di legittimità per vizio motivazionale può essere svolto solo allorché, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, sia integrata una riduzione sotto la soglia del ‘minimo costituzionale’ della motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé , purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Siffatta anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Con la conseguenza che la motivazione è apparente solo quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 05/08/2016; Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Sez. 6-5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019), ipotesi che non ricorrono nella vicenda in esame per quanto anzidetto.
2. -Con l’unico motivo proposto nel controricorso il ricorrente incidentale prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., in relazione agli artt. 1175 e 1176 c.c. nonché all’art. 132 c.p.c., con la nullità della sentenza per omessa liquidazione del risarcimento del danno, per avere la Corte distrettuale negato la tutela risarcitoria richiesta, benché i promissari acquirenti si fossero rifiutati di acquistare il bene in malafede, sicché questi sarebbero stati obbligati a corrispondere al promittente venditore i frutti per il mancato godimento del cespite promesso in vendita, con la relativa condanna al risarcimento dei danni, nella misura pari al valore locativo dell’appartamento.
Osserva l’istante che l’autorizzazione all’esecuzione dei lavori di ristrutturazione in pendenza del termine per la stipula del definitivo, con l’immediata immissione nella detenzione, come affermato dalla sentenza impugnata, non avrebbe escluso il diritto all’invocata tutela ristoratoria.
2.1. -Il motivo è fondato.
2.2. -E ciò benché, all’esito dell’invocazione della caparra confirmatoria ai sensi dell’art. 1385, secondo comma, c.c., come effettivamente riconosciuta dal giudicante nella misura di vecchie lire 10.000.000 (che ha, dunque, implicitamente qualificato la pretesa di ottenere la risoluzione del contratto preliminare come esercizio del diritto potestativo di recesso), la tutela risarcitoria restasse confinata alla somma di cui è stato dichiarato il diritto alla ritenzione.
La caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c. ha, invero, la funzione di liquidare convenzionalmente il danno da
inadempimento in favore della parte non inadempiente che intenda esercitare il potere di recesso conferitole ex lege , sicché, ove ciò avvenga, essa è legittimata a ritenere la (sola) caparra ricevuta ovvero ad esigere il doppio di quella versata, non potendo pretendere l’ulteriore ristoro dei danni (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5854 del 05/03/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 32727 del 24/11/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 21504 del 07/07/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 20532 del 29/09/2020; Sez. 2, Sentenza n. 8417 del 27/04/2016; Sez. 2, Sentenza n. 17923 del 23/08/2007).
Ne discende che, una volta riconosciuto il diritto del promittente venditore a ritenere la caparra confirmatoria ricevuta, in relazione alla dichiarazione di ‘risoluzione’ avanzata, non può essere ammessa la concorrente tutela risarcitoria.
Solo allorché, ai sensi dell’art. 1385, terzo comma, c.c., la parte avesse agito per ottenere la risoluzione giudiziale del preliminare, senza invocare il diritto a trattenere la caparra, il risarcimento dei danni sarebbe stato regolato dalle norme generali, ossia rimesso alla verifica dell’ an e del quantum debeatur .
2.2.1. -Nondimeno, il danno da illegittima occupazione dell’immobile, frattanto consegnato al promissario, discendendo da un distinto fatto illecito, costituito dal mancato rilascio del bene dopo il recesso dal contratto del promittente, legittima quest’ultimo a richiedere un autonomo risarcimento. Ne consegue che il promittente venditore ha diritto non solo a recedere dal contratto e ad incamerare la caparra, ma anche ad ottenere dal promissario acquirente inadempiente il pagamento dell’indennità
di occupazione dalla data di immissione dello stesso nella detenzione del bene sino al momento della restituzione, attesa l’efficacia retroattiva del recesso tra le parti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19403 del 30/09/2016; Sez. 2, Sentenza n. 9367 del 08/06/2012; Sez. 2, Sentenza n. 3704 del 31/05/1988; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5891 del 05/03/2024; Sez. 2, Sentenza n. 31685 del 04/12/2019; Sez. 2, Sentenza n. 21659 del 23/08/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 14086 del 23/05/2019; Sez. 2, Sentenza n. 32139 del 12/12/2018).
All’esito, la richiesta di trattenimento della somma ricevuta dal promittente alienante, a titolo di caparra confirmatoria, era compatibile con l’ulteriore richiesta di risarcimento dei danni per l’illegittima occupazione dell’immobile a cura dei promissari acquirenti.
2.3. -Tanto chiarito, il mero fatto che il promittente venditore avesse concesso la detenzione anticipata del cespite, autorizzando i promissari compratori ad eseguire i necessari lavori di ristrutturazione, non escludeva il suo diritto a pretendere la riparazione del pregiudizio conseguente all’illegittima occupazione del bene, una volta accertato che la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita doveva imputarsi al contegno inadempiente dei promissari acquirenti.
E ciò appunto perché la detenzione anticipata era stata riconosciuta in vista del perfezionamento dell’effetto traslativo, sicché -esercitato il recesso in ragione dell’inadempimento dei promissari compratori -la causa della riconosciuta detenzione anticipata è venuta meno, con la conseguente spettanza della tutela risarcitoria per l’occupazione divenuta sine titulo , in
aggiunta alla pretesa di trattenere la ricevuta caparra confirmatoria.
Ne consegue che tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti né dal pagamento del prezzo né dal godimento dell’immobile, sono legittimamente liquidabili dal giudice di merito, con riferimento all’intera durata dell’occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale o dall’esercizio del diritto potestativo di recesso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 30594 del 20/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 24510 del 21/11/2011; Sez. 2, Sentenza n. 1307 del 29/01/2003; Sez. 3, Sentenza n. 1689 del 07/07/1967; nello stesso senso Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 7868 del 20/03/2019).
3. -In definitiva, il ricorso incidentale deve essere accolto, nei sensi di cui in motivazione, mentre il ricorso principale va disatteso.
La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai seguenti principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
‘In tema di contratto preliminare di vendita immobiliare, il danno da illegittima occupazione dell’immobile, frattanto consegnato al promissario, discendendo da un distinto fatto illecito, costituito dal mancato rilascio del bene dopo il recesso dal contratto del promittente, legittima quest’ultimo a richiedere un autonomo risarcimento, con la conseguenza che il promittente venditore ha diritto non solo a recedere dal contratto e ad
incamerare la caparra, ma anche ad ottenere dal promissario acquirente inadempiente il pagamento dell’indennità di occupazione dalla data di immissione dello stesso nella detenzione del bene sino al momento della restituzione, attesa l’efficacia retroattiva del recesso tra le parti’.
‘In tema di contrato preliminare di vendita immobiliare, il fatto che il promittente venditore abbia concesso la detenzione anticipata del cespite, autorizzando il promissario compratore ad eseguire i necessari lavori di ristrutturazione, non esclude il suo diritto a pretendere la riparazione del pregiudizio conseguente all’illegittima occupazione del bene, una volta accertato che la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita è imputabile al contegno inadempiente del promissario acquirente, poiché -all’esito dell’esercizio del recesso ex art. 1385 c.c. la causa della detenzione anticipata viene meno, con la conseguente spettanza della tutela risarcitoria per l’occupazione divenuta sine titulo , in aggiunta alla pretesa di trattenere la ricevuta caparra confirmatoria’.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie il ricorso incidentale, nei sensi di cui in motivazione, rigetta il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle